E' questo l'oggetto del contendere attorno cui si annodano, o, meglio, si aggrovigliano le attuali politiche sociali a livello globale, tanto ad oriente quanto ad occidente. E non è affatto detto che gli stati occidentali siano governati da uno spirito di opposizione ad una cultura vetero-patriarcale. Di fatto l'atteggiamento di avversione al fondamentalismo islamico non si traduce in una morale anti-maschilista come possiamo facilmente evincere dalla cronaca e dalla politica — mentre la Santanché, viene promossa a sottosegretario alla presidenza del consiglio per le sue imprescindibili battaglie contro i centri islamici e il burqa, facendo del dito medio alzato il simbolo delle sue idee politiche, Berlusconi accoglie con tutti gli onori Gheddafi procurandogli centinaia di belle e giovani hostess... e se la intende con la nipote minorenne di Mubarak. Tantomeno l'Islam è così insensibile alla causa dell'emancipazione femminile come si tende a rappresentare nei media generalisti. Anche i cristiani possono dimostrarsi fondamentalisti su certe questioni di etica sociale, basta prestare attenzione ai discorsi ufficiali della Chiesa Cattolica. La reazione al graduale ed inesorabile processo di trasformazione dell'antico modello sessuale avviene in varie misure e in modo proporzionale al sentimento popolare. Laddove la sacralità del maschio è più radicata e si manifesta, per esempio, nei termini di una dominante casta sacerdotale composta di soli maschi, l'opposizione è più tenace. In un tale sistema sociale il maschio è concepito come il destinatario e, perciò, il dominatore del mondo per volontà documentata e autenticata di dio, principio assoluto, ossia che non necessita di un altro principio equivalente ma complementare per dare origine al mondo. La fiaba — non come pura invenzione indegna di considerazione, ma come racconto trasfigurato e sublimato di una verità intuita, trascendentale, altrimenti incomunicabile — della creazione biblica aveva una sua ragion d'essere quando la maggiore potenza muscolare e l'illimitata possibilità procreativa del maschio, era un fattore determinante nella lotta per la sopravvivenza della discendenza genetica. Il limite a questa logica è segnato dall'invenzione delle armi da fuoco. Siccome l'autorità che tiene unito una popolazione, un'etnia, è nulla senza un concetto di giustizia e il concetto di giustizia è vuoto di significato senza una ragione fondante assunta come assoluta, ecco che il maschio diventa il prototipo dell'essere umano, perciò creato ad immagine e somiglianza di dio per discendenza diretta. La donna segue come prodotto di derivazione. Non poteva essere altrimenti all'origine della civiltà. Doveva essere così. Tuttavia questa visione del mondo, basata sul primato del maschio, ha come effetto l'elaborazione di un determinato sistema di pensiero secondo cui l'eguaglianza, di qualsiasi tipo, tra individui è incompatibile con l'idea di una loro classificazione gerarchica. Per il pensiero comune, dall'origine della civiltà ad oggi, la diversità comporta anche gradi di merito e di valore, e quindi di diritto, differenti, ufficiosi o ufficiali che siano. In altre parole, individui diversi hanno diversa importanza, necessità. Da ciò deriva lo schema piramidale delle creature, messa a punto da San Tommaso, al cui vertice c'è dio, coscienza assoluta, ossia quell'essere, che, paradossalmente in contraddizione con il comandamento biblico, è comunemente immaginato con attributi antropomorfici di tipo maschile. Di solito dio non viene immaginato con sembianze femminili. C'è il culto della Madonna con tutte le sue ambiguità ma si tratta di una divinità inferiore. Questo serve a dire che certi condizionamenti del pensiero sono automatici, persino in caso di ateismo o di semplice scetticismo. Non tutti sono disposti ad assumersi la fatica intellettuale e , soprattutto, spirituale di approfondire, in prima persona, la conoscenza del mondo e dunque di se stessi. La maggioranza degli uomini delega ad altri, ad istituti del sapere , al mercato delle religioni istituzionalizzate, questo compito con gran profitto per chi si trova fortunosamente a capo della società. Ciò significa un determinato significato di merito e di volontà autoreferenziale. In fondo è meglio e più facile credere che una cosa valga l'altra; che una verità non esista; che tutto sia soggettivo.
In realtà la fiaba della creazione biblica sarebbe più corretta ( in senso relativo) e po' meno complicata, ipotizzando che il primo uomo sia una donna. Altrimenti, continuando a ragionare in modo puro (ossia senza farsi limitare dall'esperienza data), qualcuno mi dovrebbe spiegare la necessità della presenza dei capezzoli nell'anatomia maschile. Se dio è somma intelligenza nulla di ciò che fa dovrebbe essere privo di necessità, di ragione. Potremmo pensare che Adamo non avesse i capezzoli, ma ciò innescherebbe una serie di interrogativi che finirebbero per modificare l'immagine fisionomica del primo uomo, che diamo per scontata. Prima che fosse creata Eva, Adamo era già dotato di genitali o aveva solo un semplificato organo urinario? Come poteva configurarsi un uomo privo di dolore? Domande che si preferisce lasciare in sospeso.
Come ben sanno i narratori onesti col pubblico, anche una storia di pura fantasia deve rispettare una sua logica interna. O è una fantasia totalmente sciolta dai principi di natura o è un racconto in continuità con l'esperienza reale. L'uno e l'altro contemporaneamente non possono sommarsi senza creare mostruose chimere. E', inoltre, disonesto giustificare tutto ed il contrario di tutto con l'ipotesi di un dio onnipotente. Come si può notare, la ragione si ribella a ciò che è inverificabile alla luce dell'esperienza. Pur tuttavia si continua a dar credito a chi dichiara, dal pulpito o dai sacri balconi, che ragione e religione coincidano, siano conciliabili. La palla al piede dell'Italia è una religione cattolica ancora dominata al suo interno da una politica controriformistica. Lasciando da parte il caso specifico, a livello globale, a me pare che si stia giocando una partita, a volte, dai risvolti quasi bellici, che viene intesa come la volontà criminosa di ribaltare un risultato acquisito, ossia sostituire il patriarcato col matriarcato. In verità si desidera solo pareggiare le possibilità esistenziali delle persone indipendentemente dal genere sessuale con la consapevolezza che più si dilata la differenza e più cresce il livello di incomunicabilità nonché di conflittualità tra le persone – tema caro al cinema di Antonioni. Al di là dell'analisi teoretica quello che a me interessa condividere è una riflessione sull'atteggiamento, sulla reazione del cinema, riguardante la crisi del patriarcato o gli sviluppi della nuova morale sessuale. Il cinema è espressione, per eccellenza, della coscienza collettiva, non fosse altro che per il fatto che si tratta di un'impresa collettiva e, in quanto tale, raccoglie gli umori, i sentimenti, le emozioni, le intuizioni, i ragionamenti di un'intera società. Il cinema è lo specchio in cui la società si riflette, è un'opportunità da non sprecare per rivedersi a distanza, dal di fuori. Ho l'impressione che la crisi del maschio sia una di quelle questioni epocali di cui quasi tutti i film si fanno carico, a volte in modo quasi subdolo, astutamente indiretto, e che, nella maggioranza dei casi, passa sottotraccia, inosservata, invisibile. Ci troviamo in presenza del vecchio modello ogni qual volta la donna è rappresentata come una professionista dell'arte della seduzione sessuale a beneficio del maschio; l'attività sessuale come il suo campo d'azione precipuo. Bastino come esempio i videoclip musicali di Rihanna o di Beyoncé, che dissimulano o s'illudono di portare avanti un discorso di emancipazione sessuale. In realtà, stanno affermando vecchi schemi comportamentali col sospetto che siano strumentalizzazioni ad uso del potere, poiché rappresentano, anche, nel contenuto delle canzoni, non già una indipendenza quanto una dipendenza dalle attenzioni e dalla stima del sesso opposto. Non a caso nelle loro interviste scopriamo un perbenismo che stride con l'immagine provocatoria e anticonformista commercializzata. Per esempio, ultimamente la top model, Bianca Balti, fotografata per il calendario Pirelli di quest'anno, durante un'intervista si è descritta come una donna comune a cui piace fare la spesa, cucinare e portare la figlioletta a spasso. Il che sarà vero ma dimostra una certa afasia rispetto all'immagine promossa. Donne, insomma, che si sognano ancora secondo una iconografia tradizionalista. Ma questa è solo l'immagine che danno di sé. Tutto ciò è il sintomo di una sorta di schizofrenia sociale. Al contrario, proprio in rispetto ad un discorso di ruoli in forte antitesi, al maschio non è richiesto di essere avvenente né di avere cura del suo aspetto fino all'ossessione compulsiva. E' libero di essere anche brutto, vecchio, sgraziato, goffo, malvestito, privo di fantasia, l'importante è che sia socialmente potente. (Ogni rifermento a fatti e persone attuali è puramente casuale.) Sarebbe bello, invece, se anche la donna potesse essere vista in questo modo. Ci sono film che palesemente assolutizzano la vecchia differenza di genere e altri che sono tentativi di critica agli stereotipi sociali. In taluni film vediamo sexy amazzoni di mondi fantastici (che implicitamente dovrebbero essere più slegate da certe logiche quotidiane), che, però, risultano sempre figure al traino dei maschi, mai determinanti nel racconto se non marginalmente. Servono, da una parte, ad attrarre in sala anche il pubblico delle spettatrici e, dall'altra, come presenze decorative, al massimo, assistenziali. Come in tv così al cinema, quando si tratta di profitti non vi è differenza.
Lo spaesamento attuale del maschio interpretato da Kathryn Bigelow, che dimostra di riuscire a pensare come e meglio di un maschio.
Sigurney Weaver è la vera icona dei nostri tempi. L'attrice che più incarna il cambiamento di un modello sociale. La bella uccide la bestia.
Come si accennava poc'anzi la bestia è morta. L'antica idea di maschio è in crisi. Il maschio è incapace di cogliere gli sviluppi della donna. Ferreri racconta tutto ciò con toni malinconicamente apocalittici da maschio ma con un senso sottilmente ottimistico a livello dell'umanità. "È stata la bellezza a sconfiggere la Bestia."
Come una piccola donna riesce a farsi largo in un mondo dominato da maschi maschilisti. Quando è il cervello a fare la differenza non esistono differenze.
Uno dei più alti geni dell'umanità, all'origine del sapere scientifico, rimosso dalla coscienza storica per motivi patriarcali-religiosi.
Storie di donne e di come si sia trasformato il rapporto con il corpo la sessualità, le relazioni in generale.
Come il potere del maschio agisce sui corpi delle donne. Uno dei più bei film d'inizio millennio.
Ricchezza + intelligenza + bellezza: è la donna il predatore perfetto. Il fascino del film risiede in questa equazione. Sharon Stone diventa la rappresentazione del potere femminile liberato dalle sue catene. Attenti a voi, maschi!
Ancora una storia di emarginazione dopo 'Million dollar baby', quasi sovrapponibili. Clint Eastwood rappresenta, con la sua maschera abituale, l'uomo tradizionalista, l'ultimo esponente della vecchia guardia, terrigno, iper-protezionista che presa coscienza delle proprie responsabilità rispetto a ciò che lo circonda, assume su di sé i mali di un'intera generazione di padri fino ad immolarsi cristologicamente per redimerli. Non è più tempo di eroi, di uomini veri. Il problema è proprio il concetto di uomo vero, secondo me. Non si riesce a dargli degna sepoltura.
Il ritorno del cavaliere, sotto forma di bullo; via ogni benché minimo indizio di effeminatezza, impavido, acrobatico quanto un supereroe, pompato a tal punto da sembrare un bambolotto di carne, sessualmente (onni)potente, grugno perenne (di chi ce l'ha duro), è la naturale risposta al cambiamento.
Tra 007 e realpolitik la fantasia, anziché andare al potere, si mette al servizio del potere. E', chiaramente, un'interpretazione del fumetto antagonista a quella di Tim Burton. Dark catastrofista ma senza andare fino all'estreme conseguenze; rimanendo sempre su un piano liberal. Nulla di avanguardistico come sembrerebbe da una rappresentazione in stile ipertecnologico. Restano le mazzate, le sparatorie, gli inseguimenti, il facile umorismo machista e gli effetti speciali. L'amore è ansia cervellotica. Le donne incattiviscono in nome della carriera e sono giustamente sacrificate.
Scende in campo il colosso, la multinazionale, dell'intrattenimento, a difesa del vecchio modello sociale o del patriarcato. E tutti a dire: 'che simpatico, che carino'! Hanno tutti dei bei faccini coccolosi e simpatici, stampati su ogni dove, mutande e vasi da notte compresi. Ma poi, i bimbi crescono e si divertono a sparare. Non si capisce dove Wall-e e Saetta abbiano il pisello. Della serie: anche le macchine scopano. Ce ne dobbiamo fare una ragione. Se loro c'hanno il cazzo, figuriamoci dio! L'auto maschia gareggia, mostrando tutta la sua scintillante potenza, quella femmina ancheggia e occhieggia. Giurano che sia uno spettacolo altamente pedagogico. Serve a prevenire una possibile degenerazione della libido. Come se fosse possibile programmare l'anima. Chissà come mai c'è tanto bullismo in giro? L'ultimo sfornato è 'Up'. Prima ancora di uscire era già un capolavoro. Disney è tabù, non si tocca. La nomination agli Oscar è rituale. Tutti lo salutano come l'alterego digitalizzato di 'Gran torino'. Nonnetto burbero - non si capisce, a rigor di psicologia come ci diventa - e acrobatico. La Disney sta lobotomizzando intere generazioni di bambini ed adolescenti con i suoi canali a tema. L'età dell'innocenza è finita anche per Topolono & co. La missione è : profitto e propaganda.
Le mitiche donne di Tarantino che non temono il confronto col maschione. Se lo meriterebbe anche qualche politico nostrano amante delle belle fighe da lap dance.
Ma prima di Tarantino e prima che Ridley Scott si desse ai gladiatori c'erano loro.
James Bond si traveste per i diritti delle donne. Concept significativo e giusta la campagna.
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