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locandina

Shoah (1985): locandina

 

Perché il ghetto di Varsavia è alla fine del film?

Perché ghetti e campi sono stati contemporanei, sono esistiti nello stesso momento; e anche per far capire bene che il ghetto era già sterminio” (Claude Lanzmann)

Tre voci per l’ esodo 

Jan Karski

Professore universitario negli Stati Uniti, ex corriere del governo polacco in esilio a Londra. Un uomo d’azione, il “testimone inascoltato”, come lo definì lo scrittore francese Yannick Haenel. Presentò il suo rapporto a tutti, parlò con i grandi della terra, nessuno gli credette. Nel 1982 fu insignito del titolo di Giusto fra le Nazioni.

Franz Grassler

Assistente del dottor Auerswald e commissario nazista del ghetto di Varsavia, è l’ex nazista che non sa, che non ricorda, che allora non aveva nessuna autorità, era un giovane ventottenne (trentenne, precisa Lanzmann) appena laureato, nulla sapeva di stermini e varie. A differenza di Suchomel e Stier, ha accettato di farsi riprendere durante l’intervista, manca così l’effetto di gelido fantasma degli altri due, è un rubizzo vecchietto  che ama l’alpinismo e sgrana due occhioni innocenti davanti alle domande impertinenti di Lanzmann.

Raul Hilberg

Storico, una voce che ricorre spesso in Shoah.

Dice di lui Lanzmann: “L’unico che per me incarnava il mio progetto, per la postura del suo corpo, la freddezza ironica, la voce metallica un po’ come quella di Sartre…Hilberg non è un personaggio che incombe dall’alto, è anche un personaggio del mio film.Un personaggio con uno statuto particolare.”

e ancora due voci

dal Museo del Kibbutz Lohamei Hagetaot (museo dei combattenti del ghetto) Israele

Itzhack Zuckermann

detto Antek, comandante in seconda dell’Organizzzazione Ebraica di Combattimento

Simha Rottem

detto Kajik, combattente nel ghetto

Cinque voci per un finale che sigilla il cerchio infernale, l’ultima bolgia dell’ultimo girone, l’imbuto che si chiude dentro il muro del ghetto e sarà definitivamente strozzato nelle sue fogne.

Kajik “…e dopo ore di corsa attraverso il ghetto sono tornato in direzione delle fogne, ero solo durante tutto il percorso del ghetto, a parte la voce di donna di cui vi ho parlato e un uomo che ho incontrato quando sono uscito dalle fogne, non ho incontrato anima viva.

E mi ricordo di un momento in cui ho provato una specie di quiete, di serenità, in cui mi sono detto “Sono l’ultimo degli Ebrei, aspetterò il mattino, aspetterò i tedeschi”.

Sono le ultime parole del film.

Jan Karski

La figura di Karski è dolorosa, si fa fatica a guardarlo nel dolore che gli spezza le frasi, gli bagna gli occhi e le labbra, ancora a trentacinque anni di distanza. All’inizio non regge, si alza e va via, poi torna ed è pronto. Racconta dell’incontro con due Ebrei del ghetto, lui è l’unica possibilità per loro di far sapere al mondo e gli affidano tre missioni. Prima missione, per gli Alleati:

Non abbiamo un paese, un governo, una voce nella Società delle Nazioni, gli Alleati non possono considerare la guerra solo dal punto di vista militare. Se la vinceranno, come accadrà, il popolo ebraico sarà comunque stato sterminato. Il problema ebraico è eccezionale rispetto alla guerra……”

Seconda missione per il generale Sikorsky, capo delle forze armate polacche: “Sta per succedere qualcosa nel ghetto, gli Ebrei stanno per battersi, hanno bisogno di armi, la Resistenza clandestina polacca ha respinto la nostra richiesta, non si possono rifiutar loro le armi e noi sappiamo che ne avete”.

Terza missione, per i leader ebrei “Ci sono nel mondo dei leader ebrei.Prenda contatto con loro.Il loro popolo sta morendo, non ci saranno più Ebrei.Allora a che servono i leader?Anche noi due moriremo.Noi non cerchiamo di fuggire, restiamo qui. Manifestino nelle strade, si lascino morire di fame, di sete.Che muoiano alla presenza di tutta l’umanità. Chissà? Forse questo scuoterà la coscienza del mondo”

Ora Karski riesce a raccontare di quella visita al ghetto, successiva all’incontro, guidato dall’Ebreo, quello dei due dall’aria di aristocratico polacco. Appena dentro, passati dal cunicolo che collega la città ariana, l’Ebreo diventa un altro, curvo, misero come tutti quelli che si vedono in giro, in un processo strabiliante di immedesimazione. Un Ebreo è immobile, in strada, Karski è colpito, chiede: “Cos’ha? E’ morto?”

No, no, è vivo, sta morendo, è moribondo, lo guardi, lo dica a quelli di laggiù, ha visto, non dimentichi”.

Karski non aveva mai visto, dei 400.000 già 300.000 sono stati deportati, si cammina fra mucchi di cadaveri nudi, gli abiti servono ai vivi, i morti si lasciano in strada, non c’è denaro per pagare la tassa della sepoltura.

L’Ebreo ripete soltanto “Guardi, non dimentichi, ricordi”.

Ascoltare la voce di Karski o anche solo leggere il testo delle sue parole produce lo stesso effetto.

E’ il racconto del “non”:

non ero uno di loro

non ne facevo parte

non era un mondo

non era l’umanità

non avevo mai visto nulla di simile

nessuno aveva mai scritto quella realtà

non avevo mai visto un’opera teatrale, un film

non era il mondo,

mi dicevano che erano esseri umani

non rassomigliavano ad esseri umani,

e siamo andati via.

Mi ha abbracciato

buona fortuna

buona fortuna

Non l’ho rivisto mai più.

___________________________________

Un montaggio alternato di rara efficacia intreccia ora le voci di Grassler e di Hilberg.

Grassler è una biscia che sguscia, ha appreso bene l’arte del non dire e del negare, è il re dei puntini di sospensione, dell’eufemismo, del “sì….ma….non è così semplice…..”, fino a quando, pieno di sapiente fair play, sembra addirittura dare una pacca sulle spalle a Lanzmann: “ Si sarebbe potuto annientare il ghetto con le armi o Dio sa che cosa! Come si è finito per fare,poi, ma io non c’ero più….ma all’inizio!Quelli erano tempi difficili. E’ un dato di fatto si tende a dimenticare, grazie a Dio, il cattivo tempo più facilmente del buono. Signor Lanzmann, questo non ci porta a niente, non troviamo niente di nuovo!”

Credo infatti che non si possa cambiare niente….”  dice Lanzmann

Auto-gestione ebraica, auto-conservazione, così chiama il ghetto, sembra francamente  allibito che le cose abbiano preso quella piega, ma lui nulla, mai saputo nulla.

E dopo la guerra cos’ha fatto,  dottor Grassler ?

Ho curato una rivista di alpinismo, alta montagna, aria pura, non l’aria del ghetto.

Adam Czerniakòw

Raul Hilberg, in questo ultimo segmento di Shoah, ricorda Adam Czerniakòw, capo del Consiglio ebraico a Varsavia e, dice Lanzmann,  “parlando di Czerniakòw in Shoah l’ha incarnato “.

(“Incarnare” è un verbo che Lanzmann usa spesso nell’intervista a Kaganski e Bonnaud e definisce l’unica possibilità di dar vita alla memoria sottraendola al rischio della monumentalizzazione.)

Del Diario di Czerniakòw Hilberg ci parla per brevi flash e sintesi illuminanti, e l’immagine che costruisce è quella di un uomo vivo, vibrante di una passione profonda espressa in un linguaggio scarno, semplice. Il suo è un  Diario “ privo di enfasi, e noi oggi sappiamo come lui ha vissuto le cose, come le ha sentite e riconosciute, come ha reagito ad esse. E perfino da ciò che ha taciuto possiamo dedurre ciò che è successo ”. Era il  diario quotidiano di un uomo che non conosceva tregua né riposo. Tutti i giorni, per tre anni, ha annotato ogni cosa, fino a poche ore prima del suicidio, il 23 luglio del ’42. Le deportazioni dal ghetto erano iniziate il giorno prima, con il primo convoglio di 6000 ebrei diretto a Treblinka, verso quel corridoio che finiva nelle camere a gas. Lui sapeva fin dall’inizio quale sarebbe stata la fine, eppure non smise fino all’ultimo di chiedere, perorare, intercedere.

Appassionato di mitologia greca, diceva di sentire addosso la tunica avvelenata di Nesso che condusse Eracle alla pazzia e alla morte.”

Dal Diario di Adam Czerniakòw:

 ”C’era nel ghetto a Varsavia una donna innamorata. Il suo uomo era stato ferito, aveva tutti gli organi fuori, li ricompose con le sue mani e lo portò in ospedale.Morì e lo gettarono in una fossa comune. Lei lo tirò fuori e lo seppellì……”

”Un giorno nel ghetto mi venne incontro un uomo, mi chiese dei soldi, non per mangiare, mi dia dei soldi per l’affitto, disse, non voglio morire per strada……”

Nelle strade del ghetto c’erano ogni giorno mucchi di cadaveri, erano coperti con giornali, i bambini non erano più bambini mentre si lanciavano una palla di stracci, “orribili”, ha detto Karski, eppure può sopravvivere un’esigenza di dignità, di amore, di pietà.

Czerniakòw - dice Hilbergviveva con la morte, nulla lo stupisce, niente che venga dai Tedeschi, ma non ha una parola di disgusto, piuttosto lavora, fino all’ultimo, tenta di salvare almeno gli orfani, i più deboli.

Alle 10 del 22 luglio 1942 si presenta al suo ufficio nello Judenrat l’SS Höfle che ha fatto interrompere le comunicazioni e sgombrare i bambini dal piazzale e gli comunica:

Tutti gli Ebrei, senza distinzione di età o di sesso, saranno deportati all’Est.Già oggi alle sedici se ne devono consegnare 6000, è il minimo giornaliero.

Czerniakòw non cede, chiede ancora esenzioni, per i suoi orfani. Non ottiene e a quel punto si uccide.

“Vogliono che uccida i bambini con le mie stesse mani” è una delle ultime frasi annotate

ESODO

Due sopravvissuti della resistenza ebraica a Varsavia:

“...quando uscimmo dalle fogne nella parte ariana di Varsavia eravamo storditi, intorno a noi la vita era normale, i bar aperti, i cinema, passavano autobus carichi di gente normale.

Subito si avvicinarono persone, c’erano sempre polacchi intorno al ghetto che controllavano che gli ebrei non ne uscissero.

Noi eravamo laceri, stracciati, magri, per fortuna riuscimmo a nasconderci........

Claude, lei mi ha chiesto le mie impressioni – dice Antek - se potesse leccarmi il cuore rimarrebbe avvelenato.

 ________________________________

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo,

che ha fatto della mia vita una lunga notte

e per sette volte sprangata.

Mai dimenticherò quel fumo.

Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto

i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.

Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.

Mai dimenticherò quel silenzio notturno

che mi ha tolto per l'eternità

il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio

e la mia anima, ed i miei sogni, che presero il volto del deserto.

Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso.

Mai.

 

Elie Wiesel, La notte

________________________________

Filmografia di Claude Lanzmann

 

SHOAH

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Shoah esodo

 

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