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Paola Randi: "I miei appunti" - Chiacchierata su "Into Paradiso"
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Provare a trovare una definizione per le origini geografiche di Paola Randi, regista al suo primo lungometraggio, “Into Paradiso” (qui recensito), in uscita il prossimo venerdì, è un’operazione ardua per via del meltin’ pot che la contraddistingue: padre palermitano, madre veneziana e nascita milanese. Se poi consideriamo che ha ambientato il suo primo film a Napoli, quello che salta subito agli occhi è la sua profonda esperienza con i fenomeni di integrazione e di convivenza forzata, come quella che si instaura tra i protagonisti della pellicola e che si trasforma in profonda amicizia, talmente solida da abbattere anche il pericolo camorra.

 

 

Così ci descrive il film il critico Alessandro Rais:

Mancava fino ad oggi, nel cinema di casa nostra, un film che ci restituisse un’immagine della comunità degli immigrati dello Sri Lanka. La regista milanese Paola Randi segue da quasi tre anni con interesse la colorita colonia srilankese di Napoli e adesso ha deciso di ambientarvi il suo lungometraggio d’esordio, prodotto con intelligenza e gusto.

Interpretato  da un ottimo Gianfelice Imparato (un biologo licenziato in tronco dal laboratorio universitario in cui lavorava), con Peppe Servillo  (la voce degli Avion Travel, che qui veste i panni di un politico colluso con la camorra) e Saman Anthony (giocatore di punta della nazionale srilankese, campione del mondo di  cricket, in visita a Napoli da un parente), il film è una divertente commedia degli equivoci  con una spruzzata di thriller, molto colorita (grazie alle immagini di Mario Amura e alle musiche originali di Fausto Mesolella, anche lui degli Avion Travel) ma per nulla  disimpegnata, che di Napoli ci racconta tanto la città del pizzo, della camorra e della corruzione politica quanto la sconosciuta “enclave” di Fondaco Paradiso, un’isola del  centro storico dove si è insediata armoniosamente la comunità srilankese cittadina. Randi conduce bene il gioco, schiacciando un po’ l’occhio allo stile di Roberta Torre, e inserendo nel suo film ben ritmato anche due gustose sequenze “artigianali” in Super8 e in animazione a passo uno. Trionfa il gusto della multiculturalità (dove “cultura” può essere anche, con ironia, quella delle telenovelas): e come fanno le cellule che studia il biologo protagonista della vicenda, anche lo spettatore finisce per comprendere che per “esistere” e “occupare uno spazio” bisogna imparare a comunicare in un modo diverso.



L’altra faccia di “Gomorra”, verrebbe da dire. In realtà è molto di più il risultato che la regista ottiene: una commedia sentimentale, senza la battuta facile degli amanti dell’incasso al botteghino, che si trasforma in favola. Per cercare di capire qualcosa in più sulla genesi e la costruzione del progetto, esempio di cinema “made in Italy” da sostenere, ne ho parlato direttamente con la regista.

 

Paola, metà palermitana e metà veneziana, milanese d’azione. Da dove nasce l’idea di ambientare il film a Napoli, terra quasi lontana dal tuo percorso biografico?

Beh, abitavo in quel periodo a Roma e posso affermare che tutto cominciò in un appartamento del quartiere ostiense. Condividevo casa con due musicisti: Gabriele, suonatore di violino, e Dario, contrabbasso. Un romano, un palermitano ed una milanese (io) che coabitavano armoniosamente in un piccolo appartamento… e a me venne l’idea di parlare di coabitazione multiculturale. Con leggerezza, con ironia però. Allora mi misi in caccia di un’immagine e la trovai a Napoli.

Napoli è una metropoli multiculturale, forse “la” metropoli multiculturale più straordinaria d’Italia. E nel suo “Ventre”, per parafrasare il bellissimo libro di Matilde Serao, ho trovato lo Sri Lanka. La comunità srilankese di Napoli è molto ben organizzata. Probabilmente, dice Marc Antony, sindacalista e mediatore culturale nonchè presidente dell’Associazione Sri Lanka Napoli, perché gli srilankesi abitano per la maggior parte in una zona relativamente piccola: 4 chilometri quadrati nei quali hanno aperto scuole, biblioteche, ristoranti, una televisione e perfino un piccolo monastero. Risalendo il “Cavone” nel quartiere dell’Avvocata, tra motorini e “vucciria”, come dicono a Palermo, s’incontra facilmente un tranquillo e sorridente monaco buddista con la sua tonaca arancione o un gruppetto di scolari in divisa, con tanto di cravattino, che tornano a casa dopo le lezioni. Insomma, ce la fanno. Quindi partii armi, bagagli e telecamera, e mi trasferii a Napoli per 4 mesi a fare ricerca.


 

Quattro mesi di ricerca avranno dato molti spunti di riflessione e realizzazione. Come hai fatto a estrapolare poi l’idea di base del film?

Beh, ne uscii con un monte di materiale e la necessità di trovare un bandolo per questa coloratissima matassa.

Me lo diede mia sorella Anna. Anna, mia sorella maggiore, vive da anni a Londra dove svolge con successo la sua attività di ricercatrice scientifica. Si occupa di migrazione cellulare. Grazie ai suoi racconti, mi è parso evidente il parallelismo tra il comportamento delle cellule e quello degli esseri umani: migrano entrambi, entrambi hanno bisogno degli altri per sopravvivere, comunicano tra di loro e molto altro ancora.

Ed ecco così nascere anche i miei due personaggi: Gayaan Perera (Saman Antony) lo straniero. Ex grande campione di cricket in disarmo, venuto in Italia per inseguire le promesse paradisiache di suo cugino, in un luogo dove il cricket nessuno sa cos’è. Alfonso D’Onofrio (Gianfelice Imparato), lo scienziato. Un uomo di mezz’età, precario e timido, chiuso nel suo mondo di cellule, che perde il lavoro, si decide a chiedere una raccomandazione e rimane inguaiato talmente tanto da doversi nascondere in un “caseruoppolo” sopra un tetto tra gli srilankesi. Straniero nel cuore della sua città, braccato dalla malavita e da colui al quale aveva chiesto la raccomandazione: Vincenzo Cacace (Peppe Servillo), aspirante politico corrotto in classico stile neo italico.
Gayaan si trova suo malgrado invischiato nei guai di Alfonso e finisce per diventare il suo miglior alleato. 


Hai incontrato particolari difficoltà (produttive e non) nel realizzare il progetto?

Il lavoro è stato faticoso e entusiasmante al tempo stesso. Ho avuto, innanzitutto, la fortuna di incontrare una editor illuminata, Alessandra Grilli, che lavora con un produttore coraggioso, Fabrizio Mosca (lo stesso del film “I cento passi”). Poi ben 5 sceneggiatori laboriosi e attori straordinari professionisti e non. La troupe partenopea e il montatore toscano hanno fatto il resto. Dulcis in fundo, Fausto Masolella, mitica chitarra degli Avion Travel, ha composto uno schianto di colonna sonora rock-etno-western, se Fausto mi passa la definizione!

 

Nel vedere il film a Venezia, mi sono rimasti particolarmente impressi i sogni ad occhi aperti di Alfonso e il modo quasi brechtiano in cui sono stati resi…

I sogni ad occhi aperti di Alfonso? Un mio vecchio vizio… Il personaggio di Alfonso mi ha permesso di mostrare i processi mnemonici e di rielaborazione e analisi della realtà che appartengono a molti di noi (chi non si immagina situazioni che dovrà affrontare o che vorrebbe vivere?).

Ho usato tre tecniche diverse: una che potrei chiamare “teatralizzazione pura”; una seconda che consiste in proiezioni incrociate su un plastico colorato e poi riprese; e una terza che parte da un’animazione a “passo uno” per finire con una ripresa semplice. Tutti effetti in ripresa, perché io credo che gli effetti in ripresa conservino quell’unicità, quella dose di irripetibilità e di artigianalità che desta inevitabilmente meraviglia.

Io credo che il cinema sia una forma espressiva intrinsecamente nostalgica, perché mostra ciò che è stato e che necessariamente non è più e ti permette di percorrere emozioni raccolte dalla vita e conservate sulla pellicola. Forse è per questo che mi affascina così tanto...

 

La memoria che mi interessa è quella emotiva. Ovvero, la straordinaria capacità che gli esseri umani hanno di creare una propria unica verità sugli stimoli che la realtà offre. Credo che questa “verità emotiva” conti molto di più della realtà fattuale, perché è quella che in ultima analisi determina le nostre scelte e il nostro modo di affrontare la vita.

Non credo che l’esperienza onirica sia “libera” o più libera espressione del nostro io di quanto non sia quella del “sogno ad occhi aperti” credo che il sogno ad occhi aperti sia la forma primaria della creazione artistica e che sia completamente libera in quanto frutto di un flusso continuo di scelte ed è nella nostra capacità e possibilità di scegliere che risiede la nostra libertà. Per questo rappresento sogni ad occhi aperti, sono gli unici elementi di creazione libera che appartengono a tutti e che tutti esercitiamo.


 

Chi sono stati i maestri di riferimento per l’esordio di Paola?

I miei maestri? Tanti, troppi per elencarli tutti.

Vorrei citarne uno italiano e uno straniero però, per restare in linea con “Into Paradiso”. Mario Monicelli, grandissimo interprete dell’Italia dei disperati di allora, e Hal Ashby, regista elegantissimo di capolavori come “Oltre il Giardino” e “Harold e Maude”. 
Che il loro magnifico cinema continui a tenerci per mano!

 

Paola, nel ringraziarti e nell’incrociare le dita per l’uscita del film, ti chiedo di partecipare ad una sorta di “gioco” per i lettori di CineRepublic. Nostro strumento di presentazione agli altri è la lista dei nostri “magnifici sette”, ovvero quei titoli che in qualche modo ci rappresentano. Quali sono i tuoi?

Solo 7?!?!?!?!?

Difficilissimo… Facciamo quelli che ho rivisto di recente?

  1. La Conversazione -F.F. Coppola
  2. Oltre il Giardino - Hal Asby
  3. La grande Guerra - Mario Monicelli
  4. Ubriaco D'amore - P.T. Anderson
  5. Red Road - A. Arnold (opera prima!!!)
  6. Monsters & Co. - P. Docter
  7. L'uomo in più - P. Sorrentino


...e che tutti i miei altri grandi amori mi scusino!

 

 

Paola Randi arriva al suo primo lungometraggio dopo una laurea in Giurisprudenza e l’esperienza presso un’organizzazione no profit di donne per l’economia. Cresciuta con il cinema Usa degli Anni 70 e i musical dirige casualmente il suo primo cortometraggio  che la catapulta direttamente al Festival di Torino con la sua seconda opera, Giulietta della spazzatura, dieci minuti con protagonista Valerio Mastandrea, netturbino che si innamora di una ragazza attraverso le cose di lei che trova nella spazzatura.

Di corto in corto, viene ammessa al Talent Campus di Berlino, dove tra gli insegnanti si ritrova Mike Leigh, Ken Loach e Walter Murch, l’editor sound designer di “Apocalypse Now”.

 

 

Si ringraziano la regista Paola Randi per la disponibilità, il critico Alessandro Rais per il suo contributo e Elisa Amoruso per le foto.

 

 

Questo l'elenco delle sale che proietteranno “Into Paradiso”, qui recensito da Paolo Mereghetti, a partire da venerdì 11:

ANCONA:   ITALIA

BOLOGNA: ODEON

CAGLIARI:  MULTISALA CINEWORLD

CATANIA:  KING

FIRENZE:   FULGOR

GENOVA:   SALA SIVORI

MILANO:   ARLECCHINO

BERGAMO: DEL BORGO

MANTOVA: MIGNON

NAPOLI:    MODERNISSIMO, THE SPACE

AFRAGOLA: HAPPY MAXICINEMA

BENEVENTO: GAVELLI MAXICINEMA

CASAGIOVE: VITTORIA

CASERTA: DUEL

CASORIA: UCI

CASTELLAMMARE DI STABIA: SUPERCINEMA

MARCIANISE: BIGMAXICINEMA

SALERNO: AUGUSTEO

PADOVA:   MPX

PALERMO: AURORA

ROMA:      INTRASTEVERE/FIAMMA/NUOVO CINEMA AQUILA

TORINO:   AMBROSIO

 

Gli amici palermitani inoltre potranno assistere alla presentazione della regista, Paola Randi, al cinema Aurora domenica 13 febbraio.

Into Paradiso (2010): Trailer Italiano Ufficiale

 

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