La trama del film che, da una compromettente neutralità verso Vichy, porta Bogart a essere solidale con de Gaulle, può essere vista, allegoricamente, come l’emanazione del desiderio di molti - in particolare ebrei - produttori hollywoodiani di vedere l’America disconoscere Vichy, così come Rick alla fine del film abbandona il suo locale nella Casablanca francese non occupata. Nella scena finale del film, il capitano Renaud, fino a quel momento capo della polizia locale, diventa un “patriota”, decide di unirsi alla Resistenza, e butta via con sprezzo una bottiglia d’acqua di Vichy. Lui e Rick, ex cinici, decidono alla fine di lasciare Casablanca insieme e di unirsi alle forze della Francia Libera di Brazzaville, una colonia dell’Africa occidentale che dal 1940 si è messa dalla parte di de Gaulle... luogo dal quale il generale ha trasmesso via radio i primi appelli alla Francia Libera. “Louis”, dice Rick alla fine, quasi rivolgendosi a un avatara della monarchia borbonica, “forse oggi noi inauguriamo una bella amicizia.”
Nella nebbiosa scena finale, come in un sogno di solidarietà, l’americano e quello che adesso è un Francese Combattente se ne vanno insieme, spalla contro spalla, nella bruma dell’aeroporto e nelle note reboanti della Marsigliese che già accompagnavano i fotogrammi di apertura del film e alcuni dei suoi momenti più emozionanti. Il punto più alto del film, dal punto di vista emozionale, è la vittoria simbolica della Resistenza sui nazisti quando la Marsigliese sgorga dai petti delle persone presenti nel locale di Rick sovrastando progressivamente le voci dei soldati nazisti che cantano The Wacht am Rhein.
Il dottor Greenberg intitola il suo capitolo su Casablanca: “Se è così sdolcinato, perché sto piangendo?” (che è perlomeno strano; i film sdolcinati e gli inni nazionali mi fanno sempre piangere). La forza del fascino sentimentale del film è intimamente legata al potere di questo grande inno francese di suscitare anche negli americani, sogni di trionfo collettivo contro l’oppressione tirannica, e di dare consistenza a quei sogni nell’impetuosa progressione della sua musica e negli esaltati imperativi della sua retorica. Il film evoca il sogno americano nei suoi fotogrammi iniziali, dove un globo ruota dal Nuovo Mondo al Vecchio e una voce narrante recita:
All’inizio della Seconda guerra mondiale molti occhi nell’Europa oppressa si volsero pieni di speranza o di angoscia verso la libera America. Lisbona divenne il grande centro d’imbarco. Ma non tutti erano in grado di raggiungere direttamente Lisbona. Molto spesso ai profughi rimaneva la sola alternativa di un lungo, tortuoso giro, da Parigi a Marsiglia. E, attraverso il Mediterraneo, a Orano. Poi in treno o in auto o a piedi dalle coste dell’Africa a Casablanca, nel Marocco francese. Là i più fortunati col denaro, le relazioni o la buona sorte ottenevano il visto di partenza e correvano a Lisbona e da Lisbona all’America. Ma gli altri aspettano a Casablanca, aspettano, aspettano, aspettano.
La netta ostilità del film nei confronti della politica estera americana è esente da qualsiasi traccia di antiamericanismo. Nel caso che a qualcuno fosse sfuggito, Carlo, il tenero cameriere del Rick’s Café, porta a un’anziana coppia smaccatamente ebrea il miglior cognac per festeggiare la loro imminente, emigrante partenza. I due alzano i bicchieri e brindano a turno: “All’America. All’America. All’America”. L’allegoria politica non è mai così esplicita come nel momento in cui Bogart-Blaine, deciso a ubriacarsi, poco prima di picchiare il pugno sul tavolo, dice a Sam:
“Se qui a Casablanca è dicembre del ‘41, che stagione è a New York?”
“Il mio orologio si è fermato.”
“A quest’ora dormono, laggiù. Scommetto che dormono in tutta l’America”
Se l’America chiude gli occhi di fronte al cinismo della politica americana verso la collaborazione di Vichy, il film vuole scuoterla e indicarle quali sono i suoi veri interessi. Come oggetto di propaganda - la rappresentazione sentimentale di un messaggio politico - , esso riuscì a influire in modo positivo e immediato sulla diplomazia di Roosevelt.
Alla vigilia del nuovo anno 1943, Franklin Roosevelt fece proiettare per i propri ospiti Casablanca, appena apparso sugli schermi, in un momento in cui la politica del suo governo verso la Francia di Vichy stava diventando sempre più intollerabile per un paese in guerra con i suoi capi. Vichy, che aveva condannato in contumacia de Gaulle alla pena di morte, non era soltanto riconosciuto, ma corteggiato dagli Stati Uniti; l’ambasciatore americano a Vichy era un amico intimo di Roosevelt, l’ammiraglio William Leahy. Nel gennaio del 1943, dieci giorni dopo aver visto il film, Roosevelt volò a Casablanca (il primo presidente americano a viaggiare in aereo mentre era in carica) per uno storico incontro con Winston Churchill. Scopo principale della conferenza era quello di coordinare la diplomazia alleata nei confronti dei rappresentanti della Francia in Nordafrica. Il generale Jean François Darlan, che aveva comandato le forze di Vichy in Nordafrica fino al momento del suo assassinio in dicembre, aveva sostenuto la collaborazione francese con i nazisti fino allo sbarco degli alleati in Nordafrica nel 1942; aveva poi ordinato alle forze di Vichy di unirsi alla loro parte. Roosevelt condannò l’assassinio, definendolo “omicidio premeditato”. Darlan venne immediatamente sostituito, come alto commissario dell’Africa Francese, dal generale Henri Honoré Guiraud, intimo amico del maresciallo Pétain. De Gaulle, che viveva a Londra con il sostegno di Churchill, accompagnò quest’ultimo a Casablanca e con grande riluttanza acconsentì a essere fotografato mentre stringeva la mano a Guiraud. Nell’arco di sei mesi sarebbe riuscito a neutralizzare l’influenza di Guiraud sulle Forze Libere francesi. A Casablanca, Roosevelt, su pressione di Churchill, vinse la diffidenza e cedette: rinunciò al riconoscimento di Vichy e al sostegno a Guiraud, e impresse una svolta alla diplomazia americana in favore della Francia Libera di de Gaulle... un’azione che culminò nell’agosto di quell’anno con la piena adesione dell’America al Comitato Nazionale Francese. Questa decisione trasformò Roosevelt e de Gaulle in alleati a tutti gli effetti nella lotta contro il nazismo.
L’inaugurazione di una bella amicizia fra (f)Ri(n)ck(lin) e “Louis”, alla fine di Casablanca viene interpretata dal dottor Greenberg come scelta “omosessuale”. Ma la necessità di consolidare un legame tra fratelli francesi e americani non è interna alla logica psicologica della trama; piuttosto, essa sfrutta questa logica per nascondere il suo coinvolgimento nella dura lotta per la fedeltà per la fedeltà:che stava per avere inizio. Il film stesso era un protagonista di primo piano le cui pressioni a favore della Francia Libera possono aver influito in modo determinante sulla politica estera di Roosevelt e sulla storia dei rapporti fra America e Francia. Roosevelt che fa proiettare il film, appena uscito, alla Casa Bianca alla vigilia dell’anno nuovo, dieci giorni prima di volare a Casablanca, è l’equivalente di Bogart-Blaine che, abiurando la sua neutralità morale, fa segno all’orchestra del locale di intonare la Marsigliese, sovrastando le voci dei tedeschi che cantano un inno nazista. Roosevelt, piangendo al buio della sala di proiezione della Casa Bianca, può aver deciso in quel momento la svolta in favore della Francia Libera poi resa tangibile dalla conferenza di Casablanca. Humphrey Bogart, interpretando il proprietario del Rick’s Café, sapeva di sicuro che stava interpretando Roosevelt. Questi, a Casablanca, sarà stato colto dal sospetto di interpretare Humphrey Bogart?
Il dottor Greenberg non ci dice nulla sulle sigarette di Casablanca. Se lo avesse fatto, si sarebbe probabilmente limitato a considerarle “falliche”, ma forse le. ha trascurate proprio perché sentiva la resistenza che esse opponevano alla sua lettura del conflitto edipico... perché lo avrebbero costretto a modificare la sua idea del fallo. Egli si lascia ingannare dal film e crede di aver scoperto il suo messaggio inconscio, mentre il film usa il suo compiacimento interpretativo per allungargli sottobanco un altro messaggio che è prettamente politico. Greenberg si è lasciato sfuggire che la sigaretta come feticcio sessuale era diventata fin dal 1942 una sorta di frusto cliché che poteva essere usato, anche da Hollywood, per nascondere altri temi più ottili. Come dice Bogart alla fine, quasi si rivolgesse al manualetto per famiglie del dottor Greenberg: “I problemi di tre piccole persone come noi non contano in questa immensa tragedia”
Le sigarette in Casablanca possono essere maschere dietro cui uomini spaventati nascondono i loro dubbi, le loro viltà, le loro esitazioni e la loro impotenza. La sigaretta nasconde la paura dietro una posa aggressiva che esprime disprezzo per le paure e le debolezze altrui. La “sigaretta ‘Humphrey Bogart’”, tenuta fra pollice e indice, consente al “duro” di fumare di rabbia e di mostrare i pugni. Ogniqualvolta due uomini si trovano in rapporto di competizione o di rivalità, sessuale o politica, si sentono in dovere di mostrare l’uno all’altro la parte posteriore della mano, di solito chiusa a pugno. […]
Peter Lorre è una delle prime vittime di Casablanca. Egli continua a fumare nervosamente, tenendo la sigaretta vicinissima al corpo, aspirando rapide, brevi boccate, rigirando la sigaretta fra le dita, quasi a offrire un emblema visivo del fallo rovesciato della sua castrazione. Se l’atto di puntare una sigaretta accesa verso gli altri e di soffiare il fumo nella loro direzione è spesso un gesto aggressivo, una risposta alla sgradita intrusione di altre soggettività, volgere la sigaretta all’interno del palmo è segno di sacrificio di sé. Come regola generale, più si tiene la sigaretta lontana dal corpo, più l’atteggiamento è fiducioso e pacifico.
Anche Claude Raines, che interpreta il capitano Renaud, fuma continuamente nel film. Il suo stretto legame con Bogart è riflesso dal modo in cui il suo modo di fumare rispecchia quello del rivale, amico e compatriota politico.., egli è oggetto della scelta omosessuale di Bogart, dovendo credere all’interpretazione “camp” del dottor Greenberg. In altre occasioni, intrappolato nelle costrizioni sempre più contraddittorie della sua impossibile posizione, mentre tenta cinicamente di servire più padroni, sentimentalmente e politicamente disgustato dai nazisti, il capitano Renaud è mostrato dalla macchina da presa mentre aspira lunghe, profonde boccate da una sigaretta e sbuffa lentamente ampie nuvole di fumo in aria, manifestazione visibile delle sue meditazioni intricatamente strutturate. Il fumo di sigaretta è una delle sostanze materiali che più somiglia in assoluto alla sostanza del pensiero. Anche Laszlo, il capo della Resistenza, e il colonnello Strasser, il comandante nazista, fumano di continuo. Niente è più rivelatore del modo in cui le sigarette vengono usate nei film per indicare ciò che dovrebbero nascondere. Laszlo fuma le sue innumerevoli sigarette tenendole fra le dita eccessivamente lunghe, affusolate e unite, il palmo disteso e spiegato come uno schermo davanti al volto. Costituendo il background dell’underground, la mano che tiene la sigaretta non serve soltanto a mascherare le sue intenzioni e a nascondere al mondo i segreti sulle sue labbra; essa viene anche mossa con la solennità di un turibolo dal suo pope politico, depositario dei valori più alti e di principi intransigenti. Il colonnello nazista è un concentrato di nervosa compulsione, fuma la sigaretta fino al mozzicone che continua a succhiare tenendolo precariamente fra le dita.
Annie Leclerc, dopo aver diagnosticato l’implicita fallocrazia della “sigaretta ‘Humphrey Bogart’”, riconsidera la questione con qualche incertezza e sfuma ellitticamente il giudizio all’inizio del capitolo successivo. Scrive:
Ciò mi fa pensare che forse sono stata crudele verso la “sigaretta ‘Humphrey Bogart’”. Questo ometto dall’aspetto sofferto in realtà ha bisogno della sigaretta quantomeno per fingere. In fondo penso di poter capire le spalline, l’impermeabile da poliziotto con il bavero rialzato o tutti gli affinati o spuntati strumenti della fallocrazia. Basta rendersi conto che la minaccia è grave. Che chi, maschio o femmina, fa muovere il meccanismo è in primo luogo qualcuno che ha paura. Che forse ha buone ragioni per averla. Fingere non è peccato. Peccato è essere stolti. Se nessuno credesse, non ci si sentirebbe costretti.
S’interrompe qui, non volendo o non potendo seguire il proprio pensiero sino in fondo. Il senso sembra essere che sia gli uomini sia le donne fumano sigarette fallocratiche per darsi coraggio e nascondere la paura che possono provare di fronte a situazioni effettivamente minacciose. La sigaretta è uno strumento per mantenere la calma, è l’aspetto inespressivo necessario a fronteggiare minacce alla propria integrità. È la maschera del potere e un meccanismo che serve a darsi il potere di mantenere la compostezza. L’esitazione della Leclerc avvolge la sua quasi-difesa dell’utilità della maschera fallocratica, quella che in precedenza ha esplicitamente denunciato. Rivedendo il proprio giudizio, ella riconosce che questo travestimento non può essere sempre, in ogni circostanza, dannoso; a volte, per uomini e donne, è necessario, di fronte a un reale pericolo, mostrarsi arroganti, duri, intrepidi. L’errore morale si dà quando si comincia a scambiare la propria maschera per se stessi.
Verso la fine del suo libro sulle sigarette, la Leclerc ricorda ciò che ha fino a quel momento trascurato, l’aria del fumo. E scrive questo splendido brano:
Avevo dimenticato, forse da sempre, nella notte del mio tempo, che il cibo non è la sola cosa che passi attraverso la bocca, Avevo dimenticato l’aria. L’aria che passa attraversa la bocca e la morbida gola. L’aria. L’aria del respiro, l’aria del pianto e del gemito, l’aria delle canzoni e delle parole.
L’aria... Come se avessi dimenticato perfino la parola. Strana, piccola parola. Una parola sospesa, isolata dalle altre parole. Una parola nuova, inaugurale, incompiuta, che si apre fra lingua e palato, una parola così lieve, irrilevante, che non appena è detta è davvero nell’aria. Una parola piumata. Un parola-uccello. Aria...
Che io continui a fumare anche per porre rimedio a questa dimenticanza, per rammentare a me stessa l’aria, la gola e i polmoni? Fumare in modo che l’aria passi attraverso di me, che circoli e si trasformi? Non è divertente essere sempre se stessi. Essere soli, singolari, separati. Forse ho fumato per tentare di aprire il guscio, di spaccare il pesantissimo, gravoso sacco di emozioni, alimenti e pensieri. Fumare per cercare, per continuare a cercare un’uscita da questo sé-ricettacolo, pattumiera e tabernacolo.
Per sollevare il coperchio dell’opprimente ripetizione. Fumare per andare oltre. E respirare al di là del respiro.
Annie Leclerc fuma per ricordare di non dimenticare... l’aria. Per non dimenticare nemmeno la parola, aria.., che è essa stessa, dice, ariosa, alata, una parola-uccello piumato, non ancora detta e già nell’aria. Ella fuma per non dimenticare la sua gola, i polmoni e l’aria, per essere attraversata da qualcosa che circoli fra il dentro e il fuori. La boccata dalla sigaretta è aria che le ricorda l’aria, un respiro-oltre il respiro che ci rammenta che viviamo non soltanto in noi stessi ma fuori di noi stessi, nella e dell’aria che respiriamo. Fumare sigarette ci consente di trovare una via d’uscita dai nostri tediosi, ripetitivi, limitanti, sacri, inutili piccoli gusci, di sperimentarci come parte di ciò che non siamo, al di fuori della nostra familiare interiorità. L’aria del fumo ci ricorda che stiamo fumando aria, che siamo sempre fuori dall’interno di noi stessi, nell’aria come la parola quando lascia il nostro interno e vola in aria, come una parola piumata... Come un uccello, la parola aria.
L’aria non è soltanto la miscela di gas nello spazio attorno a noi e in noi, è la parola per lo spazio-tempo che accompagna ogni respiro. Noi siamo nel tempo al modo in cui siamo nell’aria, sicché “l’air du temps”, come uno sbuffo di profumo, definisce la qualità circostante del momento, il particolare tono e tenore di un momento nello spazio e nel tempo. Ogni nostro respiro, ogni nostra boccata di fumo è un’aria del tempo, un modo o un umore del tempo che passa.
Le sigarette fumate in Casablanca sono l’incarnazione visiva della canzone più nota del film, As Time Goes by [Mentre il tempo passa].
La città è il luogo dell’attesa, dell’attesa, dell’attesa - in quello scialbo tempo intermedio - del visto che consentirà di lasciare quel posto, che è un esilio ma non ancora il luogo verso cui si è diretti. Il passare del tempo ha un duplice significato, ricordato nei primi e ultimi versi della canzone del film:
Non dimenticare,
un bacio è soltanto un bacio.
Un’occhiata soltanto un’occhiata.
Le sole cose da tenere a mente,
mentre il tempo passa.
E quando due amanti si amano,
continuano a dire ti amo.
Su questo puoi contare,
senza curarti di ciò che porta il futuro,
mentre il tempo passa.
[…] . .
È sempre la solita vecchia storia,
lottare per l’amore e per la gloria,
questione di agire o morire.
Il mondo darà sempre il benvenuto agli amanti,
mentre il tempo passa.
La canzone può essere intesa come un riferimento alla storia sentimentale di Rick e Ilsa: la loro cattiva scelta di innamorarsi il giorno in cui i tedeschi entrano a Parigi; il tempo perduto fin dal momento - di cinque in cinque minuti sull’orologio della Gare de Lyon - in cui Ingrid-Ilsa non lasciò Parigi con Rick; e il tempo trascorso fino al loro ritrovarsi a Casablanca.
Sam - Il “ragazzo”, come lo chiama lngrid Bergman - suona il pianoforte nel locale di Rick ed è il suo più fedele dipendente, materno e protettivo nei confronti del “padrone”. Quando lo vediamo per la prima volta nel locale di Rick, Sam sta cantando:
Per i miei capelli ricci, per i miei denti di perla,
proprio perché sorrido sempre,
vedrò sempre il tempo alla vecchia maniera.
Egli è l’anima del locale, il centro estetico e sentimentale del film; la sua musica determina il clima morale dell’azione e fa da commento costante allo svolgimento della trama. Quando Bogart nasconde nel suo pianoforte le lettere di transito rubate, Sam suona Who’s Got Trouble? [“Chi è nei guai?”]; e quando Ilsa entra da Rick per la prima volta, al braccio di un altro uomo, Sam suona Love for Sale [“Amore in vendita”].
Egli è il custode del passato e detiene il segreto dell’inversione del tempo. Quando Ingrid-Ilsa siede al piano, Sam dice: “Io non aspettavo di vedervi, signorina. Molta acqua sotto i ponti”. Lei gli chiede una “vecchia canzone”. Sam cerca di accontentarla dapprima con Avalon. Non è quella che lei vuole sentire. “Suona As Time Goes by.”
Ma l’orologio di Sam si è fermato; come ogni altro a Casablanca egli sta aspettando, aspettando. Mentre il tempo passa, il tempo si perde intanto che l’America resta sospesa nella sua benevolente neutralità verso Vichy. Patriota è chi aspetta impazientemente la nuova alleanza fra gli Stati Uniti e le forze della Francia Libera.
Libri citati
Eco, Umberto, Dalla periferia all’impero, Bompiani Milano, 1977.
Greenberg, Harvey, The Movies on Your Mind, Saturday Review Press, New York, 1975.
Leclerc, Annie, Au Feu du jour, Grasset, Paris, 1979.
NOTA PER DATABASE: HO PERSO DUE ORE PER L'ICONOGRAFIA E I TRAILER, MA IL "SISTEMA" CR NON ACCETTA LA GRAN PARTE DI ESSI.
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