"ONDE", la storica rassegna del festival che si occupa soprattutto di cinema sperimentale, dedica quest'anno la ormai consueta retrospettiva (dopo quelle preziose su Eugene Green e Miguel Gomez degli anni scorsi) ad un cineasta di Hong Kong, YU LIKWAY, noto nel mondo del cinema soprattutto come uno dei più abili e competenti direttori della fotografia (collabora abitualmente con Jia Zhang-ke, ultimamente proprio con la notevole ultima opera "I tocco del peccato", in questi giorni in qualche sparuta sala) della cinematografia dell'Est, ma pure autore e regista di opere notevoli, complesse e anche visivamente uniche che gli hanno creato un seguito ed una fama notevoli, seppur circoscritte al mondo dei cinefili ed appassionati delle produzioni orientali. Presente spesso in sala ad accompagnare le sue opere, naturalmente inedite nel nostro paese, il 47enne regista si dimostra ogni volta disponibile al confronto, umile e gentile e aperto alle domande della stampa che lo segue con curiosità ed ammirazione. Dell'autore ho modo di visionare oggi due corti come l'apocalittico, poetico (già dal titolo magnifico e ridondante) e futurista DANCE ME TO THE END OF LOVE, il documentario su tre destini di donna NEON GODDESSES, e, nei giorni scorsi, due opere mature, indecifrabili e intricate come LOVE WILL TEAR US APART, carosello di destini che si incrociano nella boscaglia di cemento e neon fosforescenti di una Hong Kong che non ha tempo e possibilità di fermarsi per maturare sentimenti ed altre astrazioni; infine PLASTIC CITY, opera più matura ed ultimo fim per ora all'attivo come regista, trasferta brasiliana in una San Paolo corrotta er una cospirazione tra faide familiari con al centro interessi commerciali troppo grandi per essere lasciati al nemico e concorrente.
In tutti i film la luce sporca opaca conferisce aloni e sbavature che rendono alla perfezione l'idea di uno squallore dal quale ormai è impossibile liberarsi per raggiungere la purezza che non è neppure più un sogno. ALL IS LOST e'una lotta "in solitario" (per citare il fim francese con Cluzet di simile ispirazione) tra un uomo ed il mare aperto, con la sua splendida barca a vela che agonizza dopo essere stata devastata da un container caduto da qualche cargo.
J. C. Chandor, dopo l'ottimo Margin Call cambia registro e dirige con diligenza e un certo buon gusto che gli fa evitare lunghi introduttivi io narranti tronfi ed inutili, una deriva materiale di un uomo che tuttavia lotta senza cedere con una lucidità e una tenacia esemplari per trovare una soluzione a suo dramma. Incalzante e spesso teso senza forzature plateali inutili, All is lost è riuscito almeno fino ad un passo dal finale, fino a quando almeno il nostro protagonista non si arrende lasciandosi andare tra i flutti in una improbabile (e contraria ad ogni legge della fisica) scena di inabissamento che cita, speriamo involontariamente, L'Atalante di Vigo. Senza contare, a voler proprio fare i puntigliosi, che Robert Redford, uomo bellissimo da sempre anche in vecchiaia, non ha mai evidentemente accettato l'idea del naturale imbiancamento e quei suoi capelli paglierini alla Geppetto suscitano un senso di pietosa compassione che da uomo intelligente ed impegnato quale è , certo non merita. AU NOM DU FILS e' un piccoo gioiello di cinismo belga che ricorda, per spirito e sanguigna veemenza, quel "Kill me please" sulla morte assistita di qualche anno fa. Qui si parla di tutt'altro, della irriverente e sfrontata richiesta di aiuto di una chiesa barbarica ed approfittatrice, di preti predatori insaziabili e corrotti corruttori che coprono crimini vergognosi come abusi sui minori, di sette eretiche armate e pronte per una nuova crociata contro l'infedele. Tutto cciò con irinia, sarcasmo e tanto buon sangue, soprattutto quando una mamma modello e commentatrice radiifonica di una simil-radio Maria sim ritrova a perdere metà della propria famiglia felice da manuale per opera dei prelati viscidi e viziosi che la circondano. Au nom du fils è il film che rialza il livello di una rassegna "After hours" un po' ordinaria rispetto allamelevata qualità del Concorso di quest'anno.
THE CONSPIRACY invece è un brutto mockumentary, tedioso e supponente, che dovrebbe introdurci nel (vero...si figurati!) mondo dei complotti e delle sette segrete che a quanto pare ci piace credere che siano le chiavi che aprono le porte dei segreti dell'umanità e la viamper attingere al potere. Sciocco e fasullo, inutile e qualunquista come quasi tutti i film del genere. Si vadano a rivedere, autorene produttore certi film perfetti dim Pakula, magari proprio qui nella rassegna New Hollywood. Tra i film meritevoli di citazione, ma già visionati in altre occasioni o circostanza, citerei nuovamente FRANCES HA, spigliata e tenera commedia alleniana di un Baumbach mai così ispirato, per un nuovo moderno Manhattan sulla ricerca risoluta ma anche un po' scanzinata del giusto livello di affermazione nel mondo, che può magari essere quello per cui si lotta invano da tempo, magari organizzato diversamente o cambiato nel ruolo che si ambisce ricoprire. L'indiano UGLY del regista del capolavoro-fiume Gangs of Wasseypur, ci parla di un India cattiva, che cancella i colori per un cupo noir incentrato sulla spariziinendi una bimba, e la ricerca affannosa di un padre in un mondo cattivo, crudele e senza speranza. Altro che Bollywood, qui si muore e non esiste pietà neanche nei confronti dei bambini. LA DANZA DE LA REALIDAD ci restituisce il tanto temuto e terribile Yodorowski dopo oltre ventanni di silenzio, e ce lo riportamquasi sereno a raccontarci una favola autobiografica sula storia della propria famiglia, con il figlio protagonista che interpretamil grande regista, illusiinista, artista e chissà ncos'altro. Magia, stupore, colore e meno violenza di quanto ci si possa aspettare per un film che si apre alla vita e alla speranza...alla tenera età di ottantatre fantastiche e ottimamente portate primavere.
Si è fatta ora di cena (la solita pizzetta veloce, chi ha il tempo per mangiare ad un festival?) e da internet trapelano i risultati della manifestazione. Miglior film a CLUB SANDWICH è una scelta che condivido, dato che il film era nettamente tra i miei preferiti. Azzecco il premio alla interprete femminile di Pelo Malo, e mi frovo pure d'accordo col premio a Gabriel Arcand, attore che recita con gli occhi e la fissita' dello sguardo, premiato per l'intensome struggente Le demantelement, e a cui io avevo preferito , ma sul filo di lana soprattutto in virtu' di una dopoia presenza (Solferino e 2 automnes 3 hivers) il timido ed impacciato Vincent Macaigne.
Tirando le somme:
-ALL IS LOST di J.C. Chandor ***
-DANCE WITH ME TO THE END OF LOVE di Yu Likwai****
-NEON GODDESSES di Yu Likwai ****
-LOVE WILL TEAR US APART di Yu Likwai ****
-PASTIC CITY di Yu Likwai ****
-FRANCES HA di Noah Baumbach ****
-UGLY di Anurag Kashyap ****
-LA DANZA DE LA REALIDAD di Alejandro Jodorowsky ****
-AU NOM DU FILS di Vincent Lannoo ****
-THE CONSPIRANCY di Christopher MacBride **
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