Il mondo del cinema e quello del rock si sono spesso incrociati. A volte le vicende del rock hanno fornito la base per raccontare storie sul grande schermo, altre volte invece la musica era il sottofondo per esaltare immagini e colori, ma un sottofondo talmente importante da assumere una propria valenza e diventare parte fondamentale per la riuscita dell’opera nel suo complesso.
La passione per il rock mi ha inevitabilmente portato a catalizzare la mia attenzione verso quelle pellicole che proponevano contenuti musicali importanti, non sempre poi le attese sono state rispettate ma questo fa parte del gioco.
Evitando di fare elenchi sulla cui utilità nutro forti perplessità, vorrei piuttosto focalizzare l’attenzione dei lettori su tre film usciti in momenti diversi, anche se non lontanissimi fra di loro, e che si possono ordinare in maniera cronologica per raccontare una storia del rock che si sviluppa su tre decenni diversi.
Il primo film è Still Crazy, del 1998, diretto da Brian Gibson alla sua ultima regia prima della prematura scomparsa avvenuta nel 2004.
Con questa pellicola, che pure si svolge ai giorni nostri, entriamo in pieno clima anni ’70. Protagonista della storia è infatti una band, gli Strange Fruit, che dopo aver vissuto una stagione di grande successo nei mitici seventies si scioglie a causa di contrasti e dissidi interni. La goccia che fa traboccare il vaso è la partecipazione al festival di Wisbech nel 1977, conclusa con una litiga furibonda che sancisce la sparizione della band dai palchi.
A vent’anni esatti il figlio dell’allora organizzatore vuole rifare il concerto e propone a Tony, ex tastierista della band, una reunion della stessa per l’occasione.
Questi allora cerca i vecchi compagni d’avventura e tra mille difficoltà riesce nell’impresa, in una sarabanda di episodi esilaranti in cui vengono messi alla berlina gli atteggiamenti e le manie delle rockstar.
Divertente commedia grazie anche ad un cast davvero all’altezza (su tutti Jimmy Nail e Bill Nighy) , Still Crazy è un film rock fino al midollo, sostenuto da una colonna sonora originale davvero di altissimo livello, scritta nientemeno che da Mick Jones (chitarrista dei Foreigner, gruppo AOR di grandissimo successo negli U.S.A. e con una certa notorietà alle nostre latitudini per l’hit melodico I Want To Know What Love Is ) e Chris Difford (membro degli Squeeze, band di una certo successo nell’ambito della scena pop inglese a cavallo tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80).
Benché ufficialmente la vicenda sia ispirata al ritorno sulle scene degli Animals, gli Strange Fruit sono una sorta di summa dei gruppi che calcarono i palchi del rock inglese appunto nel decennio sopra ricordato, in particolare quelli inquadrabili nell’hard rock e nel glam.
Gli Spider from Mars, band di supporto a David Bowie, i Mott The Hoople (citati fra l’altro nella sequenza iniziale), gli Slade, gli Sweet, ma anche, al di fuori dell’ambito glam, i Bad Company ed i Free, queste le band che non possono non venire alla mente mentre si osservano le prodezze musicali degli Strange Fruit.
Tra i brani della colonna sonora menzione particolare per la intensa The Flame Still Burns.
Se gli Strange Fruit fossero davvero esistiti, con un brano del genere si sarebbero ritagliati un posto nella storia del rock.
Secondo film della nostra ricostruzione cronologica è Rock Star, del 2001, prodotto da George Clooney (al suo esordio in tale veste) e diretto da Stephen Herek.
Anche qui la storia trae lo spunto da un episodio realmente accaduto, ovvero la momentanea separazione di Rob Halford dai Judas Priest e la sua sostituzione con Tim Owens, uno sconosciuto che cantava in una cover band del celebre metal act britannico.
Infatti il protagonista, Christian Cole poi soprannominato Izzy, è un giovane fan di una band metal, gli Steel Dragon, che sfoga la sua passione sfrenata cantando in un anonimo gruppo in cui imita i suoi idoli, e che per un caso fortuito viene chiamato a sostituire proprio il cantante.
Gli Steel Dragon, band fittizia, hanno peraltro davvero ben poco a che vedere con i Judas Priest, a partire dal fatto che sono americani e non inglesi.
Piuttosto rappresentano un compendio di quell' heavy metal che dominò le classifiche musicali d’oltreoceano, e non solo, nel corso degli anni ’80, e in particolare del cosiddetto air metal.
Le band richiamate alla mente sono parecchie, dai Guns’n Roses ai Poison, ma i più pertinenti per un accostamento risultano essere i Motley Crue.
Gli eccessi e le follie con cui gli Steel Dragon infiorano la loro attività di musicisti non possono non far ricordare le esibizioni tipiche di quelle band anche, e soprattutto, al di fuori dei palchi, con i vari membri impegnati in una gara a chi la faceva più grossa.
Dei cinque membri dei Dragon solo due (il cantante “Izzy” Cole e il chitarrista Kirk Cuddy) sono interpretati da attori professionisti (rispettivamente Mark Whalberg e Dominic West), mentre per gli altri tre ruoli vi è la presenza di musicisti veri.
Si tratta di Zakk Wylde (chitarrista della band di Ozzy Osbourne, oggi nella Black Label Society), Jeff Pilson (bassista dei Dokken) e Jason Bonham (batterista figlio d’arte, suo papà è nientemeno che il mitico John “Bonzo” dei Led Zeppelin).
Quest’ultimo è anche l’unico dei tre che non si limita a fare semplice presenza nella pellicola ma ha una partecipazione abbastanza attiva (è nella band il membro più ostile a Izzy).
Particolarmente interessante è, a mio avviso, la figura del leader indiscusso della band, il sopra citato Kirk Cuddy, che sia nell’aspetto fisico che, soprattutto, negli atteggiamenti dittatoriali, richiama alla memoria Gene Simmons dei Kiss (chi ha avuto modo di leggere l’interessante autobiografia che lo stesso ha pubblicato qualche anno fa avrà sicuramente capito di che sto parlando).
Naturalmente di grande effetto la colonna sonora, costituita in parte da brani scelti del metal anni ’80 (Bon Jovi, Kiss, Def Leppard e, immancabili, i Motley Crue) e in parte da canzoni create appositamente per il film e interpretate da musicisti della scena heavy metal. Nel dettaglio le parti vocali vedono la partecipazione di Jeff Scott Soto (una vera icona del genere, con un numero impressionante di collaborazioni) e Michael Matijevic (degli Steelheart).
Una curiosità accomuna queste due pellicole, e cioè la partecipazione dell’attore britannico Timothy Spall. In Still Crazy riveste il ruolo del batterista Beano Baggott (presentato con la celebre frase: “Se gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, allora i batteristi vengono da Plutone”), in Rock Star lo troviamo invece nei panni dello strafatto Mats, road manager e factotum degli Steel Dragon.
Ma torniamo allo storia raccontata nel film: il povero Izzy viene in poco tempo travolto dagli eccessi della sua nuova vita da rockstar, e si ritrova abbandonato dalla bella e innamorata fidanzata Emily (Jennifer Aniston).
Alla fine capirà che quel mondo fatto di luci sfavillanti e feste continue è in realtà una bella facciata dipinta per mascherare il desolante vuoto esistenziale dei suoi protagonisti e in un sussulto di dignità abbandonerà la band proprio durante una esibizione.
Torna a Seattle, la sua città natale, e insieme al chitarrista della sua prima band (interpretato dal musicista Brian Vander Ark) mette su un nuovo gruppo nella quale poter lasciare mano sciolta alla propria creatività e proporre una musica più sincera.
Proprio durante un concerto ritrova Emily e sulle note della splendida Colorful (brano dei Verve Pipe, scritto proprio da Brian Vander Ark) i due si riavvicinano.
Insomma crolla il mondo degli eccessi fatui del metallo fascinoso anni ’80 e in quel di Seattle (ma guarda un po’ il caso) salta fuori un rock più grezzo e naturale, insomma nasce il Grunge.
E arriviamo così al terzo film che è imperniato proprio sul movimento grunge e sulla città di Seattle: Singles – l’amore è un gioco. Si tratta di una piacevole commedia che racconta le difficoltà tipiche dei rapporti sentimentali attraverso le vicende intrecciate di due coppie diverse. Da una parte seguiamo le peripezie sentimentali di Janet, sbarazzina cameriera innamorata persa di un musicista fuori di testa, Cliff. Questo è il leader di una band dell’emergente scena cittadina, i Citizen Dick.
Dall’altra abbiamo il rapporto più sofferto tra Steve, architetto urbanista, e Linda, attivista in un movimento ecologista; entrambi reduci da delusioni amorose di varia natura sembrano avere molte difficoltà a lasciarsi andare per vivere al meglio la loro relazione.
A fare da sfondo al tutto la possente scena musicale della città degli aeroplani e dell’informatica che all’inizio degli anni ’90 saltò all’attenzione del mondo.
I Citizen Dick, la band di Cliff (l’unico attore vero, un divertente e stralunato Matt Dillon) è costituita dai membri principali dei Pearl Jam, ovvero Stone Gossard, Jeff Ament e Eddie Vedder (che abbandona il microfono per fare il batterista).
In varie scene i protagonisti si trovano a partecipare a concerti, e così sullo schermo appaiono i Soundgarden, gli Alice in Chains e i succitati Pearl Jam. Mancano all’appello i Nirvana, per qualcuno magari è un problema ma non per me, anzi è il segnale più evidente della competenza musicale del regista che ha escluso il gruppo più sopravvalutato della scena di Seattle a favore di chi il grunge lo ha realizzato nella sostanza (emblematica la scena in cui viene inquadrato il muro con la scritta gigantesca inneggiante ai Mother Love Bone).
E a proposito del regista, due parole anche per Cameron Crowe, uno che nel rock ci è nato visto che ancora adolescente faceva già il giornalista musicale e scriveva nientemeno che per Rolling Stone (esperienza raccontata in un altro suo celebre film ambientato nel mondo del rock, Almost Famous – Quasi Famosi).
Autentico valore aggiunto della pellicola è la strepitosa colonna sonora, di fatto un autentico greatest hits del Seattle Sound. I Pearl Jam sono presenti con le straordinarie Breath e State of Love and Trust, di altissimo livello le partecipazioni degli Screaming Trees, dei Soundgarden, dei Mudhoney.
Menzione particolare per due brani: l’ipnotica Drown degli allora semisconosciuti Smashing Pumpkins e, soprattutto, la struggente Chloe Dancer/Crown of Thorns dei Mother Love Bone, una delle canzoni più emozionanti della storia del rock.
Con Singles si chiude il cerchio della nostra storia, una ideale trilogia costituita da tre film scritti e diretti in tempi e con modi diversi, eppure così straordinariamente (ed involontariamente) collegati, che ci portano a fare un magico viaggio partendo dai mitici seventies per arrivare agli anni ‘90.
Tre visioni imprescindibili per chi ama il rock.
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