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Assonanze. Vittorio De Seta,Salvatore Di Vilio e la terra nostra.
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Il cinema di Vittorio De Seta ha il dono di offrire agli occhi quel riposo estatico tra le pieghe rassicuranti di cose consuete. Consuete non perché subitamente riconoscibili o semplicemente rassicuranti, ma perché marchiate a fuoco dal tempo storico e qualificate nella loro irremovibile unicità estetica dalla memoria collettiva di intere generazioni. Così come la fotografia di Salvatore Di Vilio, che sembra cingere d’assedio la sacralità della storia che si compie ferendone a morte ogni pur minima impurità. L’uno e l’altra paiono un caleidoscopio scomponibile di immagini in movimento rubate dai labirinti dei ricordi più fecondi, immagini che sanno squarciare con un inaudita precisione iconografica la densa tetraggine di un presente che va di fretta per restituirci la verità inconfutabile di una luce senza tempo e senza padroni. E’ il lavoro quello che ci viene rappresentato, fatto di sudore della fronte e dolore fisico, scarpe bucate e abiti ridotti a brandelli, lavoro condotto secondo una metodica certamente massacrante, come dimostrano i volti lacerati dalla fatica, eppure capace di suscitare una sensazione di libertà finalmente compiuta. La mietitura del grano e la lavorazione della canapa, si compie in essi una ritualità del gesto che si fa cultura da tramandare, capace finanche, pur nella parzialità sottintesa dalla sua dimensione spazio temporale, di suggerirsi come antidoto all’odierna latitanza della bellezza, di porsi come idea progressiva di un domani depurato di precarietà riannodando le fila con la coscienza fertile di una memoria da poter condividere : quella che sa concepire gli averi dell’uomo come il frutto essenziale del proprio lavoro e il lavoro di ognuno come lo strumento sufficiente per giungere al soddisfacimento minimo dei propri bisogni primari. E’poi il legame simbiotico tra l’uomo e la terra ad uscirne mirabilmente magnificato dalle opere di De Seta e Di Vilio, un rapporto che segue il ritmo biologico delle stagioni e sa vivere dei doni offertogli dalla natura, un rapporto restituitoci aderendo umilmente alle cose così come sono, senza opporre resistenze “intellettuali”e senza generare inutili artifici. La terra da e riceve con ciclica puntualità, occorre portargli rispetto con consapevole onestà d’intenti se si vuole che qui ed ora non si pratichi nei fatti la morte del nostro avvenire (come ci suggerisce anche la poetica di Michelangelo Frammartino). La terra E’, e la nitida bellezza delle immagini la catturano mentre la lenta liturgia del lavoro gli reca il massimo del rispetto possibile, una lentezza che sa essere un ode alla vita. Per questo l’arte di Vittorio De Seta e Salvatore Di Vilio è già futuro, nonostante vive nel proprio presente e trae linfa da un passato che non ritornerà più : perché sa proiettare una forma possibile di felicità da poter riconsegnare ai posteri.

 

Letture consigliate

Il mondo perduto di Vittorio De Seta.

I giorni della canapa. Storia per immagini in terra di lavoro.

 

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