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Brad Pitt. L'Attore Fisico.
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Ha qualcosa di scimmiesco Brad Pitt. Nonostante la sua perfezione fisica, la sensualità conclamata del suo corpo e la bellezza classica del suo viso ha comunque qualcosa di scimmiesco. Soprattutto le labbra e quella porzione di muso che prende il mento e il naso hanno qualcosa di animalesco che mi ricorda una scimmia. Anche il suo corpo, asciutto e tonico, secco secco, ma rimpolpato da muscoletti nervosi là dove servono è quello di un primate in cui le caratteristiche belluine sovrastano spesso quelle umane.

Detto così Brad Pitt sembrerebbe un mostro, invece tutti ne conoscono la bellezza spiazzante. Ecco che il richiamo scimmiesco di cui parlo è solo un’evocazione di alcuni suoi tratti e di un certo suo comportamento, istintivo quanto spudorato, un’evocazione di certe sue pose sfacciate che ricordano più un bambino dispettoso, quindi ferino, invece che un uomo savio e ben integrato nel consorzio civile. Questo perché Brad Pitt dal Missouri ha una fisicità dirompente, strettamente legata ad un’animalità incontrollabile che emerge durante il gioco recitativo e che istintivamente si libera della grazia e della compostezza dell’uomo civilizzato.

Basterebbe comunque il suo corpo per acclamare Brad Pitt come attore fisico per antonomasia  – corpo che per noi comuni mortali è inarrivabile, ma che per molti esperti di scienze motorie, molti fitness-addicted e body-builders è un fisico innaturale che mai vorrebbero avere. Un attore per il quale, corpo, viso e sensualità della propria immagine arrivano prima di tutto il resto, diventando i caratteri principali del suo essere attore e annullando qualsiasi altra caratteristica inutile nella lotta darwiniana del mondo cinematografico. Eppure il big missourian boy, il ragazzone del Missouri, ha dato prova di un’intelligente gestione della propria fisicità, come del resto sanno fare moltissimi altri attori capaci di abbinare fisico e recitazione  in un’unica complessa arte cinesica dove l’attore è segno/corpo di un mondo emozionale che rivive nei gesti, nelle pose e nei movimenti volontari e involontari di tale corpo. Un mondo emozionale che è anche universo etico e filosofico, di cui il corpo è il mezzo per una Weltanschauung, una visione del mondo, comunicata e realizzata attraverso la propria fisicità.

Credo che Brad Pitt abbia approfittato del proprio corpo per farsi largo nel mondo del cinema mettendo però subito in chiaro che di talento ne aveva da vendere. Tant’è che ha saputo ritagliarsi un posto di gloria nell’immaginario moderno e caratterizzando gli anni ’90 attraverso la sua immagine e le varie tipologie di ruolo che aveva scelto. Uno dei più grandi attori viventi. Il Grande Attore Americano, probabilmente. I tratti somatici sono quelli classici del mondo anglo: biondo, glabro, occhi azzurri, fisico perfetto. Ma non è rappresentante della waspness più retriva, tutt’altro. La sua carriera è costellata da ruoli antagonici, sprezzanti delle morali comuni e combattivi nei confronti di chi abusa del proprio potere. Come tradizione, certi ruoli, per essere efficaci ed entrare in una mitologia condivisa necessitano di una certa fisicità, di un certo impegno corporale e di una maschera che diventi icona. E William Bradley Pitt del Missouri, detto Brad, abbonda di tutto questo.

La sua carriera si può dividere in cinque fasi. La prima è ovviamente quella dei primi passi e delle comparsate. Nel 1987 appare in una manciata di film – si parla anche di Senza Via di Scampo di Roger Donaldson, ma non l’ho mai intravisto – per poi approdare nel cast di Dallas per quattro episodi. Nel 1988 arriva il primo ruolo da protagonista e inizia così la seconda fase, quella dell’esordio. The Dark Side of the Sun gli permette di giocare con la sua evidente bellezza e gli regala la possibilità di interpretare un protagonista tenebroso, bello e dannato, senza scadere nel cliché grazie alla capacità dell’attore di sapersi misurare. Il film diretto da Bozidar Nikolic ha un taglio televisivo nella messa in scena e nel ritmo, ma il lavoro di Pitt, seppur stereotipato, è entusiasmante.

Questa fase d’esordio continua fino al 1991, anno del J.D. di Thelma & Louise diretto da Ridley Scott e quindi spartiacque tra un prima di ricerca e attesa e un dopo di irrefrenabile successo. Ma prima di bucare lo schermo col culo – così dice la leggenda, ma il suo J.D. non mostra il lato B in tutto il film, è solo un mito creato da Geena Davis – il ragazzone del Missouri ha avuto modo di dare ulteriore prova della sua istintiva attorialità. Continuano le partecipazioni televisive – tra cui ricordo quella a Freddy’s Nightmare nel 1989 come protagonista di un episodio un po’ telefonato dove anche l’attore si adegua all’inconsistenza dell’operazione – e si intensificano le incursioni cinematografiche. Sempre del 1989 è protagonista di Cutting Class, da noi arrivato solo dopo il grande successo dell’attore con il doppio titolo di Giovani Omicidi o del più recente Il Ritorno di Brian. Slasher movie inguardabile se non fosse per lo stesso Brad Pitt che negli anni della sua bellezza più proverbiale riesce a dosare fascino adolescenziale con presenza scenica.

Di questo periodo si segnalano in particolare Vite Dannate (1990) e Una Pista per Due (1990). Il primo è un tv-movie in cui Pitt ha la possibilità di fare le prove per i futuri ruoli da bullo psicopatico. La sua parte è abbastanza circoscritta e possiamo vederlo solo in una manciata di scene. Protagonista assoluta è invece Juliette Lewis nel ruolo di una minorenne plagiata che va incontro a un destino orribile. La fattura è abbastanza apprezzabile, meritano sicuramente le due appassionate interpretazioni di Pitt e della Lewis. Mentre invece Una Pista per Due è un filmetto di concezione televisiva che mette uno contro l’altro due biondi fratelli, Pitt e Ricky Schroder, il primo bello, sano, pulito, diligente e competitivo, il secondo mezzo galeotto, abbruttito dalla noia e dalle droghe. Il duello tra i due caratteri è divertente, ma resta pur sempre circoscritto dentro uno sviluppo televisivo, senza dare la possibilità agli attori di giocare con i propri ruoli.

Dopo aver finalmente bucato lo schermo col culo arriva la terza fase della sua carriera, quella della conferma e del successo. Dopo Thelma & Louise infatti, per Brad Pitt si aprono le porte di Hollywood e tutti lo vogliono. Lui, di contro, non si concede e sceglie i suoi ruoli con l’occhio dell’attore maturo. Nel 1991 è infatti protagonista assoluto di Johnny Suede diretto da Tom DiCillo, pellicola sui generis, grottesca e stralunata in cui Pitt dà vita ad uno dei personaggi più belli della sua carriera. Giocando con la propria bellezza e con l’irresistibilità del suo corpo, l’attore modella un personaggio sveviano, inetto ed incapace, continuamente bloccato dall’ansia di prestazione, capace solo di bighellonare e trascinarsi come flâneur proletario e senza nemmeno prodigarsi istintivamente nei bisogni primari come mangiare e copulare, se non quando capita. Uno dei suoi capolavori attoriali.

Di questa fase, che abbraccia tutti gli anni ’90 fino al 2001 di Spy Game, diretto da Tony Scott, molte sono le pellicole in cui Brad Pitt ha dato ulteriore conferma della sua bravura istintuale e soprattutto di una sua ormai celebre versatilità. Non solo Johnny Suede quindi, ma anche In Mezzo Scorre il Fiume (1992) diretto da Robert Redford che forse sceglie Pitt per ricordare il se stesso di qualche decennio prima cucendogli addosso il primo dei  tanti ruoli da ribelle in tutto e per tutto che saranno il leitmotiv di tutto il decennio a venire. Due film in particolare ne accelerano il successo: Se7en (1995) e 12 Monkeys (1995) con cui ottiene un Golden Globe e una serie di nominations, tra cui quella dell’Academy.

A questo periodo appartiene uno dei miei ruoli preferiti, quello del Billy di Incubi (1992) film in tre episodi diretti da Richard Donner, Tom Holland e Robert Zemeckis. Brad Pitt è protagonista del segmento di mezzo, quello diretto dal regista di La Bambola Assassina (1988) e di Ammazzavampiri (1985). Storia di un bullo psicopatico che ingaggia una gara automobilistica con un poliziotto di quelli duri e puri interpretato da Raymond J. Barry. Spunto interessante della vicenda è l’attrazione/avversione di Billy nei confronti del poliziotto, quasi a sottacere una tensione omoerotica di matrice sadista. Peccato duri solo una mezzoretta. Qui Brad Pitt è senza freni.

A parte Fuga dal Mondo dei Sogni (1992), inguardabile nonostante i disegni siano eccezionali tanto quanto la Basinger in carne ed ossa, e il poco riuscito A Letto con l’Amico (1994), in cui comunque Brad Pitt oltre a sfoggiare il suo fisico perfetto sa stare al gioco della commedia brillante strappando la scena agli altri attori, non ci sono film in cui il suo apporto non sia fondamentale.

Si parla di film magari anche poco riusciti, come Vi Presento Joe Black (1998) o L’Ombra del Diavolo (1997), oppure criticati come polpettoni inutili e strabordanti come Vento di Passioni (1994) e Sette Anni in Tibet (1997), ma resta il fatto che Brad Pitt anche in certi film sa fare la differenza. Spassoso in Vi Presento Joe Black, trascinante in Sette Anni in Tibet, archetipo credibilissimo dell’antieroe ribelle di Vento di Passioni e maschera dolente in L’Ombra del Diavolo, film in cui la regia di Pakula sembra non esistere e che forse la prima opzione, Gene Hackman al posto di Harrison Ford, sarebbe stata un valore aggiunto capace di salvare la pellicola.

Ma gli anni ’90 sono anche gli anni di Intervista col Vampiro (1994), di cui gli si è criticata l’interpretazione, che credo invece sia una tra le sue migliori – si  sbrana senza fatica Tom Cruise. E sono gli anni anche del successo planetario di Fight Club (1999), cult generazionale dalla carica pulp, ridimensionabile nel tempo, ma sicuramente oggetto di perpetua ammirazione per linguaggio, forma e ovviamente performazione eccezionale di Pitt nel ruolo ormai celebre di Tyler Durden.

Con il 2001 Brad Pitt è un divo che ha superato il punto di non ritorno. Se The Mexican (2001) diretto da Gore Verbinski è divertente e trascinante solo alla prima visione, consacra all’eternità il curioso incontro tra Pitt e Gene Hackman che manco a dirlo riempie la scena oscurando il platino attore del Missouri, senza però metterlo in un angolo.

Con Spy Game, Pitt ritrova il suo altro da sé senile, Robert Redford, in un film per molti poco o per nulla riuscito, ma che per il sottoscritto resta un film solido e avvincente. Forse un po’ troppo veloce sul finale, ma pur sempre godibile e soprattutto ben interpretato sia da Brad Pitt che da Robert Redford, qui in uno dei suoi ruoli migliori.

Sempre nel 2001 inizia la quarta fase, la fase Ocean o anche fase glamour. Prendendo parte ai tre film diretti da Soderbergh, Pitt si allontana drasticamente dai ruoli anticonformisti a cui ci aveva abituato e sceglie la via del dolce glamour patinato, degli abiti di lusso e di uno lifestyle sempre più fashion. Anche il Troy diretto da Wolfgang Petersen nel 2004 risente di queste nuove tendenze nell’estetica dell’attore pur regalandoci un bel film di intrattenimento in cui il suo Achille ripete per certi versi il Tristan di Vento di Passioni. Del 2005 è anche il suo unico vero scivolone cinematografico: Mr. & Mrs. Smith che gli fa però conoscere la sua futura compagna Angelina Jolie. La coppia, pur molto attiva sul fronte sociale, sguazza nel lusso e nel glamour senza troppi problemi, attirando le critiche e i dubbi di chi non crede troppo alla favola degli attivisti politici e ambientali – l’isola a forma di cuore regalata all’attore dalla moglie per il suo cinquantesimo compleanno è per molti una caduta di stile e un abuso economico in contrasto con il titolo di ambientalisti.

Pur vegetando in questo quadretto famigliare da bilionari tutti laccati, griffati ed eleganti, Brad Pitt svolta nuovamente e tra il 2006 e il 2007, oltre all’ultimo capitolo della trilogia di Soderbergh, gira Babel (2006) di Alejandro González Iñárritu che definisce la migliore scelta della sua carriera e The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (2007) per la regia di Andrew Dominik, nome cruciale per il nuovo Pitt oltre che regista dal futuro più che promettente.

La Coppa Volpi per il ruolo di Jesse James, ottenuta al Festival di Venezia dello stesso anno, celebra un’intera carriera passata a rincorrere i ruoli più disparati, sempre restando fedele alla passione per ruoli bizzarri, sopra le righe e squisitamente anticonformisti. Proprio nel 2007, con Jesse James e la Coppa Volpi, si apre la quinta fase, quella tutt’ora in corso, che può ben essere la fase della maturità.

Con il ritmo di un film ogni anno e mezzo, più o meno a seconda del peso narrativo del personaggio, Pitt inanella una sequela di pellicole tutte applaudite dalla critica. Inoltre, aspetto molto più importante, sono applaudite anche e soprattutto le sue interpretazioni. Lo spassoso Chad di Burn After Reading (2008), l’antieroe al contrario de Il Curioso Caso di Benjamin Button (2008), il goliardico Aldo Raine di Bastardi Senza Gloria (2009), il composto padre padrone di Tree of Life (2011) di Malick, l’aggressivo manager di Moneyball (2011) tra i suoi ruoli più nominati nei vari premi cinematografici, lo spietato killer a sangue freddo di Cogan (2012) diretto di nuovo da Andrew Dominik, fino al recente successo mondiale di World War Z (2013) fortemente voluto dallo stesso Pitt, sono tutti ruoli in cui l’attore conferma non solo la sua proverbiale versatilità, ma anche la maturità di un uomo che è stato giovane, bello, travolgente e antagonista, preferendo ora ruoli più maturi e una certa criticità nella scelta dei personaggi, senza dimenticare i ruoli più bizzarri e quelli più carogneschi dove credo l’attore dia il meglio di sé.

Gli scarti espressivi, come li chiamo io, in cui la fantasia dell’attore subentra alla disciplina della recitazione, sono i momenti più esaltanti delle sue performance. Credo che nella commedia brillante e nei ruoli carogneschi, Brad Pitt sia sempre perfetto e a suo agio, mentre i ruoli più posati rischiano di farlo passare come attore monocorde. Va detto che come attore Pitt, soprattutto negli ultimi dieci anni, va di sottrazione, se il copione ovviamente non gli impone un certo istrionismo. Il suo stile, da The Assassination of Jesse James ad oggi è quello di un pacato istrionismo brandiano tutto concentrato in una mimica facciale compiaciuta e in un incedere composto e tranquillo. Se confrontiamo ruoli come quelli di 12 Monkeys, Fight Club, The Snatch, Kalifornia e Burn After Reading con quelli di Tree of Life, World War Z, Cogan, Babel  o i vecchi Spy Game e L’Ombra del Diavolo, appunto più contenuti e controllati, rintracciamo nella compostezza della presenza scenica la sicurezza del mezzo corporale, mentre proprio negli scarti espressivi possiamo ritrovare la grandezza dell’attore imprevedibile e istintivo che avevamo conosciuto negli anni ‘90. In The Counselor (2013), per esempio, dove appare in una bella caratterizzazione, lo troviamo monocorde, disciplinato, quasi imbolsito, forse è la sicurezza del personaggio, un grosso e pericoloso trafficante di droga, fatto sta che la sua recitazione è sobria, quasi assente, se non in un unico piccolo frangente prima che il suo Westray si congedi da Michael Fassbender, in cui una strizzatina d’occhio, forse fuori copione, ci ricorda l’estro purosangue di Brad Pitt che ci concede una delle sue celebri e accattivanti smorfie.

La cifra dell’attore venuto dal Missouri sta tutta negli scarti espressivi e nella sua versatilità – ha pure lottato fino all’ultimo per il ruolo da protagonista in The Wolf of Wall Street (2013), poi andato a DiCaprio con cui aveva già incrociato il destino nel 1997 quando rifiutò il ruolo di Jack in Titanic. Caratteristiche, queste, versatilità e scarti espressivi, che confermano la centralità della corporalità dell’attore in ogni sua performance. Spesso e volentieri con fuori il culo, Brad Pitt non si è mai realmente concesso totalmente nudo alla macchina da presa – se escludiamo i celebri scatti di nudo frontale integrale rubati all’intimità della copia Pitt-Paltrow alle isole Barthelemy nel 1995. E questo forse per pudore o forse per insistere sul suo reale talento attoriale senza scappatoie vanitose, il che fa di lui da sempre un uomo tutto d’un pezzo, lontano anni luce dai fichetti – o fichette – del teen-power odierno ed erede naturale di pezzi da novanta come Eastwood o Redford, dove l’iconografia dei propri personaggi parte dalla fisicità e dalla maschera dell’attore coinvolgendo il background dell’uomo.

Eredi? Se tralasciamo lo Spencer Daniels che interpreta Pitt da adolescente in Benjamin Button, credo che ad oggi l’unico capace di riempire la scena fisicamente come il big missourian boy sia il Cam Gigandet di O.C. (2005-2006), Never Back Down (2008), Il Mai Nato (2009), The Experiment (2010) e il recente Plush (2013). Bello, biondo, fisicamente anche più perfetto e scolpito del giovane Pitt, Gigandet ha dato prova di un certo carisma attoriale, soprattutto nei ruoli da villain, anche se a tutt’oggi non ha ancora una filmografia interessante e coerente come quella che aveva Brad Pitt alla sua età. Ulteriore conferma che William Bradley Pitt del Missouri appartiene a una categoria superiore, quegli attori di razza, decisi e determinati, che sanno bene cosa vogliono e come lo vogliono. Oltre a una certa dose di talento naturale che io chiamo istintualità attoriale e coinvolge tutti quegli elementi fisici, corporali e cinesici che fanno di un attore un segno, un corpo, un testo artistico.

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Brad Pitt: 7 film che fanno un mito

Abbiategrasso, mercoledì 22 gennaio 2014

 

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