Luca Malavasi, Il cinema di Arthur Penn, Le Mani, 2009, p. 304, € 15,00.
Quello di Malavasi è un lavoro doveroso, un riepilogo critico sull’opera di Arthur Penn, un regista che, anche prima del decesso (28 settembre 2010), aveva di fatto cessato l’attività cinematografica da quasi quindici anni. Il regista newyorkese (anche se nato a Philadelphia) è stato autore importantissimo nel cinema americano, soprattutto tra la fine degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta, portando sullo schermo densi testi teatrali (Anna dei miracoli, 1962) ed ottimi romanzi (Il piccolo grande uomo, 1970, da Thomas Berger), innovando il western (Furia selvaggia, 1958, ancora Il piccolo grande uomo e Missouri, 1976), rivisitando il noir (Bersaglio di notte, 1975) ed interpretando i nuovi fenomeni giovanili (Alice’s Restaurant, 1969). Ed ha diretto il film fondativo della New Hollywood, quel Gangster Story (1967) che davvero ha inaugurato un modo nuovo di fare cinema in America. Per questo, e per il suo interpretare il ruolo di regista in chiave di assoluta autonomia, Penn ha pagato in termini di boicottaggi reiterati da parte dei produttori, facendone le spese soprattutto con film quali Furia selvaggia, La caccia (1966) e Missouri. Penn, inoltre, è autore di una miriade di regie televisive e teatrali e di altri film che, nel finale della carriera, non sono all’altezza dei precedenti, ma tutti dignitosi e testimoni del talento di un regista che resta negli annali come un vero Autore. E giustamente Malavasi gli concede l’attenzione critica che merita.
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