Il mite postino di paese Francois vede un film documentario sull’efficientissimo servizio postale americano e ne rimane infatuato. Cerca così di adeguarsi ai ritmi decisamente più veloci dei “colleghi” d’oltreoceano passando da una condizione in cui sembra esserci sempre tempo per consegnare la posta ad un'altra dove, invece, il tempo non basta mai. La bicicletta però sembra non essere d’accordo, sembra ribellarsi a questo nuovo ordine che gli imporrebbe di farsi complice di un arbitrario e repentino cambio di rotta, rivendicando l’indispensabilità funzionale del suo ruolo attraverso la dimostrazione che le cose possono dar corpo ad un'inusitata autonomia di movimento, possono addirittura burlarsi del proprio “padrone” per far vedere di poter essere altro da un oggetto di mero consumo, dare prova della propria utilità sociale se adeguatamente utilizzati come mezzo che si accompagna all’agire umano e non considerati come il fine verso cui tendere per cercare di acquisire onore e rispetto in società. È una gag, questa della bicicletta che se ne va a zonzo da sola, che fa certamente ridere, come è naturale con un film di un grande della comicità come Tati. Ma fa anche riflettere se la si inquadra all’interno della più vasta produzione dell’autore francese continuamente percorsa dalle invettive contro la società dei consumi (tra le più radicali rinvenibili al cinema credo) e se si guarda a questo primo lungometraggio come a un omaggio a quel mondo rurale, con i suoi ritmi lenti e le persone che si conoscono tutte tra di loro, in via di progressiva estinzione culturale. L’uomo si crede padrone delle sue scelte e invece non si rende conto di quanto sia schiavo di un effimero spirito di emulazione che lo porta ad adottare diversi stilemi comportamentali senza averne misurato il grado di effettiva adattabilità sul naturale andamento della sua vita. Simbolo primario di questa considerazione sono gli oggetti che popolano le città industrializzate e che in mano a Tati sembrano essere delle immani diavolerie, elementi disfunzionali di un sistema di vita sempre più condizionato dalle necessità indotte dal progresso tecnologico. Anche se ci troviamo in un tranquillo paese di campagna e non sommersi con Monsieur Hulot nel caos cittadino tra architetture avveniristiche e sofisticati aggeggi elettronici che arredano appartamenti ipertecnologici, il mite Francois, col suo goffo tentativo di imitare le gesta dei “colleghi” americani, concreta l’attitudine in fieri di correre troppo in fretta senza fermarsi mai ad aspettare.
Giorno di festa (1947), opinione di cris1970 Film.tv.it
Giorno di festa (1947), opinione di cris1970: l'opinione degli utenti di filmtv sui film in sala e al cinema
Giorno di festa (1947)
di Jacques Tati con Jacques Tati, Guy Decomble, Paul Frankeur, Santa Relli
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