Diario personale di un inviato al Festival — Impressioni, pensieri, opinioni
Venezia, terzo giorno e una questione di vitale importanza. Qualcuno avverta i responsabili del servizio climatizzazione che è diventato quasi impossibile seguire i film in sala, soprattutto alla Darsena, per via di temperature che fanno diventare gambe e braccia dei poveri spettatori in iceberg pronti ad affossare qualsiasi nave da crociera all’orizzonte. E vi garantisco che non si tratta dell’effetto di certi film visti, freddi o inutili al punto da far accapponare la pelle.
Un ulteriore rimprovero va anche a certi colleghi giornalisti che durante le proiezioni manifestano comportamenti che ricordano il tanto vituperato reame degli spettatori da multiplex: dal tizio francese che, incurante dei rumori generati, sgranocchia residui di un pacco di patatine fino all’arzilla vecchietta italiana, che armeggia con il suo iphone dotato di luce d’emergenza e di una suoneria “deliziosa” (lo sciacquone di un water) che interrompe anche il più grande dei silenzi di Gröning. Direi che sarebbe l’ora di smetterla e di dare noi il buon esempio, no? Così come incomprensibili risultano i fischi alla fine di un film come The Canyons, che perfetto non sarà ma che definire trash cult senza averlo ancora visto la dice lunga sull’approccio mainstream e colorato all’opera.
Giornata densa di appuntamenti filmici e tutti di un certo rilievo, a cominciare dalla proiezione di Joe di David Gordon Green con Nicolas Cage protagonista. Il sottoscritto è rimasto ad esempio piacevolmente colpito da come Cage (disponibilissimo con stampa e pubblico), troppo spesso ingiustamente accusato di recitare per forza di inerzia, abbia sposato il suo personaggio e se lo sia cucito addosso, rendendo credibile anche quei momenti di ilarità con cui in scena si prende in giro il mestiere di attore.
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3 DOMANDE A... NICOLAS CAGE
Chi è Joe? Può descriverci il suo personaggio?
Joe è un uomo impegnato sempre a cercare un equilibrio per se stesso. Preferibbe anche farsi arrestare e andare in prigione piuttosto che perdere il controllo e forse uccidere qualcuno. Inevitabilmente, però, il fuoco che ha dentro a volte diventa troppo forte e gli causa un aumento della pressione che lo spinge a far qualcosa che lo mette nei guai. Joe è un vero fuorilegge e del tutto politicamente scorretto ma allo stesso tempo è un improbabile modello per il giovane Gary.
E il ruolo che Joe gioca nella vita di Gary è molto più grande di quanto chiunque possa aspettarsi.
Joe sceglie di condividere la sua vita con Gary, ne fa una questione di principio. Gli dà dei vestiti per cambiarsi, gli passa l’accendino e gli parla delle ragazze con cui farà sesso. A modo suo e in maniera incasinata, se ne prende cura offrendogli quello che non ha all’interno della sua abitazione: una figura paterna di riferimento, lontana da quella a cui è abituato e da cui è solito ricevere in cambio insulti e botte.
Oltre che con Gary, Joe ha un rapporto molto forte con il cane Faith. Come lo spiega?
In realtà, Joe ha un rapporto molto stretto con tutti gli animali. È a lui che si rivolgono per scuoiare un cervo o per catturare un serpente. In particolar modo, il cane che tiene con sé rappresenta una sorta di prolungamento dei propri istinti primordiali: Joe conta molto seriamente sulla sua presenza, facendogli compiere gesti che lui non può portare a termine. Quando ad esempio c’è un lavoro sporco da fare, Joe manda il cane a compierlo: per lui, è come un partner criminale di cui si fida ciecamente.
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A causa di problemi tecnici che hanno fatto partire Joe con quasi trenta minuti di ritardo, si è costretti a tentare di superare i record della 100 metri su pista per assistere a The Canyons di Paul Schrader.
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Diciamocelo senza peli sulla lingua: un film non riuscito ma non per colpa del regista né degli attori. A grondare sangue è infatti una sceneggiatura penosa in cui si mescolano senza arrivare a nessuna soluzione la critica al mondo produttivo hollywoodiano e l’ossessione della società moderna per la fama e il successo. Niente di particolarmente scabroso in scena: chi si aspettava prestazioni da pornodivo da parte di James Deen (non di certo lo scempio di attore che molta critica americana dipingeva) è rimasto deluso, come deluso è rimasto chi derideva Lindsay Lohan alla vigilia. The Canyons, a sorpresa, uscirà anche nelle nostre sale a inizio 2014 grazie a una nuova realtà distributiva (Adler Entertainment), peccato che a dircelo non sia stata la Lohan, rimasta in America e non arrivata a Venezia per via dell’ennesimo rehab della sua vita.
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Poiché durante il pomeriggio non avevo in programma nessun titolo da vedere, approfitto del tempo libero fino alle 19:30 per incontrare una delle colleghe giornaliste di Banzai Media presenti al Lido, conoscendo così dopo settimane di scambi di posta elettronica Giulia Serventi Longhi di Pianeta Donna. E, inaspettatamente, si respira aria di famiglia: sembrerà strano ma trovare qualcuno che lavori per la tua stessa società nel caos di Venezia è come ritrovare una cugina che non vedi da tempo immemore e con cui puoi condividere impressioni, commenti e opinioni non preoccupandoti di nulla.
Certo, comunque, che le zanzare della laguna son mostri da cinema di fantascienza giapponese degli anni Cinquanta. Divorato, penso che allora un bel film sulla causa ecologista ci stia bene e scelgo di conseguenza di vedere Night Moves di Kelly Reichardt, titolo che il sottoscritto vede già nel palmares.
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3 DOMANDE A... KELLY REICHARDT
Dove ha trovato l’ispirazione per Night Moves, scritto insieme a Jon Raymond?
Come per Meek’s Cutoff, tutto è iniziato perché siamo rimasti affascinati da un determinato paesaggio. Alcuni amici di Jon Raymond hanno una fattoria biologica in Applegate Valley, nell’Oregon del Sud, e Jon era entusiasta all’idea di girare un film in quelle zone. Mi ha portato lì, mi ha presentato i suoi amici, abbiamo conosciuto gli amici dei proprietari della fattoria e le persone che ci lavoravano. Ho anche visitato i dintorni e visto tutto ciò di cui Jon mi aveva parlato. Era davvero un luogo molto interessante per ambientare un film. Abbiamo fatto il nostro primo viaggio alla fattoria in estate, il secondo in autunno: è stato incredibile. Somigliava molto a un dipinto di Charles Burchfield e proprio le opere di questo artista sono diventate il riferimento per Chris Blauvelt (il nostro direttore della fotografia), Elliott Hostetter (scenografo), Vicki Farrell (costumista) e per me.
Come, invece, avete costruito la storia e il cast di attori?
Per i personaggi avevamo numerosi spunti: da Patty Hearst e la Symbionese Liberation Army, ai membri di Weather Underground, i Black Panthers, Earth First!, l’Earth Liberation Front, il bombarolo mancato sotto l’albero di Natale a Portland, un ragazzino che ha appiccato il fuoco al McDonald’s della sua città, fino al personaggio immaginario di Raskolnikov in “Delitto e castigo”. Lasciando da parte film, libri e vicende di cronaca, abbiamo pensato alle persone, nel nostro giro di conoscenti, che potessero compiere un’azione radicale o avere quel tipo di caratteristiche.
Infine abbiamo delineato i personaggi di Josh, Dena e Harmon. Jon Raymond ha iniziato a definire ognuna delle tre figure nella prima stesura dello script e quella versione è diventata la base su cui lavorare. Ci siamo posti domande del tipo: “Come si comportano i personaggi da soli e come sono, invece, nel gruppo?” Josh, per esempio, è una figura a cui ci si può avvicinare solo attraverso l’interazione con gli altri. L’anno successivo ho passato molto tempo a cercare location. In questa fase ci sono sempre episodi in cui emergono nuove sfumature e dettagli. Per esempio una volta, mentre davamo un’occhiata alla tenuta di un uomo come possibile location, abbiamo notato che aveva perso alcune dita. Alla fine della giornata ha fornito a me e al mio produttore, Neil Kopp, alcuni dettagli sull’esplosivo per fabbricati. Quell’uomo si era costruito la casa da solo. Era un muratore, ma si capiva che aveva la passione di far saltare in aria gli edifici. Credo che si guadagnasse da vivere sgomberando aree per imprenditori edili. Insomma, nel personaggio di Harmon troviamo anche un po’ di quell’uomo. Tutta la fase del casting alla fine aiuta i personaggi a crescere.
E poi ci sono aspetti che rientrano nel genere di film specifico: è inevitabile che lo spettatore sia dalla parte del personaggio che ha un obiettivo da raggiungere. Per esempio quando Dena vuole acquistare del fertilizzante a base di nitrato d’ammonio; o quando a un certo punto sparisce per un po’: quell’assenza, in un certo senso, la pone al centro della storia. Perciò ci sono alcuni aspetti che sono caratteristici di un certo tipo di narrazione: aspetti che emergono via via.
Lei è cresciuta in Florida ma i paesaggi del Pacifico nord-occidentale ricorrono in tutti i suoi film. Perché ha scelto di fare dei film in cui “l’Ovest” compare come paesaggio americano fisico e simbolico?
Ho girato il mio primo film nella Contea di Miami-Dade, Florida. Ma negli ultimi anni ho lavorato con lo scrittore Jon Raymond, che vive in Oregon, e le sue storie sono ambientate qui. Anche uno dei miei produttori e molti membri della troupe sono originari dell’Oregon. Sono luoghi molto diversi, con una foresta pluviale, la costa, il deserto... Inoltre sono convinta che i paesaggi nord-occidentali mi affascinano perché sono nettamente diversi dall’ambiente in cui sono cresciuta. Ormai vivo a New York da 25 anni e passo molto tempo in viaggio fra la costa orientale e l’Oregon.
È un tragitto che è diventato una costante su diversi piani, ma appena arrivo in South Dakota (se mi sposto verso Ovest), finalmente mi si libera la mente: una condizione che può esistere solo dove internet non arriva. Sono in una specie di luogo a metà.
Viaggiare verso Ovest a volte mi fa sentire come se mi immergessi, in qualche modo, nell’ignoto – in genere perché parto per provare a realizzare un film e non so come andrà a finire. Invece quando punto verso Est è perché torno nel mio appartamento in affitto e al mio quotidiano lavoro di insegnamento. Ma ci sono altri aspetti del viaggio a Ovest che lo rendono più intrigante di quello a Est: pensate al fatto di dirigersi verso spazi più aperti, paesaggi più estremi. Perfino sulle autostrade si nota meno l’impronta del consumismo. Tutti questi viaggi a Ovest si sono fatti strada nei miei film. Ma forse può bastare. Probabilmente dovrei spostarmi ancora, trovare un nuovo luogo da scoprire.
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Finalmente da domani in poi non sarò più solo al Lido. La voce di FilmTv.it diventa più grande e accoglie infatti la presenza alla Mostra di Alan Smithee, colui che ormai io definisco il pasionario dei festival. Sono sicuro che ne leggerete delle belle. Stay tuned!
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