La sequenza parodistica che incastra in un collage sghignazzato i vari film dell’anno e non solo (con Alec Baldwin e Inception quali bersagli principali) un po’ aveva fatto ben sperare, perlomeno in apertura. Non occorre molto però per rendersi conto di quanto spompa sia la conduzione di James Franco e Anne Hathaway: sardonico e plasticissimo lui in posture da dandy depresso, fastidiosamente affaccendata e sopra le righe lei che comunque un po’ ci prova, a tenere a galla la baracca. Purtroppo senza molto successo. Giustissime le massacranti e mostruose critiche in patria, soprattutto dell'Hollywood Reporter.
Meno male che la conduzione giovanile avrebbe dovuto svecchiare. Invece l’Academy si abbottona moltissimo rimembrando i fasti del passato più o meno recente, da Gone with the Wind a Titanic. La lacrimuccia non scende affatto, piuttosto sale un fiotto di rabbia per l’assenza in platea di Di Caprio, ancora una volta colpevolmente snobbato dalle nomination.
Miglior scenografia per Alice in Wonderland. Un po’ plastica e poco artigianale la resa visiva del film di Burton, ma originale davvero l’omaggio dei premiati al loro regista, un Oscar con in testa lo stesso copricapo del Cappellaio Matto Johnny Depp.
Tom Hanks apprezza la confezione ad arte delle buste, dopodiché premia Wally Pfister per la fotografia di Inception. La mia preferenza era per il Libatique di Black Swan, e mi dispiace moltissimo per Roger Deakins, ancora all’asciutto dopo 9 nomination andate a vuoto. Un vero tabù il suo nome per l’Academy. Comunque quello a Pfister premio insindacabile, Inception è un film (tra le tante cose) cromaticamente perfetto.
Kirk Douglas, signori. Inutile dire che l’ultranovantenne leggenda hollywoodiana dà vita al più gustoso siparietto della serata, forse l’unico da mandare a memoria (lo show col bastone, poi, tutto un programma…). Una Melissa Leo miglior attrice non protagonista, incredula e sbigottita, ritira la statuetta inchinandosi dinanzi all’irresistibile Kirk. “Sei più bella di com’eri nel film!”, le urla l’impareggiabile nonnetto Douglas. La Leo scade un po’ nella farsa accorgendosi (?) in ritardo della presenza di spettatori nella parte alta del Kodak Theatre, la sua gioia è davvero troppo recitata ma le va riconosciuto il merito di essere stata la prima a salutare l’Oscar con una vistosa parolaccia (fucking!). Il suo Oscar è comunque molto meritato, anche se dispiace non poco per l’umana e discreta interpretazione di Helena Bonham Carter ne Il discorso del re (la quale, tra parentesi, sotto la gonna portava una bandiera inglese legata poco sopra la caviglia...).
I bellissimi Justin Timberlake e Mila Kunis ripercorrono brevemente la storia del cinema d’animazione in ambito Oscar. Miglior film di categoria è, come da copione, Toy Story 3. Il regista Lee Unkrich prosegue sulla falsariga della serata come a tutti i premiati, ossia l’interminabile sfilza di ringranziamenti a manetta…
Ps. In una delle interviste sul red carpet la Kunis ha dichiarato di essere entrata in contatto con Aronofsky su Skype, probabilmente mentre sgranocchiava qualcosa…però.
La Hathaway ricorda la prima cerimonia della storia degli Oscar. Che vecchiume.
La canzone preferita di Obama scopriamo essere la leggendaria "As time goes by", from Casablanca. Hai capito...
I bolsi compagnoni Josh Brolin e Javier Bardem in pantegana bianca premiano Aaron Sorkin (Oscar sacrosanto!) per la miglior sceneggiatura non originale. Grande soddisfazione per l’autore di The West Wing, che ricorda Quinto Potere (The network, guarda caso, il titolo originale…) e il suo, il mostro sacro Cheyefsky (per me, è proprio Sorkin il Paddy Cheyefsky degli anni zero…geniaccio inarravabile).
Rattrista profondamente l’assenza fisica del nominato (per la 5a volta) Mike Leigh, ancor più il premio per la miglior sceneggiatura originale (?...ci torneremo) a David Seidler, già autore di “Tucker. Un uomo e il suo sogno” di Francis Ford Coppola. Nolan ha l’espressione giustamente intristita: che fine ha fatto la sua iperstimolante groviera onirica?? Scandaloso non premiarlo per lo script. Seidler ricorda quando suo padre gli disse che sarebbe stato una “fioritura tardiva”: è il più anziano premiato di categoria.
La Hathaway si burla allegramente degli australiani (che sia un rimando intertestuale a Il Discorso del Re?). Jackman è il bersaglio principe. Entra Franco in salsa Marilyn. Triste, davvero. L'originalità non è di casa.
Russell Brand e Helen Mirren sono la coppia di premianti peggio assortita della serata, ma anche una delle più gradevoli (il parallelismo tra la regina Elisabetta II della Mirren e il Giorgio VI di Firth è mirabile…): il duo male in arnese assegna il premio come miglior film straniero all’impacciata Susanne Bier e al suo In un mondo migliore. Per me, il suo film non era assolutamente da laureare con l’Oscar. Quanta retorica. E il meraviglioso Incendies??
Christian Bale trionfa come miglior attore non protagonista. Ringrazia “il grande spirito” di David O.Russell e della sua ispessita montatura. Grande inteprete, sanguigno ed estremo. Io avevo una predilezione speciale per John Hawkes, ma per quest'assoluto pioniere del metodo è la giusta consacrazione.
La cerimonia prosegue non poco abbacchiata, i ritmi sono alquanto morandiani e le rievocazioni ab ovo della coppia di Australia Kidman-Jackman non aiutano. L’impianto è sempre più da (prevedibile) nottata polpettone all’americana. Ci rinfranchiamo un po’ col premio per Trent Reznor e Atticus Ross, sorprendenti autori della pennelata e formicolante colonna sonora di The Social Network. Fincher ha un’espressione glacialmente asettica. Sembra aver una tarantola che zampetta sordida in oscure penombre. Forse, l’aria che tirava non gli sembrava già allora delle più propizie.
Randy Newman, una ventina di nomination e due soli premi, questo compreso, per “We belong together”, sinossi di Toy Story 3. In barba agli altri premiati, lui affarra dalla saccoccia il beneamato e liberatorio foglietto promemoria. Un po’ di spontaneità, per diamine. L’allusione al pollo alla Randy Newman che sarebbe ormai presenza fissa al party post-Oscar è un prodigio d’urticante genialità…
Ecco la Bigelow. E’ il momento di premiare la migliore regia. Si spera in un premio alla viscerale fantasiosità di Darren Aronofsky o ad un giusto tributo a David Fincher. Trionfa invece Tom Hooper, questo ragazzotto inglesone che ha confezionato un film sì classicheggiante ma mai stucchevole, profondamente bizzarro e vagamente eccentrico pur sotto la patina apparentemente convenzionale. Non sarà una scelta urticante o di totale rottura con la tradizione, ma tenendo conto dell’arroccato classicismo e dell’assoluto conservatorismo dell’Academy ci può stare. Hooper distilla a profusione dettagli e grandangoli, fedelmente a una passionaccia che lo contraddistingueva anche nel film tv Il maledetto United. Un sostanziale apporto registico a Il discorso del re da parte sua, comunque, c’è. Non sputerei fango sul suo premio, anche se dispiace, più per Fincher che per Aronofsky.
L’amatissimo pelandrone Jeff Bridges omaggia alla stragrande le varie attrici protagoniste nominate. Jennifer Lawrence se la ride sulla scena estratta da Un gelido inverno. Si intravede dietro di lei un Aronofsky cui è appena morto il gatto, dopo il premio a Hooper (che, con il suo intervento mammone, un po’ ha sconfessato l’originalità dello script de Il discorso del re, ma vabbè…).
E vince Natalie! Premio strameritato, assolutamente irreprensibile. Commovente la spontaneità dell’ex bambina prodigio di Léon, che ci delizia con la sua solita grazia e bellezza stordenti e loda il talento scapigliato di Aronofsky. Miss Portman sconfina quasi nel groppo alla gola.
Fa il suo ingresso Sandra Bullock in un rosso fiammante, quasi un must per la serata. Doverosa sviolinata a Bardem (per i suoi ruoli passati), ironia su Bridges che ha già vinto l’anno scorso (Joel Coen un paio di poltrone dietro sghignazza, e quando parla Oprah abbassa la testa), mentre Eisenberg (come dare torto a Sandra) “ha catturato lo spirito di una generazione". Un po’ l’attrice di Speed cincischia nel tenere sulle spine Firth, che quasi si commuove nel rivedere un frammento di The King’s Speech (forse il più sentito e intenso della sua interpretazione). Un Franco ai limiti del mutismo ammicca da una posizione imprecisata sul palco. E l’Oscar è di Colin Firth! Altro premio super meritato quello per l’attore inglese, che si prodiga in un discorso di ringraziamento molto british, molto composto, un po’ prolisso ma con la giusta dose minima di rimandi surreali (la danza etc…). Chapeau ad un’interpretazione magistrale.
L’onnipresente Spielberg premia il miglior film: a trionfare, conformemente alla piega presa dalla serata, è Il discorso del Re, film tradizionale ma non troppo, anche se di sicuro più rassicurante che sovversivo. L’Academy privilegia come di consueto un assoluto equilibrio tra le “sezioni” principali che concorrono al confezionamento di un’opera cinematografica (regia, sceneggiatura, attori), premiando l’opera di Hooper che di fatto tra tutte le nominate é quella meglio dosata, la più Academy friendly, la più armonica. La risultante perfetta delle sue componenti. Ma il tutto, come suggerisce qualcuno, non è forse più della somma delle sue parti? Un film non simmetricamente irreprensibile quanto Il Discorso del re, ma modernissimo e convulsamente attuale per scrittura, regia, messa in scena e implicazioni antropologiche come The Social Network non era forse più meritevole di statuette nelle categorie principali (attori esclusi) ?? Forse.
Cala il sipario anche su questi 83mi Academy Awards, l’appuntamento è rinnovato per l’anno prossimo. Abbiamo davanti 11 mesi di arroventati pronostici in un crescendo d’intensità e precisione, fino ad arrivare alla notte delle stelle dell’anno venturo (c'é da scommetterci, con un buon 90% di possibilità di azzeccare tutti i premi...), che ci auguriamo più elettrica e frizzante di quella appena trascorsa. Abbiate pietà dei cinefili nottambuli: la prossima volta, come conduttori, scegliete dei comici.
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