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Il cinema degli altri (2) - Nuri Bilge Ceylan (Turchia)
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Nuri Bilge Ceylan nasce a Istanbul nel 1959. Il cinema è, per lui, il punto di arrivo di un percorso iniziato con una precoce passione per la fotografia, proseguito con una laurea in ingegneria e terminato con alcuni viaggi intorno al mondo, tra cui un giro della penisola italiana in bicicletta e un itinerario spirituale sui monti dell’Himalaya.

Cineasta a trecentosessanta gradi, è stato autore, regista e produttore di tutti i suoi film:

 

Koza (1995) (cortometraggio, in concorso al Festival di Cannes) 

Kasaba (1998) (premiato al Festival di Berlino)

Mayis sikintisi (1999) (in concorso al Festival di Berlino)

Uzak (2002) (premiato al Festival di Cannes)

Il piacere e l’amore (2006) (premiato al Festival di Cannes)

Le tre scimmie (2008) (vincitore al Festival di Cannes)

Once Upon a Time in Anatolia (2011) (in preparazione)

 

 

L’infanzia trascorsa nelle campagne di Yenice, il paese natale del padre, dove quest’ultimo, in servizio a Istanbul, aveva chiesto espressamente di essere trasferito, riecheggia, nella cinematografia di Ceylan, attraverso i temi dominanti della nostalgia del passato, dell’attaccamento alla terra, dell’amore per le proprie radici. Sono questi i valori che, nella desolazione della modernità, fanno da sfondo ai suoi personaggi: individui isolati, staccati dal contesto, come si addice ai soggetti di una fotografia artistica, eppure inquadrati in un mondo a dimensione familiare, in cui ognuno è parte di un tutto.

 

 

 

Come i cani e i gatti randagi, che sono un motivo ricorrente nei sui film, gli uomini ritratti da Ceylan si muovono raminghi e spaesati attraverso un mondo a cui appartengono per nascita, e che però spesso appare loro come un luogo sconosciuto e inospitale. Le loro storie, più che veri e propri racconti, sono resoconti sullo scorrere della quotidianità, testimonianze dirette del  puro e semplice farsi della vita.

 

 

Lo sguardo di Ceylan fa della loro solitudine e della loro incapacità di comunicare la cassa di risonanza dell’emozioni nascoste e dei pensieri inespressi, che, benché invisibili e inudibili, la sua regia riesce a portare artisticamente in superficie, come un’impronta dell’anima che si traduca in una danza di nuvole, di nebbia, di vento, di pioggia.

 

 

 

La natura è la testimonianza vivente dell’onnipresenza del cosmo, che ovunque ci circonda e ci abbraccia con le sue leggi e le sue immutabili certezze, pur trascinandoci con sé nell’inarrestabile flusso della vita universale. In questa consapevolezza risiede, per Ceylan, il fondamento della civiltà, che è essenzialmente basata sul rispetto per la creazione in tutte le sue forme. Colpisce, soprattutto nei suoi primi quattro film, oltre all’attenzione per le questioni ecologiche, la grande sensibilità per la sofferenza degli animali, soprattutto quelli tipici dell’ambiente rurale, dal topo all’asino, dal pulcino alla pecora. Tutte le specie condividono con noi, oltre al suolo terrestre, il diritto di essere libere ed il bisogno di essere amate: il principio cardine per una pacifica convivenza è una vicinanza vigile, però discreta e non invasiva, che dà e riceve senza interferire con le esistenze altrui. È il concetto di una società ideale che trova il suo modello nella famiglia, quando questa è veramente unita dall’affetto, pur restando aperta verso l’esterno. Questo è l’insegnamento che un maestro di scuola impartisce ai suoi alunni in una scena di Kasaba. E Ceylan ci crede veramente: lo dimostra il cast di alcuni dei suoi film, formato dai suoi genitori Emin e Fatma, da sua moglie Ebru, e da uno stuolo di parenti, amici e conoscenti.

 

 

La precedente puntata de Il cinema degli altri:

(1) Lisandro Alonso

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