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Pourquoi ISRAËL, ritratto di una Nazione - parte seconda
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Il FILM

parte seconda

durata 97’

1. Un poliziotto Ebreo

2. La normalità di uno Stato come gli altri

3. Un originale programma di recupero 

4.Verso Suez

 5. Una domanda agli operai

6. Un volo aereo

7. Tra  limoni e girasoli

8. I vecchi e i giovani

9. Ebrei americani 

10. Imparare la lingua

11. Qualcosa non va…

12. Ritorno a Dimona

13. Piantagioni nel deserto

14. Il problema del perdono 

15. Il gemellaggio fra Dimona, Israël e Andernach, Deutchland …

16. Ma… c’è qualche problema

EPILOGO

17.GAZA

18.Ultime sequenze, pareri diversi su Hebron e l’occupazione dei territori

19. Nel Kibboutz ferve la discussione

20. Torniamo a Baruch

21. Uno sporco lavoro

22. E per finire…

 _________________________________________

1. Un poliziotto Ebreo

Un incrocio in centro, traffico, clacson. Schmuel Bogler, commissario capo di Polizia, e Lanzmann. Scherzano

Come si fa ad essere un poliziotto Ebreo fra gli Ebrei?

Non si possono prendere poliziotti non Ebrei! - risponde Schmuel - Forse può sembrare  strano. Se vivessi in Francia non so se avrei scelto questo mestiere, ma qui è molto naturale.

Quando ci sono manifestanti in piazza e chiamano i poliziotti “nazisti” cosa provate?

Non è piacevole. Io non mi sento un nazista –sorride. 

Una manifestazione filmata in campo lungo.Pugni alzati, cartelli, Stato di polizia! , urlano slogan. 1973, l’onda lunga del ’68.

Primo piano su Schmuel, siamo dalle parti di Shoah :

quando siamo scesi dal treno hanno separato donne e uomini.Io camminavo dietro mio padre, aveva 53 anni. Era il 1944.

Camminavo dietro di lui. E qualcuno… forse un dottore… forse Mengele stesso… fece segno a mio padre di andare a sinistra.

Io non capivo. Mio padre gli disse “Sono ancora giovane, posso marciare, anche correre…” Non servì a niente. Mio padre andò a sinistra.E io vidi, da lontano, mia madre prendere i tre piccoli bambini di mio cugino, e lei andò a sinistra, anche lei. Dopo non l’ho più rivista.Ci hanno riunito nella sala delle docce, era notte. Hanno cambiato i nostri vestiti con dei pigiami. Siamo usciti nella notte, era buio, solo il filo spinato era illuminato. C’era una foresta, sentivamo grida, colpi, e ho visto un gran fuoco. Allora ho capito dov’ero.

2. La normalità di uno Stato come gli altri

Brusco cambio di scena, uno stacco veloce dal passato. Primo piano su un portuale in berretto e divisa da lavoro, qualche parola,poi la macchina si accampa, fissa, nel cortile di un carcere.

E’ la prigione di Tel-Mond, una fortezza quadrata, spartana, nessun tentativo di abbellimento, solo il verde dei campi, intorno. Sembrano coltivati.E’ l’ora d’aria. I secondini aprono le celle, i detenuti sono tutti giovani, si ammucchiano contro le sbarre pronti a schizzar fuori curiosi, una mdp non è sempre al centro del cortile.Sciamano qua e là, guardano, sorridono un po' diffidenti. Una guardia sulla  torretta, ha l’aria tranquilla, i ragazzi sembrano operai in pausa pranzo.Forse quarant’anni fa stare in carcere, in Israele, non era necessariamente finire all’Inferno, o forse Lanzmann non ha bisogno di dividere il mondo in buoni e cattivi.Empatia e profondità di sguardo, intelligenza e humour, umanità è quello che si avverte.Qualche intervista, facce più pasoliniane che brutti ceffi modello Alcatraz, improbabile che arrivino battute del tipo:  “Io dico che queste mura sono strane: prima le odi, poi ci fai l'abitudine, e se passa abbastanza tempo non riesci più a farne a meno: sei istituzionalizzato. È la tua vita che vogliono, ed è la tua vita che si prendono. La parte che conta, almeno" (da Le ali della libertà) Dal capannello intorno al regista spunta un ragazzo, faccia pulita, guarda in macchina un po’ imbarazzato.Faceva il cameriere, prima in Francia poi a Tel Aviv, e una volta ha rubato. L’hanno preso sul fatto.Ha un nonno rabbino, ma in famiglia non si è tanto religiosi, il padre va in Sinagoga una volta l’anno.

3. Un originale programma di recupero 

Benjamin Shalit, psicologo dell'esercito: Qui non fare il servizio militare è un disonore. L’esercito ha una funzione educativa molto importante. Non vogliamo che le persone si sentano respinte, allora facciamo il possibile per chiamarle tutte.Ora prendiamo anche dei  detenuti. Certo, non assassini o psicopatici, ma chiamiamo – ed è un successo – quelli che hanno avuto difficoltà con la polizia. Vogliamo che servano nell’esercito, meno per quello che portano all’esercito che per quello che l’esercito può dare loro.

4.Verso Suez

La voce di Sarah Gorby accompagna il viaggio verso il sud, Les Inoubliables chants du Ghetto, canto di rassegnazione e di protesta.

La sua ricerca sui musicisti morti nei ghetti è il sound per questo tempo di pace. Solitudine, pietraie aride, qualche palo dell’elettricità, un camion, cartelli gialli off limits, il mare blu e calmo bagna la riva ciottolosa.Ripresa aerea sul mare e le terre intorno, una voce fuori campo:

Credo che l’intero quadro del pericolo ai confini dia una connotazione speciale a qualsiasi cosa accada qui.Questa nostra verità, questo sapere interiore, ora è in pericolo, e tutto questo gioco di parole politico fa dimenticare che la situazione è veramente difficile, che noi siamo, qui, veramente aperti al fuoco nemico. La realtà profonda ebraica non è solo quella del canale di Suez.E’ la verità-base ebraica.

La voce prende corpo, è quella del  “Professore”, R.J. Zwi Werblowsky, docente di Storia delle religioni,in una torretta di guardia sul bordo del Canale. In borghese, cappello e impermeabile beige, punta il cannocchiale sulla riva opposta.Lanzmann è con lui.

Il cannocchiale perlustra lento, sull’altra riva tutto tace:

Lavorano, lavorano, ricercano, forse nel loro bunker, lavorano molto tranquilli, non c’è emergenza, è tutto quieto, assolutamente quieto…

Le piace la guerra, Professore?

La voce di Lanzmann rompe la concentrazione, il tono è neutro, guarda la riva opposta. Il Professore non stacca l’occhio dal cannocchiale per rispondere.

 A nessuno piace la guerra, credo.Ognuno vuol sapere a cosa sta prendendo parte, qual è la storia del suo popolo, non vuol restarne fuori.Vuol sapere questo in una partecipazione diretta a tutti gli aspetti della vita, qui.Cosa succede è parte della nostra vita. La nostra vita a casa è, mi lasci dire, parte del fronte e viceversa.Ognuno divide il suo tempo tra la vita civile e la vita militare una o due volte l’anno, ed è difficile per noi dire se uno è un civile in servizio militare un mese l’anno o un soldato nella vita civile undici mesi l’anno.

E’ difficile dirlo.

5. Una domanda agli operai

Tutti fate servizio militare?

Sì, senza eccezioni.Si va volentieri.E’ per il paese.Sapendo che è per sè stessi.Per un Ebreo vivere in Israele è un sogno.

6. Un volo aereo

… è come una base musicale – dicono guardando il cielo - molto rassicurante, un ombrello di sicurezza.

Mikael Feldman capo del Dipartimento di Biologia del Weizmann Institute of Science:

Essi lavorano per noi, noi per loro

L’aereo si allontana. A terra case modeste sparse qua e là, larghe pozzanghere, fango, passa un trattore, un vecchio fuma e guarda la troupe che fa riprese. In casa la grande famiglia è riunita intorno al tavolo. Il vecchio patriarca guida la preghiera, giovani donne con bambini in braccio, uomini, ragazzi, rispondono, in piedi. Comincia il pranzo, ridono, parlano con Lanzmann del loro ruolo nell’esercito.C’è allegria, sono insieme alla stessa tavola.

Benjamin Shalit:Non so come definire una nazione. L’essenziale è l’identificazione di un popolo con uno scopo centrale. Sono certo che in questo paese tutti hanno in comune lo stesso scopo.Possono identificarsi in modi diversi, ma hanno qualcosa in comune che li unisce.

L’esercito è un fattore capitale di questa unità.Non è un gioco, l’esercito.Ognuno capisce che noi siamo in guerra e accerchiati.

7. Tra  limoni e girasoli

 Il prof. Werblowsky: E’ veramente un popolo come gli altri, non ci dovrebbe essere bisogno di dirlo, è semplice, è come tutti gli altri.

In effetti desidera essere come tutti gli altri.Questo è sintomatico di un popolo che ha dovuto sopportare la sua scelta, volente o nolente, quella di essere stato eletto. Ma la sopporta, e ora cerca di entrare nella famiglia delle nazioni.Ma questo è senza speranza, credo, perché siamo diversi, o forse non diversi, ma scelti.Comunque, uno può essere come gli altri e ancora essere scelto.Ma poi bisogna cercare qualcosa, dentro di sé.

8. I vecchi e i giovani

Una ragazza con lentiggini, Noamah Flapan: La vecchia generazione è così eccitata dall’idea di avere Israele che non realizza che sta sacrificando le nuove generazioni.C’era un ragazzo del mio gruppo, ufficiale nell’esercito. I suoi genitori erano stati in un campo di concentramento.E’ stato ucciso da Al Fatah.Suo padre ha detto che non era morto per niente, che era caduto per il suo paese ecc. ecc.Aver fatto tutta questa strada e costruito questo paese solo per lasciar morire le persone, cosa c’è di buono?

Voci dal fondo, parla la vecchia generazione: E’ un esercito formidabile, il migliore del mondo – dice l’anziano padre.

Ma quale peso per i giovani  vivere così, avere questa responsabilità! E’ loro il compito di difenderci – è una voce femminile, l’anziana madre pensierosa.

Un accampamento in zona militare, giovani soldati scherzano, discutono, il colore delle riprese è di ferro e di sabbia

Questo è l’esercito d’Israele – voce fuori campoe so che questo crea responsabilità nei suoi soldati verso tutto il popolo ebraico, poiché lo portano sulle spalle. E’ una complessa responsabiltà verso il complesso popolo ebraico.

9. Ebrei americani 

Gert Granach torna in scena con una suggestiva Oh Susanna! in ebraico.

Scorrono immagini di biblioteche, centri per congressi, istituti di studi scientifici costruiti o restaurati con donazioni di Ebrei americani, sud africani.Un gruppo di anziani turisti americani parla con Lanzmann davanti al pullmann. Sono felici di vedere cosa è stato realizzato nel nuovo paese, sono venuti per questo.

Volevamo vedere il paese della Bibbia, è la nostra patria, il paese dei nostri padri.

Lanzmann:Cosa avete visto?

Lo vuol sapere? La notte scorsa abbiamo dormito in un kibboutz. Ci è piaciuto infinitamente – sorride il signore anziano, sobria eleganza, pipa in mano e Borsalino in testa. Poi si rivolge alla moglie, curiosa e attempata lì a fianco, impermeabile bianco neve e rossetto rosso carminio: Cosa ancora?

Abbiamo visto Nazareth, era uno spettacolo magnifico! E l’anfiteatro dei Romani…e…

Prima che la gentile signora ci racconti tutto il tour il flusso dei ricordi è interrotto da un signore molto sbrigativo, giubbotto di nylon e spessi occhiali neri da sole:

Vuole una risposta? Voglio sapere dove va a finire il denaro che regalo ogni anno per la Palestina, per Israele. Ecco perché sono venuto.

I compagni di viaggio lo guardano divertiti, dev’essere il simpaticone della compagnia.

Sono molto contento, spero di restare vivo e continuare a donare.

Lanzmann: Donate molto?

Molto, ma non voglio dire niente, quello che conta è donare.

Lanzmann: Lei è ricco?

No , non sono ricco. Sono uno piccolo, io. Ma noi regaliamo sempre.

Avraham Schenker, membro dell’esecutivo sionista: In tutto il mondo gli Ebrei hanno dimostrato che sono pronti ad aiutare Israele, soprattutto per finanziare l’immigrazione. I fondi raccolti dagli Ebrei nel mondo per Israele sono certamente senza precedenti nella storia.

10. Imparare la lingua

Un corso accelerato di lingua ebraica per immigrati, persone di tutte le età, una maestrina e una lavagna. Nient’altro. S’impara anche cantando.I turisti americani salutano, il pullmann chiama a raccolta.Il signore preoccupato per i suoi soldi recita qualcosa in yiddish.Lanzmann vuol sapere da dove viene, e lui:

Da Boston… dal mio shtetl…

Sì, ma prima?

Dalla Russia.

Siete nato lì?

Cinquanta anni fa.

11. Qualcosa non va…

La famigliola di giovani russi con bambina che Lanzmann aveva accompagnato in macchina e intervistati all’arrivo in Israele, entusiasti, torna in scena un mese dopo. Si sono accampati, più che sistemati, in un piccolo appartamento semivuoto, valigie e pacchi sono ancora chiusi, continuano a parlare solo il russo. La donna, seduta su un lettino di fortuna, giocherella con la bambina. L’uomo, Genia Gordjetski, in piedi, non ha un’espressione molto felice, anzi, oscilla tra rabbia e desolazione.

Lanzmann vuol sapere se sono contenti, formula di cortesia a cui il russo risponde secco:

Non sono venuto per essere felice ma libero.

Cosa gli manca? fa chiedere Lanzmann dall’interprete. 

La risposta è lunga e concitata, l’interprete riassume:

Pensa che questa sia la terra degli Ebrei e che qui lui è un vero Ebreo, ma continuano a chiamarlo “Russo  Russo”.

Ha voluto lasciare la Russia per Israele, ora vuol lasciare Israele per la Russia? - chiede Lanzmann

Dice che ha capito che Israele è la sedicesima Repubblica sovietica – traduce l’interprete – ma odia troppo l’ USSR per tornare a vivere lì.

Sua moglie la pensa come lui? - Lanzmann dall’interprete

Sì sì – risponde convinta la moglie.

Quando è arrivato qui ha provato a fare l’autista lungo il Mar Rosso, dice che è un autista specializzato, abituato a guidare grandi camions con rimorchio. Gli hanno detto “Non c’interessa. qui anche i bambini guidano le macchine, devi lavorare dove c’è bisogno”.

La moglie interviene dicendo che hanno un carico di lavoro eccessivo, mal pagato  ecc. Sembrano davvero delusi e inaspriti.

Lanzmann gira un po’ per le stanze, quasi vuote, senza vita. Cucina e bagno sembrano un inno alla malinconia.

Fa chiedere dall’interprete perché siano così scontenti, se è solo un mese che sono qui e chiunque, appena arrivato, ha avuto i suoi problemi all’inizio. Lui fa il muratore, lei la donna delle pulizie in una scuola.

L’uomo risponde: In Russia è necessario dire “ Sono contento di essere in URSS, mi piace avere un passaporto rosso”. Qui è la stessa cosa “Sono contento di essere in Israele e devo essere paziente, devo avere pazienza, pazienza, pazienza”. Non voglio sentire più questa parola, non voglio sentire: Sabra, Israele mi chiamano”.

Perché ci hanno dato un appartamento di tre stanze e quando siamo arrivati non c’era niente?

Lanzmann gli chiede perché si è fatto crescere la barba.

A Kiev sono primitivi, non potevo tenerla altrimenti non trovavo lavoro.

E qui sono meno primitivi?

Non molto, forse un gradino più su. Lo so, ho idealizzato troppo questo paese.

Forse idealizza anche gli U.S.A., è un paese difficile, la gente non è veramente fraterna.E’ il capitalismo, no?

Sì, è vero.

E allora – fa  Lanzmann - Israele è il capitalismo o la sedicesima repubblica sovietica?

Il russo, che niente riesce a smontare, neanche le sue contraddizioni: Credo che nessuno capisca questo: qui  no capitalismo, no socialismo, ma ogni sorta di cosa.

Lanzmann all’interprete: Digli che ho la sensazione che sarà scontento dovunque vada.

L’uomo risponde che se, invece di venire qui, fosse andato direttamente negli USA, non sarebbe stato poi così male, ma il fatto che succeda nel suo paese, in Israele, nel paese degli Ebrei, questo fa male.

Non può cambiare le cose? - chiede Lanzmann

12. Ritorno a Dimona

Nessuno voleva scendere dai camions. La storia dietro le quinte ci dice che per 8 ore i lavoratori hanno dovuto lottare con le loro famiglie per convincerle.E’ incredibile quello che hanno dovuto dire per  farle scendere giù dai camions.

Il vecchio: C’erano baracche di zinco. Baracche!

Leon: La Legge del Ritorno dice che il ritorno degli Ebrei nella terra dei padri dev’essere volontario e desiderato. Se è un ritorno volontario e desiderato non si può forzarli a scendere e nemmeno tirarli giù con i loro bagagli.

Il desiderio di toccare volontariamente il suolo d’Israele si estende anche all’atto di prendere i bagagli dal camion e metterli a terra.

Il vecchio: C’era il deserto. Eravamo le prime 36 famiglie. Siamo arrivati solo noi dal Marocco e dalla Tunisia. Non c’era niente.

Leon: Aspettavano di trovare una città ed hanno trovato il deserto. Aspettavano di trovare una casa ed hanno trovato baracche. Aspettavano di trovare un letto ed hanno trovato un materasso di paglia.

Il gruppo, in coro: No water, no luce, niente di organizzato, abbiamo avuto del pane alle 4.30 del giorno dopo.

Si doveva andare in giro per strada in 4 o 5, ognuno con una pistola e fare la guardia.

Lanzmann a Leon: Lei approva che per ridare unità al popolo lo si faccia tornare in Israele?

Qualche secondo di silenzio.

Leon:Mentire è sbagliato. Tuttavia… Non dimentichiamo che eravamo nel 1955, questo Paese era nato da poco ed era gravemente minacciato. Bisognava costruirlo e riempirlo.Per costruirlo bisognava riempirlo e per riempirlo bisognava mentire.Per anni un’insegna è rimasta proprio dove Dimona doveva nascere, perché per anni in Israele non erano d'accordo sull 'apertura di Dimona, che doveva essere la grande chiave del Negev, la grande chiave del deserto.

Questa insegna è rimasta lì per anni e chi passava di là, su asini e cammelli, poteva dire: “Ecco, qui non ci sarà  Dimona, ci sarà Dimiona, che in ebraico vuol dire “immaginazione, sogno”.

Il vecchio: E poi l’Agenzia Ebraica ci ha calmato, ci ha dato un lavoro… “Cosa sai fare?” “L’autista” “Bene”. Mi hanno dato un piccone e questo ho guidato.Per 40 anni ero stato un autista e poi ho guidato anche un piccone.

E cosa ci ha fatto?

Ho lavorato alle baracche.

Leon: Così, lei vede, le famiglie sono venute, Dimona ha cominciato a svilupparsi, le famiglie hanno pianto molto, e allora (questo è l’umorismo ebraico) chi passava diceva: “Non è ancora Dimona, è Dimhöna” un altro gioco di parole, che vuol dire lacrime!

Lunga carrellata sullo skyline di Dimona, palazzi di quattro piani, piccoli alveari nel deserto, si confondono col colore della sabbia e della roccia, grande sviluppo edilizio, cura diligente dell’arredo urbano, perfino del verde a suggerire frescura.

Leon: Si deve entrare nella storia di Dimona. Se abbiamo ereditato la bella città che vede, la bella stazione che c’è, i giardini, la vegetazione,  lo dobbiamo alle lacrime di queste prime famiglie.

Oggi non è Dimiona nè Dimhöna, ma Dimona della nostra Bibbia, una Dimona vivente, una graziosa Dimona, una Dimona non senza problemi.

Il vecchio racconta di aver perso il suo unico figlio nella guerra del Sinai.

Il primo morto di Dimona, suo figlio.

“E io sono vissuto sempre qui, e ringrazio Dio. Io sono qui e non mi sposterei per 10 milioni.

L’anno scorso sono andato a trovare la mia famiglia a Monaco.

Ho detto”Torno a Dimona, in Israele”.

Mio figlio è sepolto qui accanto a me, ho i miei amici, il mio paese, tutti mi  conoscono, sono il papà di Dimona, per tutti.

Sono il vecchio di Dimona.Nel mio paese sono felice, veramente, veramente felice.

E’ ricco?

Sì, sono ricco, perché nessuno mi dà ordini e non ne dò a nessuno.

Ho un pezzo di pane, sono come un re.

Leon: E per questo l'anima ha paura di lasciar andare l'ideale.

Non è stato facile per me, per la mia famiglia.

Siamo venuti con l’ideale.

Abbiamo sofferto con l’ideale.

Bisogna pagare ogni cosa nella vita.

Per un ideale ancora di più.

Il tempo è passato, e i nervi sono stati spezzati, ma io sono contento di aver avuto una moglie forte che mi ha aiutato a risalire, a capire, nelle crisi, che, se ero venuto qui, era per qualcosa, era per noi, e soprattutto per i nostri figli.

13. Piantagioni nel deserto

Bambini che cantano, ognuno con la sua piantina da interrare.

Ci sarà la pace per noi e per Israele

Un corteo di adulti va ad interrare piantine nella terra pietrosa. Macchie di vegetazione in primo piano, oltre c’è il deserto di sabbia e roccia. Una strada sterrata attraversa una foresta di conifere, si aprono campi coltivati, due contadine sono piegate sulle zolle.Un’insegna invecchiata, macchiata di nerofumo su un palo conficcato nel terreno al bordo della strada:

 “Alla memoria dei sei milioni di Ebrei vittime dell’Olocausto”. E’ la Foresta dei Martiri.

14. Il problema del perdono

Si torna nel salotto degli Ebrei tedeschi, si respirano estrazione borghese e buoni studi. Parla Dolf Michaelis, banchiere:

Ci sono due problemi, bisogna distinguere molto attentamente. Non si può perdonare, né ora né mai, la morte di sei milioni di Ebrei.Non si può perdonare, né ora né mai, la morte di un solo Ebreo.Ma quello che si ha il diritto di fare è quello che i Tedeschi hanno accettato: chiedere che rendano quello che hanno rubato agli Ebrei.E’ questo, la “restituzione”.

Si alternano uomini e donne e le prese di posizione.

Ma essi dicono “riparazione”. Una parola si forma secondo lo spirito di un popolo, non nasce dal nulla. Io non accetto la parola “riparazione”, accetto solo “restituzione”, non c’è “riparazione”!

Prende la parola il più veemente:

Nient’affatto! E’ il contrario. Il problema è: noi e i Tedeschi.C’è stato qualcosa di unico. I Tedeschi hanno messo in questione l’esistenza stessa del popolo ebraico.Sei milioni, un terzo della nostra popolazione, sono stati sterminati.Questo Stato è il solo garante della s opravvivenza del popolo ebraico.Ecco il problema politico: non aveva il diritto, questo Stato – io direi anche il dovere- di esigere delle riparazioni? Questo era il vero dibattito politico.

Riprende il banchiere:

Non molti anni dopo la promulgazione delle leggi sulla restituzione ho fatto una domanda per me e la mia famiglia, perché mi ero detto che non dovrebbe essere data ai Tedeschi la sensazione di aver  pareggiato i conti.

Una giovane donna:

Io so che quelli che sono stati nei campi hanno perdonato prima degli altri. Perché? Quelli che hanno perso i loro bambini, che hanno sofferto nella loro carne, hanno perdonato prima.

Una donna seduta sui gradini che portano al piano superiore: E’ umano.

15. Il gemellaggio fra Dimona, Israël e Andernach, Deutchland …

Nel Museo di Daimona Leon Roisch ha mostrato la scultura simbolo della Shoah, si è commosso al ricordo, ha detto parole piene di dolore…

Lanzmann gli ha chiesto, allora: E nonostante questo lei sostiene il gemellaggio?

Leon: Sì, non bisogna dimenticare, ma bisogna tentare di costruire, aprire una nuova strada, e noi l’apriremo, malgrado l’egoismo e malgrado quello che non si può comprendere, perché bisogna che l’odio finisca e l’amore ricominci.

16. Ma… c’è qualche problema

La sequenza del gemellaggio si apre con urla e strepiti intorno al tavolo del pranzo cerimoniale.Sostenitori e oppositori si  fronteggiano vivacemente alla presenza di Herr Stephens, Germany mayor, che assiste perplesso a capotavola, incorniciato dalle due bandiere. Qualche commensale tenta di calmare i due inviperiti, qualcuno si tiene il capo fra le mani, c’è chi continua a mangiare tranquillo, non è dato capire le ragioni della discussione, ma finalmente Herr Stephens si alza e fa un bel discorso di fratellanza, riconosce tutte le colpe del suo Paese, si scusa di non parlare la lingua e finisce con un grande elogio di Golda Meir, definendola una vera madre del popoloIl brindisi finale calma tutti gli animi e il ponte Israele-Germania è gettato.

EPILOGO

Il film si avvia all’epilogo, ultime immagini, scambi di opinioni, visioni diverse dello stesso problema. Flauto e percussioni accompagnano un giro in macchina per le strade della città, mentre una voce fuori campo dice:

Non bisogna dimenticare che Israele è un paese molto piccolo, la frontiera è a 20 chilometri da Tel  Aviv. C’è sempre una sensazione di ristrettezza da cui non si scappa, sembra di soffocare…

La strada è affollata, i locali stracolmi.

Benjamin Shalit commenta: Certo, si diventa claustrofobici quando non ci si può muovere. E’ normale, è un problema fisico, non c’era spazio. Sapere che i cannoni dei nemici sono a centinaia di chilometri è un sentimento gradevole. Si tratta di sicurezza, non di morale! Ma se la sicurezza poteva essere ottenuta con altri mezzi, bene!

La moglie di Benjamin fa sentire la sua voce, e val la pena di soffermarsi su quello che dice:

C’è un altro problema. Non poter lasciare il paese e stabilire relazioni normali con altri popoli finisce col renderci incapaci di capire il punto di vista altrui. L’impossibilità di passare le frontiere influisce sul carattere   degli israeliani.Pochi possono permetterselo. Uno studente non può prendere il suo sacco a pelo e superare la frontiera come, ad esempio, uno studente francese.

Il prof. Zwi Werblowsky a Suez:

L’esperienza di vaste distanze da attraversare per arrivare ai confini dell’Impero… per gli Ebrei si trasformava in un ghetto in cui si sentiva soffocare.Questa è un’esperienza profonda. Molti di noi credono che si debbano trovare risorse interiori per riscoprire, riguadagnare la dimensione delle vaste distanze in sè stessi, non in progetti geografici o politici.

17. GAZA

Una sequenza brevissima, due minuti sotto il sole a picco e la strada polverosa di Gaza fuori le mura.Tre soldati israeliani in perlustrazione, ragazzi. Due Arabi in jeans e camicia, le braccia alzate, poi le abbassano e mostrano documenti.Nessuno parla, alcuni bambini a terra guardano, appoggiati al muro. I soldati riprendono il loro giro con il mitra spianato.Alle immagini, mute e agghiaccianti, senza sangue né brandelli di carne e cadaveri in mostra, seguono momenti di altre interviste, s’intrecciano, in un puzzle caleidoscopico, riflessioni sui temi noti, prese di posizione sulla vita e lo spazio vitale, sulla terra dei padri e i suoi confini biblici, le radici sul Monte Sinai e le Tavole della Legge lì ricevute.La voce di Lanzmann di tanto in tanto entra in campo, sempre pochissime parole, il montaggio delle scene sarà la sua voce quando tutte le riprese saranno concluse.Nel 1973 bisognava cominciare a capire, tentare, almeno.

18. Ultime sequenze, pareri diversi su Hebron e l’occupazione dei territori

L’esperienza della conquista dà soddisfazione, gonfia l’ego, ci si sente Super man, dice il prof. Zwi Werblowsky 

Un fondatore del movimento “Grande Israele”, Abraham Joffe:

Quanto ai Palestinesi, bisognerà imparare a vivere con loro. Io sono pronto a dar loro gli stessi diritti degli Israeliani.

Lanzmann: Ma allora cosa diventa lo Stato ebraico?

Sarà uno Stato Ebraico con una forte minoranza.

E questo non le fa paura?

Oh no! Quando sono venuto qui il rapporto tra Ebrei e Arabi era di 1 a 10.Oggi è di tre Ebrei per un Arabo. Perché dovrei aver paura?

E’ pronto a restituire il Sinai agli Arabi?

Non credo che si debba fare. Per loro non è così importante e per noi è vitale. Nello stesso tempo, sarà una zona tampone tra noi e gli Egiziani, è un bene per noi, per loro, per il mondo intero.

Uomini del popolo, molto accalorati:

Gli dai il Sinai, poi vorranno Gerusalemme e il Golan!

Non volete restituire Gerusalemme? - voce di Lanzmann

Restituiresti Parigi o l’Inghilterra o la Germania? Siamo stufi di questo!

Lanzmann al portuale che lavora calmo sulla sua barca:

E lei? Cosa pensa degli Israeliani che vogliono dare i territori agli Arabi?

Se riusciamo ad ottenere la pace, perché no?

Lei restituirebbe tutto?

Se fosse per una vera pace, come dicono, io non sono molto esperto, ma penso che andrebbe bene.

Benjamin Shalit:Non sono i confini che definiscono un Impero ma i comportamenti umani. Io non credo che Israele abbia una condotta imperialista.Per ogni uomo che abbia queste idee ce ne sono altri con idee opposte. Spero di poter camminare un giorno in tutti questi territori e anche oltre pacificamente.

Lanzmann: Non crede che gli Arabi debbano abitare in una seconda zona?

No, io credo che gli Arabi di Israele, per merito dell’Ebraismo e del Sionismo, siano i più svilppati del Medio Oriente. Sono molto fiero di quello che abbiamo fatto per gli Arabi e credo che possiamo coesistere.

Ygal Yadin, archeologo:Israele deve accettare un compromesso tra le vecchie frontiere e quelle attuali. Se il Medio Oriente fosse vuoto mi piacerebbe che le nostre frontiere fossero le stesse del tempo di re David. Perché no? Ma noi non siamo soli. Io non credo che essi avranno l’ultima parola quando verrà il momento di negoziare.

Baruch Narshon, artista: Una volta Hebron era su queste colline, al tempo di re David. In basso vede la città araba, centro di tutta la regione, e sulle colline la città ebraica. Vorrei che formassimo una sola città con i nostri cugini, ma il governo ci ha ordinato di vivere separati. Io sono contrario. o non sono un conquistatore, so che non sarà mai finita con i territori.Non è che io abbia bisogno di conquiste, ma è scritto nella Bibbia, fa parte di un piano divino.

Un piano divino? sottolinea Lanzmann 

Baruch Narshon: Sì, io non lo comprendo, né comprendo i suoi piani, ma poiché ha detto ad Abramo che sarà così, allora dev’essere così. Io non lo so, così come ignoro la ragione dei suoi Comandamenti, ma è scritto nella Bibbia, è sicuro. Non lo metto in dubbio. C’è chi vuol sapere troppo.Quelli che vogliono capire tutto li trovi nelle Università, sono persone importanti. Io sono un tipo semplice. Voglio avere radici, tutto qua.Nella mia terra.

Benjamin Shalit sulle posizioni di Baruch e il gruppo per Hebron: Che si sia d’accordo o no con loro, sono sinceri, non sono degli ipocriti. Il guaio è che i diritti morali che invocano e che sono alla base della loro azione e che prendono molto sul serio non sono per forza accettati dagli Arabi.

Baruch ha disegnato una mappa grafica della religione ebraica e dei suoi  luoghi:

Ismaele, figlio di Abramo, uomo brutale, è qui, verso est.

Perché è così brutale?

Perché? Chiedetelo a Dio perché l’ha fatto così.A sinistra c’è il Cerchio del Vaticano. E qui un serpente. E’ l’anima del Papa.

Lanzmann ride fuori campo e Baruch ripete: L’anima del Papa è un serpente. Ero un maestro a Gerusalemme e ho sempre desiderato essere un artista, e così mi sono messo a dipingere.Il mio nome comincia ad essere conosciuto, grazie a Dio.

Ma perché venire a Hebron? chiede Lanzmann

Baruch : Durante la guerra dei 6 giorni ero a Gerusalemme e vedevo la guerra intorno. Ma, al momento di arruolarmi la guerra era già finita, era durata solo 6 giorni, era stata troppo breve.I miei migliori amici erano morti nel Golan, sul Sinai.Volevo fare qualcosa per il mio paese. Mi sono chiesto: Che fare? E quando ho sentito parlare del gruppo per Hebron ho deciso di unirmi e trasferirmi qui.

19. Nel Kibboutz ferve la discussione

Bisogna occupare i territori o no?

Io credo che bisogna occuparli. Non si tratta di uccidere donne, vecchi, bambini. Ma se bisogna occupare i territori per arrivare ad una regolamentazione, dobbiamo farlo.Noi dobbiamo lottare per la pace, qui, in Israele.Che gli Arabi facciano altrettanto a casa propria.

20. Torniamo a Baruch

Baruch: E’ il nostro paese, dobbiamo viverci, non guardarlo solo sulla carta

Lanzmann: Ma è anche il paese degli Arabi, no?

Baruch: Noi non li mandiamo via, ma è il nostro paese. Se vogliono viverci in pace mi sta bene. Se vogliono combattere, lo facciamo anche noi.

Lanzmann: Aspettavate questo giorno da prima della guerra?

Baruch: Prima della guerra? Prima di nascere! 

Lanzmann: Prima di nascere? Perché?

Baruch: Da migliaia di anni è scritto che è  il nostro paese, dunque non è un sogno.

Benjamin Shalit:Per questo gruppo che vuol controllare i territori in nome dei diritti sacri sarà più duro restituire qualcosa che per un gruppo che occupa i territori per una semplice questione di sopravvivenza.

Il diritto di sopravvivenza non è un diritto minore, ma se dimostriamo che si può vivere dentro confini più stretti la restituzione non sarà difficile. Ma per quelli che credono ad un diritto divino sarà molto più duro.

Due soldati camminano davanti a misere baracche con armi spianate, si aggirano fra asinelli che trascinano carretti, controllano documenti nell’osteria strapiena dove gli Arabi giocano a carte, passa un bambino, sfiora un soldato e non lo guarda neppure…Nel kibboutz la discussione continua. Bisogna o non bisogna occupare i territori? E gli argomenti buoni li trovano.

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Intanto Lanzmann rimonta il pezzo già fatto vedere, bambini che guardano i due soldati di spalle che camminano in un vicolo, si fermano, qualcuno batte colpi su metallo, guardano in giro sospettosi, un ragazzo con una borsa di paglia è fermato, mani in alto, controllo, chissà cosa c’era nella borsa? Bombe? Pietre? Polli, uova… ?

21. Uno sporco lavoro

Lanzmann chiede ai due soldati a Gaza:

Vi piace essere a Gaza?

No

Perché?

Qualcuno traduce la risposta: Dice che non è un ruolo da soldati. E’ come il gioco del gatto e il topo, è uno sporco lavoro.

Perché lo fanno?

Per scelta, bisogna finirla con il terrorismo.

E finisce?

La lista dei sospetti è molto diminuita

E per finire…

Un ragazzo del kibboutz: Se mi chiedono se andrei a combattere i Palestinesi dico sì. Anche se il mio governo non ha del tutto ragione, i Palestinesi non  hanno più ragione loro, perché non accettano di riconoscere Israele come un paese per gli Ebrei. Essi non dicono per me quello che io dico per loro, che cioè  essi  hanno il diritto di vivere dentro il proprio Stato, liberi e indipendenti.Da noi ci si aspetta, dovunque, che siamo più giusti degli Arabi. E io mi domando perché. Noi abbiamo lottato per avere uno Stato, con i suoi alti e bassi.Noi non abbiamo mai creduto di essere un popolo elitario.Solo gli antisemiti ci giudicano così. A volte mi pongo la domanda: perché ci chiedono di essere più giusti degli Arabi?

La discussione continua e non ha l’aria di finire molto presto… ma Lanzmann ora volta pagina.

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E’ l’ultimo minuto del film, si torna nell’ Archivio della Memoria,  alla luce fioca il custode sfoglia un volume preso fra le migliaia e legge i nomi… Lanzmann, Moshe, Sarah… sono molti...

Gert Granach canta

Andiamo verso la luce

fratelli, marciamo verso il sole  e la libertà

Andiamo verso la luce

fratelli, è finita la schiavitù

ridiamo della morte

è finita la schiavitù

la nostra ultima battaglia

sarà la più sacra!

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Filmografia di Claude Lanzmann

 

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