Cinque pezzi straordinari. Cinque documentari di una decina di minuti sulla vita della gente comune, nella città e nelle campagne, in cui si coglie, nella forma, una visione scenografica e teatrale del mondo, e, nel contenuto, lo spirito inquieto di una nazione in profondo mutamento.
Queste opere appartengono ai primissimi anni della carriera di Michelangelo Antonioni: un grande approdato relativamente tardi alla regia, dopo una laurea in economia e commercio, alcune esperienze teatrali ed una breve attività come critico cinematografico. Collaboratore di Roberto Rossellini e di Marcel Carné, inizia solo nel 1943 a girare il suo primo film, il cortometraggio Gente del Po, che vedrà la luce solo quattro anni dopo.
L’opera ritrae, con dimesso lirismo, la quotidianità delle popolazioni che abitano lungo le rive del maggior fiume italiano, oppure lo percorrono a bordo delle chiatte per il trasporto dei prodotti agricoli. Nel film si scorge già la poetica del vuoto e dell’attesa, in quell’umanità affacciata sulla quieta superficie del fiume, come sul tempo che scorre lento e passa invano, mentre tutto rimane sempre uguale. I protagonisti del racconto sono gli umili barcaioli e braccianti della Pianura Padana, le cui esistenze sono periodicamente minacciate dalle ondate di piena.
Sulle tematiche sociali Antonioni ritornerà, l’anno successivo, col documentario Nettezza Urbana, dedicato agli spazzini, presentati come invisibili, ma fedeli ed indefessi, servitori della collettività. Gli scenari, caratterizzati da ampi spazi urbani in cui, nella luce crepuscolare, lo sguardo si perde verso un orizzonte irraggiungibile, prefigurano l’atmosfera de L’eclisse (1962), incentrata sulla solitudine dell’ambiente metropolitano. Il film è, nel contempo, un curioso documento storico su alcune primitive concezioni di riciclo e smaltimento dei rifiuti che venivano applicate nel primo dopoguerra.
Superstizione, girato nel 1949, è un’antologia di riti propiziatori fondati su singolari credenze popolari, radicate nella cultura contadina, in cui la magia nera e la divinazione si mescolano con un’arcaica forma di medicina, in quello che sembra il retaggio della stregoneria medievale.
Nello stesso anno Antonioni gira, con l’assistenza di Francesco Maselli, L'amorosa menzogna: il titolo è ripreso da una storia pubblicata su uno dei tanti giornali a fumetti che allora furoreggiavano tra i lettori di modesta cultura, i quali, in quei romanzi a immagini disegnate, trovavano una sorta di cinematografo tascabile. Il passaggio dalle illustrazioni realizzate a mano al fotoromanzo è presentato come la vera novità editoriale dell’epoca: la macchina da presa ci accompagna in un teatro di posa per farci assistere alle varie fasi della lavorazione (dagli scatti, allo sviluppo dei negativi, al ritocco) a cui partecipano, da vere star della carta stampata, gli attori Anna Vita e Sergio Raimondi, nei ruoli di Annie O’Hara (una romana sposata con un americano) e Sandro Roberti. Il making of di un’arte che si è persa, in un documentario che, proprio per questo, è per noi, oggi, una testimonianza di eccezionale interesse.
Sempre al 1949 risale il documentario Sette canne, un vestito, un filmato a carattere didattico sulla fabbricazione della viscosa a partire dalle fibre vegetali: "Questa è la favola del raion: una favola moderna scritta con le formule magiche della chimica industriale."
(Per il video, cliccare qui.)
Il secondo ed il quarto di questi documentari vinceranno il Nastro d'argento, rispettivamente nel 1948 e nel 1950: l'anno successivo lo stesso premio andrà al primo lungometraggio di Antonioni, l'indimenticabile Cronaca di un amore (1950).
La precedente puntata di Quando non erano famosi:
(7) Stanley Kubrick
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