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Venezia 2013: Diario dal Festival - Giorno 1
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Diario personale di un inviato al Festival — Impressioni, pensieri, opinioni

Che differenza con la giornata di ieri. Al vento tropicale di Palermo, Venezia risponde con un’alba soleggiata che fa capolino dalle tende della finestra già alle 05:30 del mattino. Il tempo di capire che è ora di svegliarsi e di lasciarsi andare allo spazio circostante. È arrivato il momento del qui e ora, l’attimo in cui la Mostra del cinema cala il suo primo asso nella manica: l’anteprima internazionale di Gravity di Alfonso Cuaron, una pellicola che è già entrata nel circuito dei grandi festival ancora prima che la stampa riuscisse a vederla. Dopo Venezia, la coppia George Clooney e Sandra Bullock è infatti attesa al Toronto Film Festival, al San Sebastian e al Telluride, giusto per aprire le danze ad un’uscita in contemporanea mondiale il prossimo ottobre che spianerà senza ombra di dubbio la via agli Oscar a Sandra Bullock. Che dite? Son di parte? Si, lo ammetto: non ha voluto sposarmi ma al cuor non si comanda, certi sentimenti esulano dalle risposte altrui…

 

E la presenza di George e Sandra non passa di certo inosservata: alle 08:30 del mattino del mattino l’ingresso del Palazzo del Cinema pullulava già di fans in fanatica attesa, di fotografi da ogni dove. Sapete ad esempio che la sola agenzia di stampa fotografica cinese ha ben 14 fotografi che la rappresentano al Lido? Un’enormità, così come spropositato è il numero dei corrispondenti americani: si va dai più blasonati corrispondenti di Variety (che pubblica un daily ricercatissimo da queste parti) alle centinaia di blogger che saltano da una rassegna all’altra coprendosi le spese con la pubblicità che campeggia sulle loro pagine, passando per la conduttrice di un people show che poco ci azzecca con il cinema (in pratica, una sorta di Barbara d’Urso d’oltreoceano). Chiedendo in giro, si scopre che mai rinuncerebbero a far tappa al Lido (c’è chi è ormai una presenza fissa da ben oltre 25 anni), nonostante il programma quest’anno non sia per loro dei più appetibili.

 

 

Gravity, dicevamo. E alla Mostra tutto gravita e levita: se ieri si era nel bel mezzo di un cantiere, oggi ogni cosa era già all’alba magicamente al suo posto. Casellario e sala Casinò, dati per scomparsi, si sono palesati in una nuova sistemazione, così come sono ricomparsi i volti del personale di servizio alle entrate delle sale. Curiosamente, sono i volti di un anno fa, gente che ormai conosci a menadito e a cui puoi permetterti di chiedere la qualsiasi (anche un paio di occhiali 3D imbustati, un vero miraggio per chi voleva assistere al film di Cuaron indossando lenti che altri non aveva già usato prima).

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scena

L'arte della felicità (2013): scena

Dopo la proiezione di Gravity (qui potete leggere una prima veloce impressione per un’opera che merita un approfondimento maggiore per tematiche e forma), si corre verso un altro film. Si cambia sezione e si approda alla Settimana della Critica per assistere alla tanto decantata animazione napoletana proposta da Alessandro Rak con L’arte della felicità. «Una sorta di lucida follia, la nostra, dato che in Italia l’animazione è considerato un genere solo per bambini e che non c’è mercato. Ma abbiamo grandi talenti e l’estero ci insegna che raccontare un dramma con i disegni è possibile», promette il produttore Luciano Stella. Peccato, però, che non sempre le promesse vengano mantenute. L’arte della felicità infatti gira a vuoto su se stessa e sui bei disegni di una Napoli plumbea (va dato adito di aver abbandonato ‘o sole ‘e Napule) ma piena di cliché (la spazzatura per le strade, la paura dell’eruzione del Vesuvio, la musica come catarsi) e filosofia di vita appresa tramite i corsi veloci di recupero di qualche istituto privato del tipo “tre anni in uno”. Non ce ne voglia la coppia di sceneggiatori Alessandro Rak-Luciano Stella ma L’arte della felicità offre un via vai di dialoghi che nulla lasciano allo spettatore, oltre che una storia sin da subito forzata e spesso patetica. O, meglio, peripatetica (scusate la forzatura semantica), dal momento che si passeggia molto anche se a bordo di un taxi. Che poi la rinascita del protagonista Sergio, incapace di superare la morte del fratello, arrivi tramite un pianoforte trovato per caso non è certo un colpo di genio, così come non è intervallare la storia con la voce di uno speaker radiofonico spara sentenze, una sorta di Jack Folla de’ noantri.

«Questa è la storia di una rivoluzione, di un giro inutile intorno al proprio sole […]. Di come il vivere sia soltanto percezione ed il morire solo un modo per cambiare», asserisce Rak: e occorrevano 84 interminabili minuti di animazione (spesso approssimativa) per capirlo? Un ultimo quesito che lascia alquanto perplessi: a parte qualche “str**zo” o altra esclamazione colorita, perché il protagonista parla un italiano quasi da accademia dei Lincei, senza nessuna flessione napoletana?


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Subito dopo L’arte della felicità, che il pubblico vedrà oggi (giovedì 29), avevo in programma di vedere il francese La belle vie per le Giornate degli Autori (mi dicono assolutamente da recuperare). Scrivo “avevo” perché nel frattempo – ed ecco la mia “arte della felicità” – ricevo la tanta agognata chiamata dall’aeroporto di Venezia: la mia valigia era pronta per la consegna e un fattorino me l’avrebbe recapitata direttamente al Lido. Dieci minuti dopo, il mio shuttle era tra le mie mani ma ridotto peggio dell’STS-157 di Clooney e della Bullock: pur mantenendo (fortunatamente) tutto il suo contenuto, era infatti aperto da tre lati su quattro, con tre delle cinque chiusure di sicurezza andate in frantumi. In compenso, ho le mie mutande e non sarò messo a nudo dall’Alitalia!

Nicolas Bouchaud, Jules Pelissier, Zacharie Chasseriaud

La Belle vie (2013): Nicolas Bouchaud, Jules Pelissier, Zacharie Chasseriaud

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locandina

Gerontophilia (2013): locandina

Saltata La belle vie, il Lido mi propone una di quelle occasioni ghiotte e difficili da perdere: Bruce LaBruce che smette di provocare e che regala una commedia romantica fuori da ogni schema. Gerontophilia è infatti qualcosa che non ti aspetti: a legger la trama, si ha l’impressione di doversi ritrovare di fronte a qualcosa nata per scandalizzare ma guardando il film si viene piacevolmente smentiti e catapultati dentro una storia il cui atto finale, forse prevedibile ma non per questo meno intenso, genera commozione. Con il regista in sala e i due giovani attori Pier-Gabriel Lajoe (splendido protagonista nei panni del diciottenne Lake) e Katie Boland (in quelli della fidanzatina poi mollata) a fargli compagnia. Al di là delle congetture che certa stampa ha fatto alla vigilia, Gerontophilia è una storia di amore pura che abbraccia un pubblico molto più vasto di quello che si pensi: LaBruce saluta (non si sa se temporaneamente) la pornografia e lascia che ai corpi, non più esibiti come carne, il compito di tramandare poesia e bellezza. Piace definire Lake un rivoluzionario (usando le parole della fidanzata) che sa riconoscere la bellezza dove gli altri non vedono che “macerie” e “devastazione”, che sa amare al di là dell’aspetto fisico e che sa rispettare l’altro per quello che è, cercando di assecondarne l’ultimo desiderio. Piace anche accogliere con giubilo la sorpresa Bruce LaBruce per la sua capacità di gestire l’argomento e di inserire inserti spesso al limite ma che non appaiono mai fuori contesto: « Per Gerontophilia i miei riferimenti erano Harold e Maude, Qualcuno volò sul nido del cuculo e il cinema americano degli anni Settanta, con le sue lente dissolvenze. Il film è nato perché ho scoperto che ci sono tantissimi ragazzi che hanno le loro prime esperienze sessuali con gay anziani e ho messo insieme alcune delle loro storie. Succede che l'uomo maturo è il mentore che insegna al giovane il sesso e la vita», spiega il regista, che continua: «per me, si tratta di un’opera che segna una nuova partenza, poiché non contiene alcuna scena di sesso esplicito e ho lavorato in maniera molto più mainstream rispetto alle mie opere precedenti, mix di arte e pornografia, avendo a disposizione anche un budget consistente».

 


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Dopo Gerontophilia, sinceramente, vien difficile vedere altro. Vuoi per la stanchezza di una notte insonne e di una giornata precedente poco tranquilla, decido di rientrare in albergo per un po’ di riposo. Meritato o no, non lo so ancora. Così, dopo aver attraversato la folla oceanica davanti al red carpet, arrivo nella mia stanza, dove trovo ad attendermi un bicchiere di vino e due chiacchiere con i gestori della struttura che mi ospita. Ma questa è un’altra storia.


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Venezia 2013: Giorno 0

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