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Venezia 2013: protagonisti. Dolan, Landesman, Allouache e...Miyazaki
di maurri 63
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La carrellata sugli autori che a Venezia 2013 si contenderanno il premio volge al termine. L'ultima scheda, la prossima, riguarderà la controversa figura di Amos Gitai. Prima, però, volevo aggiungere qualcosa sui candidati al Leone d'Oro di cui non ho modo di tracciare un vero profilo.

I miei scritti sui registi qui presentati nascono da incontri, occasioni di scambio, in alcuni casi frequentazioni: tutto ciò che ho scritto, dunque, è un'esclusiva di Cinerepublic.

Non attingo a forme enciclopediche che non siano i miei ricordi: di ogni attimo vissuto in un cinema, ho un appunto.

Ogni impressione, momento (per me epocale) che scandisce la mia (e abbastanza comune) passione è vissuto. Tutto ciò di cui dispongo sono gli aneddoti, spesso personali, che mi permettono (spero senza presunzione) di inquadrare un personaggio, di là dai suoi film.

Perciò, non potrò parlare di Peter Landesman (in concorso con “Parkland”): nel mio taccuino, infatti, non ho nulla al riguardo; potrei, certo, ricorrere ad altre fonti: ma non è il mio modo di lavorare.

Peter Landesman

Parkland (2013): Peter Landesman

Io opero solo dopo una conoscenza diretta, al termine di un minuzioso percorso documentale, dopo aver visionato – più volte - i lavori di chi è oggetto del mio racconto: allo stesso modo, non posso parlare di Merzak Allouache, di cui ho visto solo una pellicola (“Tamanrasset”), che è indice di un modo narrativo ancora grezzo, ma, probabilmente, vicino allo spirito algerino, teso a sopportare spesso in modo sarcastico-umoristico le più inacceattabili condizioni di vita.

Merzak Allouache

Les Terrasses (2013): Merzak Allouache

E' in concorso con “Les terrasses”: a lui, come a Landesman – pur se lautamente adulti: la carriera è “avvenuta”, in effetti, e non è “in divenire” – non posso che formulare i migliori auguri di riuscita sul palcoscenico lagunare, ma mi sento inadeguato a tracciarne un ritratto. Diverso il discorso su Hayao Miyazaki: come noto, ho lavorato qualche tempo nell'industria (?) del fumetto. Dovrei, quindi, avere una certa familiarità con il cartone animato: e invece, no. Come tutti, sono cresciuto con i familiari episodi disneyani, credendo si trattasse (e parlo del “genere” cartoon) di opere importanti, ma destinate ad un determinato target. Gli anni, invece, hanno catapultato su questi schermi straordinari film: “Valzer con Bashir” (di Ari Folman, 2008), “Persepolis” (Marijane Satrapi, Vincent Paronnaud, 2007), l'attuale ( e molto criticato...) film del mio cugino produttore “L'arte della felicità” (ah, Spaggy, nella tua prossima visita a Napoli un'intervista a Luciano mi sa che è doverosa....), fuori concorso a Venezia, per finire con “Ponyo sulla scogliera” proprio di Miyazaki, che non possono individuare un unico “genere”. Si tratta, infatti, nell'ordine, di opere di denuncia sociale, commedia, dramma e fiaba. Per lo più, quindi, destinate ad un pubblico adulto, che sia già padrone dei codici visivi per favorirne la comprensione. Sono, in definitiva, pellicole che hanno aperto il dibattito (cui non è esente il documentario) : “il cartone animato è un genere oppure si possono girare film di genere con i cartoni animati ?”. Mi sottraggo alla risposta e, considerando la ricchissima bibliografia esistente sull'Autore de “La città incantata” ed altri capolavori, tralascio la scheda sul regista-animatore-fumettista-sceneggiatore-produttore nonché fondatore dello studio “Ghibli” nipponico, ricordando che è in concorso con “The Wind Rises”.

Hayao Miyazaki

Si alza il vento (2013): Hayao Miyazaki

Restano le Dola(e)...nti note di un ragazzino chiamato Xavier: nel mondo, ogni tanto, su 4/5 milioni di persone, nascono dei geni. A costoro, i maestri, le guide, gli studi servono poco. Ciò che sanno, è già nel loro DNA. Non conosco nulla di Xavier Dolan, perciò, anche qui, non posso scriverne. Ma, a soli 24 anni (!!!!) ha già dieci anni di professione sulle spalle. Quale il suo percorso, la sua formazione, la sua (se ce n'è) poetica ? Certo, potrebbe essere uno di quelli che nascono ogni 4 milioni di abitanti: sarebbe bello. Ma, anche in questo caso, le recensioni su “Tom at the farm”, in concorso per il Leone d'Oro, non mi paiono esaltanti. Mi chiedo anche con quale autorevolezza, con che forza associativa logica (elemento essenziale per l'interpretazione), egli possa dirigere gli attori. In Italia, gli esordi fanciulleschi sono stati un paio, con carriere risibili, prorio per non aver saputo aspettare (Samperi, Muccino sr). Il mio augurio, quindi, è che egli possa tornare dalla Mostra a mani vuote: vincere un premio così importante in tenera età stronca sempre una carriera. E, per il bene che voglio al cinema, considerate le premesse, mi piacerebbe che questo ragazzo canadese ne avesse una lunga e importante.

Xavier Dolan

Tom at the Farm (2013): Xavier Dolan

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