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Venezia 2013: protagonisti. James Franco
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Non sono un esperto di serial killer: qui, per la verità, avrei bisogno dell'aiuto di maghella, che, al contrario, ne disquisisce volentieri. Proverò comunque a tracciare un profilo di James Franco.

 

Franco, James ; Palo Alto, classe 78

 

 

Se si ha voglia di fare cinema, almeno di vivere esclusivamente davanti (e dietro) la macchina da presa, non c'è dubbio: Hollywood è l'unico posto del mondo che lo permette. E James Franco ha tutto dello stereotipo hollywoodiano: provenienza californiana, sfrontatezza nel parlare, sempre sorridente, a volte anche spaccone. Soprattutto, quell'impegno civile che i divi statunitensi praticano, magari per discolparsi di essere ricchi e famosi, o soltanto perché sentono necessario occuparsi di chi non è stato altrettanto fortunato. Figlio di un'immigrata russa (la nonna materna, dopo il cambio del cognome da Verovitz a Verne, aprì la celebre galleria d'arte che porta il suo nome a Cleveland) e di un direttore di una compagnia che forniva container sui cantieri edili, dopo il diploma alla Palo Alto School, prova a iscriversi all'Università californiana di Los Angeles per laurearsi in inglese, ma la recitazione ha ben presto il sopravvento su tutte le altre materie. Nel suo cercare la forma perfetta per dimostrare “di essere un interprete” (come spiegò, qualche anno fa, a Variety), perse circe due anni, prima di presentarsi ad un provino. L'unica dote, in fondo, erano le lezioni impartitegli da Robert Carnegie. Se hai modo di parlargli (e spero che Spaggy, Allan Smeethe o anche il buon Gimon magari ci riescano), però, James rivela tutte le sue ansie: si mostra timido, persino impacciato. Io penso che il suo super attivismo (cfr recensione di Spaggy: http://cinerepublic.filmtv.it/child-of-god-recensione-di-spaggy/23295/) sia molto utile a mascherare la sua insicurezza. Francamente, però, so molto poco del suo stile dietro la macchina da presa: se posso giudicare le sue capacità di attore – ma ci sono due Franco, quello “mainstream” di “Spider – Man”, e quello più introspettivo di “127 ore” -, sono impossibilitato a darne un giudizio estetico sull'uomo regista. La sua onnipresenza, però, lo rende antipatico: il volersi proporre sempre come primo della classe – ha perfino ripreso gli studi, laureandosi caparbiamente nel 2009 -, pulito (eppure aveva iniziato ispirandosi a James Dean...), intellettualmente preparato, alla lunga non paga. Anche se ha partecipato ad altri festival con suoi lavori, Venezia è il primo, vero, banco di prova. L'unico Festival di peso che, al momento, gli ha concesso spazi. E, pensando che il protagonista di “Child of God” non è egli stesso, ma Scott Haze, vien da chiedersi quale siano i motivi di questa scelta. Dicevamo all'inzio dei serial killer: sostanzialmente, il film in concorso è, depurato delle canoniche circostanze hitckokiane, una visione drammatica di un Norman Bates di altra latitudine. E, proprio per questo, l'attore che fu il figlio di Goblin e poi ancora lui stesso il “Folletto verde”, avrebbe ben figurato come psicopatico. A meno che non abbia deciso che la natura dell'omicida va provata prima assassinando il suo cammino da regista.    

James Franco

Child of God (2013): James Franco

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