La location che da il titolo al film NOTIZIE DEGLI SCAVI del compianto Emidio Greco è la splendida Villa Adriana a Tivoli.
Si chiama così perché era la residenza dell’imperatore Adriano.
Si trova sui Monti Tiburtini, a circa 28 km (17 miglia romane) da Roma, dalla quale era raggiungibile sia per mezzo della via Tiburtina o della Via Prenestina, sia tramite la navigazione sul fiume Aniene.
L'area che oggi riconosciamo come pertinente alla villa occupa di certo circa 120 ettari: si tratta di un’estensione di terreno vastissima per un complesso privato, sia pure di proprietà imperiale. Non è tuttavia certo che la perimetrazione attuale comprenda l'intera superficie del comprensorio Adrianeo.
Dopo la morte di Adriano la villa continuò a essere utilizzata, come mostrano i bolli laterizi pertinenti a restauri del III secolo, ma in seguito fu progressivamente abbandonata e durante il medioevo ridotta a terreno agricolo, salvo essere utilizzata come cava di materiali edili di pregio (marmi, mosaici, decorazioni) per le case di Tivoli, e come riserva di pietra da cui estrarre calce.
Il primo a rinominarla, dopo secoli, fu l'umanista Flavio Biondo nel 1450, e una decina di anni dopo essa, venne visitata e citata anche da papa Pio II Piccolomini.
Si animò così - dalla fine del secolo - l'interesse di umanisti, mecenati, papi, cardinali e nobili per la villa. Interesse che fu, innegabilmente, soprattutto predatorio: alla ricerca di statue e marmi furono fatti eseguire scavi da papa Alessandro VI Borgia, poi dal cardinale Alessandro Farnese, poi dal cardinale Ippolito II d'Este, per il quale Pirro Ligorio prelevò grandi quantità di materiali destinati sia alla villa di Tivoli che a quella di Roma.
Al Ligorio si deve la prima rilevazione topografica della villa, datata attorno al 1560 e, attualmente, nella biblioteca di Windsor.
La villa riscoperta fu frequentata (sia per conto dei ricchi committenti che per propria ispirazione e passione), anche da architetti come Antonio da Sangallo il Vecchio e Francesco Borromini, e artisti come i Piranesi.
Dal XVI al XIX secolo si moltiplicarono gli scavi, anche da parte dei proprietari dei terreni che insistevano sull'area della villa, come il conte Fede o i Gesuiti ai quali apparteneva l'area del Pecile, e le oltre 300 opere maggiori ritrovate (ritratti, statue, erme, rilievi, sculture, mosaici) furono disperse per le collezioni private ed i musei di mezza Europa.
Nel 1870 lo Stato acquistò il comprensorio dalla famiglia Braschi che era in quel periodo la maggiore proprietaria dei terreni (altre parti, tuttavia, rimasero - e sono ancora - in mano a privati). Furono intrapresi scavi e restauri, che riportarono alla luce la stupefacente architettura degli edifici e talvolta anche stucchi e mosaici superstiti. Le ricerche continuano, ma l'esplorazione del sito è lungi da essere completata.
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