In molti la ricordano per essere stata "Karin le cosce" nell'indimenticabile cult Boris. Altri ancora legano il suo volto a un popolare e "bollente" spot televisivo. In molti, invece, la stanno seguendo in questi giorni nella popolarissima serie televisiva Le tre rose di Eva, la cui seconda stagione appassiona più di 5 milioni di italiani su Canale 5. Lei è Karin Proia, che dopo gli inizi da modella è riuscita a costruirsi un variegato curriculum da attrice, conservando sempre intatto il sogno di diventare un giorno regista. Fascino mediterraneo, fisico statuario e un sorriso da bambina impertinente, Karin si è prestata ad un'intervista che mette in risalto come, se qualcuno avesse ancora dubbi, bellezza e intelletto spesso vanno di pari passo.
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In questi giorni stai arrivando nelle case di tutti gli italiani con la fiction di Canale 5 Le tre rose di Eva 2, un successo da 21% di share, in cui interpreti il ruolo di Marzia Taviani, la sorella della protagonista. A differenza di certa serialità italiana, Le tre rose di Eva 2 si caratterizza per standard di recitazione molto alti e per ambientazioni molto ricche. Come ci si trova a lavorare in un set in cui ci sono tante donne protagoniste (da Paola Pitagora a Giorgia Würth a Anna Safroncick)?
Meno male che ci sono tante donne protagoniste. Per una trama così intricata e per un programma talmente intenso da rispettare in fase di riprese, è stata una fortuna essere state in tante e dividersi i compiti sul set. Nel lavorare a una fiction, gli attori sul set siamo sottoposti a orari durissimi: ad esempio, per Le tre rose di Eva 2 abbiamo girato quattordici puntate in quattro mesi, procedendo con picchi anche di 13 scene al giorno.
Nonostante i tempi forzati di lavorazione, la qualità del prodotto rimane molto alta. Tutto è ben curato e, soprattutto, dà l’impressione di essere molto “ricco”.
Rispetto ai tempi che abbiamo e ai pochi soldi a disposizione, si. Anche i “poveri” sceneggiatori si ritrovano spesso a scrivere tutto di corsa: durante le riprese di questa seconda serie, scrivevano ad esempio mentre stavamo già girando. Lo spettatore, però, di fronte al risultato raggiunto è portato a credere che vi abbiamo impiegato più tempo di quello che in realtà è stato.
Le tre rose di Eva 2 ha tutte le caratteristiche del melodramma nazional-popolare in grado di attirare il grande pubblico, come dimostrano i risultati eccellenti di ascolto ottenuti dalle prime puntate. In quest’intreccio di amori, tradimenti, ripicche e vendette personali, come si posiziona la tua Marzia? Chi è e cosa dobbiamo aspettarci?
Fino alla fine della prima serie, Marzia era un personaggio che rimaneva fuori dalle logiche di vendetta e asti che accompagnano chi la circonda. Dall’indole molto positiva, non amava gli intrecci e ha anche lasciato il suo grande amore per un ragazzo serio. Il fratello Monforte di cui era innamorata non le dava sicurezza per il suo essere un po’ sbandato: Marzia aveva cercato di salvarlo dalla droga ma non vi era riuscita, scegliendo alla fine di rifugiarsi in un “bravo ragazzo”. In questa seconda serie, invece, Marzia comincia a seguire più le scelte del cuore piuttosto che quelle della testa e sbaglia, pur consapevole di stare sbagliando ma con il desiderio di vivere intensamente.
In Le tre rose di Eva 2 condividi la scena con molti attori che hanno una lunga esperienza teatrale alle spalle. Anche la tua carriera sul palcoscenico comincia molto presto e vanti un interessante curriculum in cui spiccano opere tratte da Arthur Miller, Robert Harling, Luigi Pirandello e Dan Gordon.
Potevo fare di più ma il teatro è faticosissimo. Con Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller, che è stato lo spettacolo che mi ha avvicinato al mestiere dell’attrice, abbiamo girato con le repliche per cinque anni e, dopo tutto questo periodo a percorrere l’Italia, mi sono resa conto che non avevo più una vita personale, che non riuscivo a stare più né con i genitori né con gli amici e che vivevo un po’ qui e un po’ lì. Per un breve lasso temporale, come esperienza di vita va benissimo ma non rientrava in quello che desideravo fare io per sempre. Cominciavo quasi a soffrire di mal di mare a forza di girare e di non avere punti fissi. Per me, ad esempio, è importante avere dei posti fissi, da cui eventualmente sposarmi: sono un po’ come la luna e, così come la luna muta continuamente con le sue fasi, io cambio da un’ora all’altra.
E direi che quest’aspetto del tuo carattere è evidente scorrendo la lista dei lavori che ti hanno vista protagonista al cinema o in televisione: da Don Matteo a Vola Sciusciù, da L’avvocato Porta a Boris, tutti prodotti tra loro molto differenti.
Pensa che mi sono anche trattenuta. Se avessi la possibilità di scegliere, sceglierei delle cose più mirate ma, non essendo un’attrice che si può permettere di selezionare i progetti a cui lavorare, mi impegno in quello che mi richiedono.
Da cosa dipende il fatto di non poter selezionare cosa fare e cosa no?
Dipende dalla richiesta. Se ci fosse più richiesta per me e tutti mi volessero, potrei scegliere di più. Però, va anche rilevato che negli ultimi anni in Italia si produce pochissimo: nel vedere quanti (bravi) attori stanno a casa o sono sottoimpiegati, mi ritengo fortunata a lavorare e a farlo anche con costanza. Rispetto a qualche anno fa, per via della crisi e del calo degli introiti pubblicitari, il numero di produzioni per la televisione (lo stesso discorso può farsi anche per il cinema) si è ridotto notevolmente così come sono diminuiti i soldi da destinare a un singolo prodotto. Gli unici oggi a poter selezionare qualcosa, perché magari ricevono più proposte contemporaneamente, sono coloro che hanno una certa notorietà.
Fino a qualche giorno fa, il pubblico televisivo ti ammirava anche in Ombrelloni, una breve sit-com che andava in onda su Raidue a ridosso del tg di prima serata. Che esperienza è stata?
Ombrelloni è stato un esperimento per la tv, dal momento che nasce come una serie web. Mentre ad esempio Le tre rose di Eva 2 è un melodramma girato come un film, con le macchina da presa, regista e troupe, e con molti esterni, Ombrelloni è girato in studio, con telecamere fisse o semifisse che riprendono scenette in un ambiente che è sempre lo stesso. Ho trovato il progetto e il suo modo di sperimentare molto interessante e ho voluto mettermi alla prova: del resto, il mestiere di attore è anche quello di cimentarsi in cose tra loro agli antipodi.
Anche perché chi ha fatto Boris, che prende proprio in giro in maniera sensata il mestiere di attore, può permettersi poi di far qualsiasi cosa.
Io lo dico sempre: Boris non è una sit-com, è un documentario, oltre che una bella palestra.
Al di là del mestiere di attrice, hai anche sperimentato l’ebbrezza di curare la regia di un cortometraggio del 2008 dal titolo Farfallina. Da cosa nasce il desiderio di mettersi in gioco passando dietro la macchina da presa?
Non c’è mai stato il desiderio di passare dietro la macchina da presa ma c’è stato sempre e solo il desiderio di stare dietro la macchina da presa. Sono cresciuta in un borgo in provincia di Latina, Borgo Podgora, un posto in cui non c’erano le meraviglie architettoniche di Roma a riempirci gli occhi e in cui tutto era anonimo, a parte la meravigliosa campagna. Lì, non avevo molti stimoli artistici mentre io ero una creatura dallo spirito prettamente artistico, che mi portava a cercare un contatto con l’arte e tutte le sue forme. Mi ricordo che ho chiesto a mio padre di iscrivermi a un corso per imparare a suonare il pianoforte o che mi piacevano le poesie quando le leggevano a scuola. Non conoscevo però molto: mio padre era comunque un impiegato, mia madre ha sempre fatto la parrucchiera e poi la casalinga e, di conseguenza, non erano molto vicini all’arte. Quando però vedevo delle cose che passavano in tv e che mi piacevano, come ad esempio le pubblicità glamour che andavano una volta o i film di Sergio Leone, rimanevo incantata. Devo anche al lungo piano sequenza di Professione reporter di Michelangelo Antonioni, il desiderio di fare cinema. Il cinema racchiude in sé tutte le arti, dalla musica alla fotografia alla scrittura, e ciò mi ha spinto a sognare di fare la regista. A otto anni andai da un vicino di casa per chiedergli come si facevano le pubblicità e questi, che faceva anch’egli l’operaio, non seppe ovviamente rispondermi: io non volevo allora fare le pubblicità come attrice ma proprio come regista.
Crescendo, poi, ho frequentato scuola d’arte e mi sono avvicinata al mondo del cinema. Sono anche al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma per fare regia ma il bando era già uscito e avrei dovuto aspettare due anni per il successivo. Nell’attesa, piuttosto che stare ferma, ho fatto un corso di recitazione per capire che esigenze hanno gli attori, convinta del fatto che un bravo regista debba capire i propri attori.
E immagino che da lì tu abbia iniziato a lavorare come attrice.
Quasi per gioco, mentre facevo il corso, sono andata ad un provino e mi hanno presa proprio per Uno sguardo dal ponte di Miller. Tra l’altro, non volevo neanche far lo spettacolo per la paura di dover andare in giro ma il regista Teodoro Cassano ha insistito molto, chiamandomi spesso a casa e rassicurandomi. Ho scoperto così che il mestiere di attrice mi piaceva tantissimo. E continua a piacermi tuttora regalandomi grandi soddisfazioni, anche se la voglia di far regia non mi ha mai abbandonato. Sotto sotto, lavoro sempre a qualcosa di mio che spero veda la luce presto.
Ti sei anche recentemente cimentata con la regia di un’opera teatrale, Palco a due piazze.
Mi sono divertita tantissimo. Si tratta di uno spettacolo che abbiamo portato in scena quest’estate e che è andato molto bene dal punto di vista sia di pubblico che di critica. Mi è piaciuto molto giocare con la musica e con le luci.
Dicevamo prima che da piccola rimanevi affascinata dalle pubblicità glamour. Quasi fatalmente sei poi diventata protagonista di una pubblicità che a distanza di parecchi anni continua ad essere un tormentone. Basta esclamare “Anto’, fa caldo” che chiunque ha presente di cosa si sta parlando. Non ti dà fastidio essere ricordata per quei pochi secondi piuttosto che per qualcosa di molto più impegnato?
In questo il pubblico è molto variegato. Anto’, fa caldo se lo ricordano tutti proprio perché si tratta di una frase ormai entrata nell’immaginario collettivo. Per fortuna, tantissimi si ricordano anche Chi ha ucciso il conte? e moltissimi altri un monologo di cinque minuti, in cui ero Salomè e che feci in diretta televisiva in un programma di Paolo Limiti tutto in primo piano. Questo mi dà molte soddisfazioni: il pubblico mi ricorda per tante cose, tra cui Anto’, fa caldo. Con questo non voglio dire che rinnego quel meraviglioso spot, anzi. Mi fai tornare in mente anche un’altra pubblicità di cui sono stata protagonista e di cui in parecchi si ricordano: quella di una mozzarella e del suo tormentone - “Pettinicchio Pasquale, la prova del latte ce l’hai?” “La prova di che?”- che portavano la gente a riconoscermi per strada e a fermarmi.
Nella tua carriera sei stata diretta poi da registi come Rossella Izzo, Stefano Sollima, Pasquale Pozzessere, Enrico Oldoini o Enzo Monteleone. Come ci si trova ad essere plasmata da persone che hanno tra loro un’idea così differente di cinema?
Affidarsi a un regista, a un costumista o a tutti coloro che lavorano su un set, per me è fondamentale. Se li ascolti, ti aiutano a capire il personaggio e a cambiare radicalmente quando lo interpreti. Mi sono sempre messa nelle mani del regista per cambiare il più possibile: saper fare l’attore vuol dire anche essere mutevoli e poter diventare sempre qualcun altro. La varietà di registi con cui ho lavorato mi ha aiutata in questo: ad essere diversa da quello che sono nella vita di tutti i giorni.
Di recente, mi sembra che tu abbia intrapreso una via che ti porta spesso ad accettare ruoli più da commedia che da dramma. Penso a Boris ma anche a prodotti come Area Paradiso. In quale ruolo ti trovi meglio?
All’inizio della carriera mi facevano fare sempre ruoli drammatici e disperati: ogni volta che c’era un bambino rapito, un marito ucciso o una scena da strapparsi i capelli, mi chiamavano. Mi piace, però, oscillare da un genere all’altro e mettermi alla prova. Essendo una che fa le cose di pancia e che si immedesima molto nei propri personaggi (chi lavora con me spesso fatica a capire in realtà che carattere ho), ultimamente ho rifiutato solo un testo teatrale per me davvero molto faticoso. Non voglio precludermi niente: l’unica scelta potrei farla tra un film da interpretare e uno da dirigere. Opterei, ovviamente, per quello da dirigere, a meno che non me lo proponga Baz Luhrmann.
Nel tuo futuro ci sono due differenti progetti in fase di arrivo: Ragazze a mano armata, un film per il cinema diretto da Fabio Segatori, e La mia bella famiglia italiana, un tv movie coprodotto dalla Rai e dalla televisione tedesca ZDF al fianco di Alessandro Preziosi.
Ragazze a mano armata è una commedia brillante ma piena di azione, un formato insolito per l’Italia. È stato girato a Messina ed attualmente è in post-produzione, per cui non so esattamente quando arriverà in sala. Si tratta della storia di tre ragazze oneste di Corleone che, studiando a Messina e non riuscendo più a pagare la casa in affitto, decidono di subaffittare una stanza. Si ritrovano così alle prese con una donna misteriosa, che sarei io, all’apparenza una signora veneta molto elegante ma che si scopre essere una rapinatrice romana. Da lì, succede poi di tutto.
In La mia bella famiglia italiana di Olaf Kreinsen sono invece l’antagonista, una rivale però buona. Si tratta di un film realizzato per Raiuno in cui Alessandro Preziosi interpreta un uomo che dall’Italia parte per la Germania dopo aver assistito ad un omicidio. Sollecitato dalla mamma e dal fratello, rientra tempo dopo a casa e scopre che le condizioni della sua famiglia non sono delle migliori. Io sono l’ex fidanzata di Preziosi, che lo aspetta negli anni, che ha avuto una figlia di cui non si sa bene chi sia il padre e che risulta la terza incomoda quand’egli viene raggiunto dalla moglie.
Quale è l’esperienza più divertente accadutati su un set e quale invece la scelta che con il senno di poi non rifaresti?
Una volta, giravamo una scena in un aeroporto chiuso al pubblico per l’occasione. Andai in un bagno non proprio vicino al set e rimasi chiusa dentro. Non avendo con me il telefonino, non ero nella possibilità di cercare aiuto. Ero disperata, mi aspettavano e non sapevo come uscire. Per fortuna, avevo detto a qualcuno dove andavo e si son messi a cercarmi in tutti i bagni dell’aeroporto, fino a quando non sono arrivati dove stavo io.
Se potessi, invece, non rifiuterei un paio di lavori. Per paura e ansia, ho rifiutato ad esempio di affiancare Adriano Celentano per una trasmissione televisiva su Raiuno: da incoscienti, questa è forse la più grande fesseria da me commessa. E poi una serie televisiva sempre della Rai, che ebbe un grandissimo successo e che è tuttora in onda: in questo caso, è stato un mio errore di valutazione.
Della tua vita privata si sa relativamente poco. Sei felice sposata con l’attore Raffaele Buranelli e insieme avete una figlia ma, contrariamente a molti colleghi, non vi si vede spesso sui giornali.
Non mi piace esporre troppo il mio privato. Come dice la parola stessa, il privato è privato. Considerato che anche mio marito è un personaggio noto, possiamo nasconderci poco. Non mi piace neanche non parlarne del tutto e, dunque, una sana via di mezzo non guasta. Però, ad una cosa tengo: mia figlia, fino ad adesso, non è mai stata fotografata. Non escludo a priori che possa avvenire ma al momento non mi va che sia data in pasto ai media.
Se tua figlia un giorno ti dicesse che vorrebbe fare il tuo stesso lavoro?
Deciderà lei in piena autonomia quello che vorrà fare. Se volesse fare l’attrice, non sarei certo io a farle cambiare idea: credo che ognuno abbia la libertà di scegliere ciò che vuole fare. Spero tanto che voglia fare l’ingegnere aerospaziale o qualcosa del genere! Anche i miei genitori, ad esempio, mi hanno sempre lasciata libera di scegliere. Mio padre, ad esempio, mi accompagnava sempre ai provini e, se non poteva prendere dei permessi al lavoro, mandava mia madre o mio fratello. In molti non sapevano neanche che era mio padre: geloso, se ne stava in un angolo ad osservare e in molte occasioni finiva anche per divertirsi, come ai tempi in cui facevo da valletta al programma Scommettiamo che…?, dove dietro le quinte incontrava i personaggi che partecipavano alla puntata o le star ospiti.
Tu hai mai avuto la sensazione che esista una sorta di discriminazione tra gli attori che fanno cinema e quelli che invece lavorano soprattutto in televisione?
Negli ultimi anni la situazione è cambiata. Una volta c’erano molti più atteggiamenti snob nei confronti dei volti che si vedevano in televisione. Semmai, bisogna chiedersi come mai al cinema si vedono sempre gli stessi attori impegnati sempre negli stessi ruoli. Perché non cambiare, puntando a nuovi affezionati? Io stessa spesso non vado al cinema perché vedo sempre le stesse facce: non vado a guardare un film in cui già so che cosa aspettarmi da tizio o da caio, dall’attore che fa sempre il tenebroso o dall’attrice che fa sempre la bellona di turno. Per non parlare poi dei ruoli sbagliati affidati alle persone sbagliate: capita sovente che un attore, anche bravo, venga preso per fare un ruolo che non è nelle sue corde o che non è in grado di fare. La cosa bella di Boris, ad esempio, era che ogni attore era perfetto per il suo ruolo.
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