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SI', MA NON E' COLPA MIA. Conoscere Enzo Jannacci
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Era il 2006 quando scrissi questo pezzo, un rapido e sintetico excursus su Enzo Jannacci. Oggi, triste e solitario - y final - nel giorno della sua scomparsa, lo ripubblico volentieri.

“Ah, guarda, quello lì è Jannacci!”.
“Sì, ma non è colpa mia”.

Che ci crediate o no è così che Enzo Jannacci rispondeva a chi lo riconosceva dopo il suo primo successo.
Enzo Jannacci, nato Vincenzo, classe del 1935, è nato il 3 giugno a Milano. Rapidamente: studia al liceo classico Moreschi, suo compagno è un tale Giorgio Gaberscik, detto poi Giorgio Gaber: gli han tolto la -scik, che faceva forse troppo chic, ed è rimasto Gaber, da cui Giorgio Gaber, no? In seguito si laurea in medicina, chirurgia generale, all’Università di Milano. Si diploma pure in armonia, composizione e direzione d’orchestra, più otto anni di pianoforte al Conservatorio di Milano. S’avvicina al jazz e nel 1956 esordisce come tastierista rock’n roll per i “Rocky Mountains” la cui voce era Tony Dallara. Quando il Tony lascia il gruppo per la carriera solista, la voce diventa il Giorgio Gaber. I due, dico Jannacci e Gaber, formeranno anche un duo chiamato “I Due Corsari”. Come jazzista collabora con nomi d’altri tempi, come Stan Getz, Chet Baker e Bud Powell. Come tastierista invece accompagna a volte anche un tale Adriano Celentano, che esordiva anche lui in quegli anni. Suonerà pure, e stringerà ovviamente amicizia, anche con Ricky Gianco, Ghigo, Luigi Tenco e Gino Paoli. Nel 1964, altro incontro fondamentale: Dario Fo. I due preparano insieme uno spettacolo musicale ormai storico, anche perché fu poi uno dei primi dischi dal vivo in Italia. Si chiamava “22 Canzoni”. Tra l’altro, durante la turné dello spettacolo, a Genova, tra il pubblico c’è pure Fabrizio De André che prenderà la melodia di una canzone di Fo e Jannacci per musicare “Via del Campo”. Negli anni ’80 i due si chiariranno e Jannacci oggi la canta come se fosse sua. Nel 1968 arriva il vero grande successo di pubblico. Escono infatti “Vengo Anch’io. No Tu No”, manifesto dei diversi e dei reietti, e la celebre “Ho Visto un Re”, canzone simbolo sessantottina. Collabora e diventa amico anche di Paolo Conte e Bruno Lauzi, partecipa a “Quelli della Domenica” dove s’incontra con Cochi & Renato e s’avvicina così al mondo della televisione, come autore e personaggio saltimbanco. Sue infatti sono “La Gallina”, “E la Vita, la Vita”, “La Canzone Intelligente” e molte altre del duo comico più decostruzionista e avanguardistico di tutta la storia comica italiana. E va detto che loro il “padre” spirituale fu proprio il Dottore, Enzo Jannacci. Tra gli altri a “Quelli della Domenica” appaiono pure il grande Felice Andreasi, Lino Toffolo e altri comici dello storico Derby di Milano, oggi Zelig, per la serie “c’era una volta i cantautori”, “e oggi? ...Ah, bè, sì, bè, ah, bè, sì, bè...”.
Seguiranno anni in America dove studierà per ricoprire il ruolo di responsabile del Reparto Antishock. Tornato in Italia, nei primi anni ’70 s’apre un gran periodo, quello autoriale che lo lancerà anche nella televisione. Nel 1981 girerà l’Italia con un tendone da 5.000 posti e una big band: è uno dei primi esperimenti del genere. Nel 1989 partecipa per la prima volta a Sanremo con un bellissimo testo incompreso dal sottobosco mummificato della kermesse canora. Si tratta di “Se Me Lo Dicevi Prima”, canzone sulla lotta alla droga. É in questa occasione che io lo conosco per la prima volta. Ricordo mio padre gasato perché c’era Jannacci, el dutur, a Sanremo. Avevo 11 anni, e già lo capivo. Nel 1991, sempre a Sanremo, con “La Fotografia” vince il premio della critica, con cui si ripeterà nel 1998 con “Quando un Musicista Ride”. Nel 2000 riceve anche il Premio Ciampi alla Carriera.
Non solo musica per Enzo Jannacci. Anche teatro, tv e cinema. Non solo con Dario Fo dà vita a un tipo di teatro, picaresco, canagliesco, musical-popolare con anima giullaresca, ma lavora anche a “Il Poeta e il Contadino” nel 1973 che dà il nome anche alla celebre trasmissione che lo riunisce a Cochi & Renato. Segue poi “La Tappezzeria” del 1974 scritta con il celebre Beppe Viola, e “Saltimbanchi si Muore” del 1979. Nel 1991 porta in scena con l’amico Gaber una loro molto personale versione di “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Per il cinema fa poco come attore. Appare in “La Vita Agra” di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi, del 1966, per poi protagonizzare nell’episodio “Il Frigorifero” nel comprensivo film di Mario Monicelli “Le Coppie” del 1970. Lavora in “L’Udienza” di Marco Ferreri, del 1971. Lavora anche con Ettore Scola ne “Il Nuovo Mondo” del 1982, con Lina Wertmuller in “Scherzo del Destino in Agguato come un Brigante da Strada” del 1983, e con Giovanni Robbiano in “Figurine” del 1997. Ma con la Wertmuller viene addirittura nominato all’Oscar per la colonna sonora  per il film “Pasqualino Settebellezze”, che annovererà tra le nomination pure il protagonista Giancarlo Giannini e la stessa Lina Wertmuller, prima donna candidata a miglior regista nella storia del cinema.
Nel 2003 il dottore va in pensione, anche se esercita tutt’ora e aiuta i colleghi. Proprio in quel giorno, quello della pensione, muore Giorgio Gaber. Il dottor Jannacci potrà solo dire “Ho perso un fratello”.
Chi è Enzo Jannacci? É uno degli ultimi scapigliati. Quegli artisti di tradizione milanese che hanno fatto della riottosità ai luoghi comuni borghesi un manifesto artistico. Jannacci è un cantante, un poeta, un performer, un jazzista, un autore, un attore, un saltimbanco, un cantautore fantasista, come dice lui. E se lo dice lui. Ha conosciuto, lavorato e s’è fatto amico con Giogio Gaber, Dario Fo, Cochi & Renato, Adriano Celentano, Stan Getz, Chet Baker, Bud Powell, Dario Fo, Bruno Lauzi, Beppe Viola, Felice Andreasi, Luigi Tengo, Gino Paoli, Ricky Gianco e Tony Dallara. Scusate se è poco. A parte i tre mitici jazzisti, gli altri sono i nomi della Milano che ride, e lo fa bene, o della Milano che canta, che lo fa altrettanto bene. Caso a parte per il clan dei genovesi, legati a Milano per la Dischi Ricordi, la stessa di Jannacci.
Il grande cantautore milanese è senza ombra di dubbio il padre precursore di tutta una schiera di artisti, tra il cabaret e la musica, che han fatto dell’assurdo, del nonsense, l’arma più geniale con cui irriverire il marcio e le ipocrisie della società borghese italiana. Certo, l’apporto di Dario Fo sarà per Jannacci motivo di migliorare la sua verve e la sua poetica, ma lui era già su quella strada. Come gli scapigliati milanesi, non quelli “neri” alla Tarchetti, ma quelli linguisticamente innovativi come Carlo Dossi, anche Jannacci inventa, codifica e verbalizza un modo di dire e di fare che è il marchio del suo status di artista fuori dagli schemi. Lui non parla, strascica. Lui non canta, recita. Lui non segue la sincronia delle note, stona e strascica nuovamente. Per poi comporre ed eseguire canzoni dove tira fuori una voce eccezionale, che ti mette la pelle d’oca. Un’anima votata al pessimismo. Dicono così, e lui annuisce, il dottore. Perché ormai i giochi son fatti. Lui parla sì, nelle sue canzoni, dei diversi, degli emarginati, dei poveri, dei reietti di una Milano multiforme, eppure nessuno ascolta, se non i reietti, i diversi, i poveri e gli emarginati. La sua ansia di solidarietà è accompagnata ad un senso di sconfitta, di frustrazione. Un’utopia che non si può realizzare se non nel sogno della speranza.
Enzo Jannacci, è un’artista burbero dal cuore gigantesco. Parla poco, e quando lo fa dice grandi cose. Che poi, le dica “che s’a capiss ona madona”, strascicando le parole che pare un ubriaco che ha appena bevuto all’osteria che c’è l’amico con il bicchiere ancora pieno, è un altro discorso, ma questa è la sua poesia. La sua forza eversiva, come dimostrò a tutti con quella trasmissione irriverente che era “Il Poeta e il Contadino”. Ma non è solo nei gesti, nel modus, nei suoi registri e nel suo stile, che Jannacci è innovativo e generativo. Lo è anche nei testi. Da quelli divertenti, che poi in realtà sono sempre tragicomici per sua stessa ammissione, a quelli malinconici, fino ad arrivare alle ballate di solo piano che ti mettono i brividi. Testi, parole, struttura a volte senza un vero senso, senza una continuità grammaticale corretta, hanno però influenzato molti nomi, sia all’epoca che oggi: guardate Bugo, passato prima da Jannacci e poi da Rino Gaetano.
In conclusione, possiamo dire senza vergognarci, che mentre ci sono grandi rockers, grandi icone pop che esauriscono i biglietti degli stadi, che fanno il sold out in ogni piazza, palazzetti o teatri che vanno, c’è anche chi come Enzo Jannacci va avanti per la sua strada senza troppo clamore, ma incidendo per sempre l’anima di chi lo ascolta. Un poeta e un contadino, ecco chi è Enzo Jannacci. Un saltimbanco irriverente, padre di tutti noi scapigliati milanesi di questo secolo, in linea diretta con una tenerezza lirica espressa con la durezza di un animo burbero e disincantato che porta nome “milanesità”.
Questa è la mia top ten di Jannacci, vi consiglio di scaricarle:
1.     Son S’cioppàa
2.     El Portava i Scarp del Tennis
3.     Sei Minuti all’Alba
4.     L’Armando
5.     La Fotografia
6.     Se Me lo Dicevi Prima
7.     Quello che Canta Onliù
8.     Ho Visto un Re
9.     L’Uomo a Metà
10.   Rien Ne Va Plus
Nonostante abbia volutamente lasciato fuori quelle portate al successo da Cochi & Renato la scelta di un'ipotetica top ten è stata difficilissima - L'importante è esagerare, Faceva il Palo, Bartali, Parlare con i Limoni, Gli Zingari... etc etc - ma ho cercato di mettere quelle che per un verso o per l'altro mi rappresentano e porto nel cuore.
 
Firenze, venerdi  15 dicembre 2006

 

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