L’ispirazione non sarebbe tale se non fosse capace di trascendere le intenzioni umane. Capita quindi che un film come “La grande bellezza” per quanto dibattuto e pure premiato riesca a sublimare le analisi cinematografiche e le cosiddette opportunità di mercato di cui comunque il film di Sorrentino si fa promotore, considerando la materia cinematografica, non solo in termini di significati e di estetiche, ma soprattutto come manufatto artigianale, che alla pari di altri ha bisogno di essere seguito e commercializzato per ottenere la visibilità ed il mercato che le qualità artistiche da sole non riuscirebbero ad avere. Come testimonia la lungimiranza di un produttore come Nicola Giuliano (Indigo Film, arrivato sul tetto del mondo rinunciando di accontentarsi della semplice evidenza di un film superiore alla media, ma costruendogli sopra una macchina promozionale che ha iniziato a lavorare su quel progetto con lungimirante anticipo per farsi trovare pronta al rullo dei tamburi.
Quell’oltre che la “La grande bellezza” riesce a comprendere invece, è qualcosa che confina con il sentimento del Mondo e con la capacità di farsene conquistare fino a diventarne espressione. Ecco allora che le immagini di una Roma monumentale e decadente, vivificate e ringiovanite dal pennello cinetico del nostro artista, diventano le forme subliminali di una Pasqua celebrata sulle sponde di una civiltà morente. La capitale dell’impero restituita alle sue miserie contemporanee ma anche ad una bellezza che nessuno, nonostante tutto, riesce a portarle via, diventa allora il punto di partenza per un risveglio delle coscienze, nella consapevolezza che il passato celebrato dal presente del film potrebbe essere il rinascimento di virtù sepolte sotto oblio di una società che ne aveva perso la memoria. “La grande bellezza” con la sua affermazione priva di una reale comprensione (in patria le esegesi del film si sono spesso infilate in un ginepraio di polemiche senza costrutto, mentre pubblico nostrano e quello straniero nel gradimento dimostrato sembrano essersi affidati più all’istinto che al ragionamento) può diventare quello che sono state le musiche di Verdi o i “Sepolcri” di Foscolo per il Risorgimento italiano, ovvero un sentimento capace di tirare fuori quell’infinito di cui uomini e donne del nostro paese hanno dato sfoggio nei momenti più alti della storia italica. Una spinta a ritrovare fiducia, a risollevarsi dalle macerie spirituali e culturali che anche noi, con la nostra inerzia, abbiamo contribuito a provocare, e che il film di Sorrentino con il suo esempio potrebbe di colpo trasformare in polvere di stelle.
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