Il 14 maggio scorso è stato lanciato il nuovo canale tematico del digitale terrestre, Giallo, con un’offerta incentrata principalmente su serie televisive poliziesche o mistery. Posso tranquillamente ammettere di essere un grande fruitore del canale e di rappresentare una piccolissima quota di quel 0,60% di share giornaliero che gli viene attribuito. Perché la mia famiglia originaria (mio padre, mia sorella e io) e ora anche quella acquisita (mia moglie e mia figlia) abbiamo una “malattia” autoimmune per i gialli e i polizieschi in genere. Fin da bambino sono stato un avido lettore di gialli, quelli classici alla Agata Christie (tutti i libri, con particolare amore per “L’assassino di Roger Ackroid” - 1926 - e “Dieci Piccoli Indiani” – 1939) fino ad Ed McBain passando per Stuart kaminsky, una pletora di autori del “Giallo Mondadori” (John Dickson Carr, Rex Stout, Ross McDonald etc) fino a George Pelecanos, Fruttero e Lucentini, Petros Markaris..e chissà quanti altri che ora non mi vengono in mente.
Quindi ho provato un immenso piacere nel rivedere telefilm storici oramai spariti o altri che hanno avuto, per motivazioni varie, poca fortuna (alcuni con ragione, altri meno).
La programmazione ripropone, infatti, parecchi “cavalli di battaglia” della mia infanzia, quali le puntate di Ellery Queen (andate in onda in Italia nel 1979-80), ambientate nell’America dei rigorosi anni 50, aventi come interprete principale l’apparentemente goffo Ellery (interpretato dallo sfortunato John Hutton, padre di Timothy) nei panni dello scrittore - investigatore dilettante figlio dell’integerrimo Ispettore Queen (il solido David Wayne) il quale, nella fase finale di ogni episodio, si rivolge direttamente agli spettatori riassumendo gli eventi occorsi nell’episodio e rimandandoci alla soluzione finale, dove si farà (spesso) beffe del saccente conduttore radiofonico Simon Brimmer (interpretato dall’impeccabile John Hillerman). Nota di merito anche per l’ottimo apporto dato alla serie dal caratterista Tom Reese (nei panni del Sergente Thomas Velie), vera faccia da sbirro da film noir.
Fanno parte del palinsesto, poi, anche Quincy (con protagonista Jack Klugman, vero antesignano dei vari CSI moderni), Ironside (con Raymond “Perry Mason” Burr, introdotta dal celebre tema di Quincy Jones),
Matlock (con il simpatico Andy Griffith), la longeva e dall’inspiegabile successo Law & Order, oltre ad altre serie più o meno valide ma svolgenti comunque, a mio avviso, la loro primaria funzione di spensierato intrattenimento seriale, quali Crossing Jordan (con protagonista la decisa Jill Hennessy), evoluzione del capostipite Quincy, Il Giudice Emy (con protagoniste Amy Brenneman e Tyne “N.Y.-N.Y.” Daly), The Practice – Professione avvocati, Killer Instinct, in-Justice, Law & Order Parigi, i mediocri “Codice Matrix” (un “24” dei poveri) e Night Stalker (sorta di X-Files fuori tempo massimo, con l’unico pregio della presenza dell’incantevole Gabrielle Union quale coprotagonista), ed altri che sicuramente mi sfuggono
Vengono riproposti, poi, forse in rotazione troppo stringente, le puntate delle uniche due stagioni della serie Shark – Giustizia a tuti i costi, con protagonista James Woods; questa è il classico esempio di come un attore di personalità ed esperienza fagociti ed annulli completamente tutti i comprimari, volando una spanna al di sopra di tutti, gigioneggiando nei panni dello scaltro e senza scrupoli procuratore di Los Angeles Sebastian Stark, detto Shark per ovvi motivi. Destino che accomunerà, per gli stessi motivi, Woods con Tim Roth, protagonista anni dopo del buon serial “Lie to Me” (fermatosi alla 3^ stagione). Le tre regole del Tagliagole di Sebastian Stark (fonte Wikipedia), sono:
1. Il processo è guerra, o vinci, o sei morto.
2. La verità è relativa. Scegline una che funzioni.
3. In un processo con giuria, ci sono solo 12 opinioni che contano, e la tua (indicando la sua squadra) non è decisamente una di queste.
E ad un collaboratore che gli chiede: "E la giustizia?", allargando le braccia risponde: "La giustizia è un problema di Dio."
Altro discreto prodotto, dal classico impianto “tribunalesco” a mio avviso offrente una delle caratterizzazioni più valide e suggestive di un team di avvocati, è Justice – Nel nome della Legge: il capo del team di legulei (il truce e deciso Ron Trott, ben interpretato da Victor Garber) se ne frega altamente dell’innocenza o meno del proprio cliente e, insieme ai suoi colleghi, procede militarmente come una schiacciasassi nei confronti di tutto o tutti pur di ottenere il proprio scopo, cinismo pratico solo attenuato da una vena di buonismo diffusa nel corso delle 13 puntate dell’unica stagione prodotta. In pratica, gli avvocati che tutti vorrebbero a rappresentarli (solo negli U.S.A., perché il legal-serial o è americano o non è: un processo italiano, probabilmente, farebbe addormentare gli spettatori) ed ai quali, di contro, non oserei neanche attraversare la strada a piedi per paura di essere citato in giudizio. La puntata è divisa in fasi (colloquio con il cliente, preparazione tattica e fase dibattimentale) e, dopo il verdetto (quasi sempre a favore dei nostri), ci viene mostrato come si sono realmente svolti i fatti oggetto del contendere. Frase programmatica proferita da Trott nella sigla iniziale: “Se hai l’avvocato giusto, il nostro è il miglior sistema giuridico del mondo”.
Concludo citando anche il telefilm Blind Justice, andato in onda in un’unica stagione nel 2005, con protagonista Ron Eldard nei panni di un poliziotto rimasto cieco nel corso di uno scontro a fuoco che riesce a farsi riammettere in Polizia. Questo poteva essere il preambolo ad una serie superomistica sulla capacità umana di andare oltre il fato avverso e le menomazioni fisiche, ma invece, nel corso delle 13 puntate, si riescono a sviluppare con buona capacità di scrittura, pur su un impianto poliziesco, delicate tematiche sull’accettazione dei propri limiti e sullo scontro-confronto con gli altri.
Un canale, in definitiva, che dopo un periodo di prova si spera possa trovare una sua strada fatta di prodotti di qualità, oltre la mera riproposizione di vecchi telefilm per inguaribili serialisti (quali il sottoscritto): a questo proposito sembra che a novembre arrivi in prima tv in chiaro la serie “Il socio”, sequel dell’omonimo film del 1993 tratto da un racconto di Grisham.
Vedremo...
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