Dopo l'anteprima dello scorso novembre del film "I ragazzi stanno bene", il Sicilia Queer Film Festival prosegue il suo cammino di visioni verso il festival vero e proprio, che si terrà a Palermo nel mese di giugno, attraverso la sezione denominata "Altre Visioni".
Le Altre Visioni, curate come il Festival dal critico Alessandro Rais, danno visibilità ad una cinematografia trascurata dal circuito distributivo ufficiale, sia perché legata alle tematiche della differenza di genere e di orientamento sessuale (il cinema GLBT vero e proprio), sia perché diversa in quanto indipendente sotto il profilo produttivo, nei presupposti politici, nelle scelte di poetica e negli approcci formali e tematici.
La prima serata prevederà si svolgerà il prossimo 28 febbraio a Palermo, presso il Cityplex Metropolitan, e prevede sia la proiezione dei film sia degli incontri con gli autori.
Ad aprir le danze, alle 18.30, sarà il film, inedito per l'Italia, "Public Lighting" che il regista canadese Mike Hoolboom ha realizzato nel 2004, introdotto per l'occasione da Giovanni Massa:
"Un videofilm in sette parti. Ogni capitolo è uno “studio” dei diversi tipi di personalità che sono state individuate dal giovane autore che ci guida attraverso il prologo. Il primo, un uomo gay, ci guida in un tour dei bar e dei ristoranti dove si sono concluse le sue storie d’amore, raccontando vicende ironiche dei suoi molti amanti. Un omaggio a Philip Glass è inaspettatamente seguito da “Hey Madonna”, una lettera alla cantante scritta da un fan sieropositivo. Carolynne festeggia un altro compleanno, ma ha perso la memoria alla televisione. Almeno lei ha una videocamera. Hiro vive la vita a distanza, raramente si avventura al di là della lente, e una giovane modella ansiosa racconta momenti toccanti del suo passato. Pochi registi riescono a utilizzare materiale d’archivio (found footage) in modo così emotivo, al tempo stesso divertente e incisivo: catene di immagini che inevitabilmente ci riportano indietro a parti di noi stessi. Questo lavoro di Hoolboom è in sintonia profonda con quella condizione umana che parla direttamente al nostro cuore."
Alle 20 sarà invece proiettato il film d'esordio del musicista creativo palermitano Gianni Gebbia, "Asakusa No Brecht", che l'autore presenterà in sala:
"Girato a Tokyo nel quartiere tradizionale di Asakusa, il film prende spunto da una fiction onirica tratta da una leggenda sul Budda del futuro Maitreya che appare in un cabaret di Asakusa e ci guida attraverso il mondo notturno degli artisti di una delle zone più pittoresche della vecchia Edo in seguito divenuta Tokyo.
Il quartiere di Asakusa è stato cantato da innumerevoli poeti e scrittori ed in esso si sono formate molte delle star dell’entertainment giapponese dagli anni 30 fino ad oggi, con il regista Takeshi Kitano che vi ha compiuto i suoi primi passi .
Questo quartiere è considerato il simbolo del “mondo fluttuante“ delle passioni e dei desideri, ma anche del mondo compassionevole della religiosità , perchè vi si trova uno dei più grandi templi del Giappone, meta di pellegrini e turisti sin dai tempi più antichi.
Girato senza un particolare intento documentaristico il film ci mostra una serie di artisti che reinterpretano gli stilemi classici del cabaret storico franco-tedesco unendoli alla tradizione giapponese.
Da figure come Ayachi Claudel, cantante brechtiana e chansonnière a danzatrici del ventre, soubrette e gruppi musicali tutti legati da un denominatore comune. Le poesie e le musiche di Bertolt Brecht e Kurt Weill fanno da cornice a questo viaggio onirico e poetico nel mondo delle notti di Asakusa creando un particolarissimo incrocio tra la cultura e l’imagerie occidentali ed orientali."
Alle 21 si lascerà invece spazio al percorso di deragliamenti e deflagrazioni visive e politiche di Ciprì e Maresco, con la proiezione del cortometraggio del 2000 "Arruso", seguito da frammenti inediti di fantasmi e zombie queer tratti da "Cinico Tv" e commentati in sala da Franco Maresco:
Che l’opera di Ciprì e Maresco non sia banalmente provocatoria, né vuotamente cinica, né squallidamente umoristica, lo si capisce meglio quando i due iniziano a lavorare sulla misura media e lunga. Nei documentari, ad esempio. Cioè quando ritraggono Palermo nella sua dimensione spettacolar-religiosa (Grazie Lia, dedicata alla santa patrona della città) e religiosa-spettacolare (il bellissimo Enzo, domani a Palermo! sull’equivoca ma vitalissima agenzia di spettacolo di Enzo Castagna, storico personaggio del settore [...] ), o quando affrontano in maniera non riverente e per questo profonda uno dei loro fratelli maggiori, Pier Paolo Pasolini, ai cui abboccamenti palermitani durante la lavorazione de I racconti di Canterbury è dedicato Arruso (in italiano «omosessuale», ma rendono meglio i dispregiativi «frocio» o «ricchione»), nel corso del quale vengono intervistate diverse persone che testimoniano o millantano amicizie e collaborazioni con il poeta scrittore e regista emiliano, e che rispondono all’immancabile voce off come e meglio dei sottoproletari di Pasolini (uno per tutti Saverio D’Amico, collaboratore proprio di Enzo Castagna, il quale, di fronte alla volutamente banale, squallidamente novecentesca domanda sugli intrecci tra arte e inclinazione sessuale di Pier Paolo Pasolini, supera il problema a pié pari rispondendo con una massima involontariamente degna della «rosa senza perché» di Angelus Silesius: «Il regista è regista. L’arruso è arruso»).
(Nicola Lagioia, “In memoria di Ciprì e Maresco”, in “Lo Straniero”, febbraio 2010)
Concluderà la serata alle 22:30 il film "Pietro" di Davide Gaglianone, uscito nelle sale italiane lo scorso anno e rimasto pressoche invisibile ovunque:
Da anni ormai, Daniele Gaglianone realizza del cinema italiano che puntualmente finisce sempre per essere trascurato sia dalla critica che dal grande pubblico. Eppure Gaglianone, lungi dal cedere alla tentazione di ammorbidire il proprio sguardo, linguaggio e compromettere la propria poetica, rilancia la sfida politica della complessità e procede film dopo film alla creazione di una vera e propria opera filmica che si configura come uno dei ritratti più attendibili del nostro paese.
Presentato all’ultimo festival di Locarno (…) “Pietro” è un film terribile e sconvolgente. Bisogna davvero amare in maniera smisurata il proprio paese e il proprio lavoro per osare realizzare un lavoro duro e forte come “Pietro”. Distribuito in poche sale nell’ultima settimana di agosto, è stato rimosso con fastidio e con una fretta degna di miglior causa.
Ridotta a poche strade, a qualche interno e a uno scorcio di metropolitana, la Torino di Gaglianone assomiglia a una paesaggio devastato da una guerra invisibile, rievocando nel cuore e negli occhi l’orrore laico di “Germania anno zero”.
Nel corpo di Pietro, Gaglianone mette in scena una resistenza ultimativa. Oltre non si può andare. Pietro, ragazzo con problemi di adattamento, ma colmo di una dignità indicibile, si prende cura del fratello tossicodipendente che invece lo insulta e lo dileggia davanti agli occhi dei suoi amici spacciatori. (…)
Gaglianone non si fa illusioni. E costruisce, apparentemente, un lungometraggio inospitale come il paese in cui è ambientato. Ma è proprio da questa schiettezza, da questa dolorosa onestà che emerge l’unica possibilità di amore non compromesso che resta al cinema italiano. Ossia quella di lavorare a una resistenza politica, morale e linguistica che nei segni delle inquadrature, dei raccordi di montaggio, della luce e dei movimenti di macchina offra la testimonianza di un esserci ancora nelle cose del mondo e della storia. È il cinema stesso, nel suo scarto dalla semplice mimesi cronachistica del reale, a diventare segno di un altro reale.
“Pietro” e Daniele Gaglianone sono l’esempio più sconvolgente di questa necessità che si impone al cinema italiano ma che purtroppo viene semplicemente rimossa o negata. Ma se d’altro canto “Pietro”fosse stato amato e compreso dal pubblico e dalla critica italiana, probabilmente non vivremmo in Italia ma in un altro paese. Più civile. E più giusto.
(Giona A. Nazzaro, in “Micromega”, gennaio 2011)
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