Venezia 2012, Giorno 3
Terzo giorno di Festival e prima pausa per il Concorso. L'attenzione è tutta puntata infatti su Bad 25 di Spike Lee che, presentato Fuori Concorso, celebra il 25° anniversario di Bad, l'album più venduto di Michael Jackson.
Bad 25 (2012)
di Spike Lee con Michael Jackson, Martin Scorsese, Usher Raymond, Mariah Carey, Kanye West, Quincy Jones, Cee-Lo, Sheryl Crow, Antonio Reid, Joe Pytka
«Ho lavorato con Michael Jackson e per me era un amico, ma ho imparato molte cose sui di lui sistemando questi filmati. Il documentario mostra un lato più personale della leggenda. Aveva un grande humour ed era divertentissimo. Non bisogna per forza essere un suo fan sfegatato perché questo film piaccia».
Sarà fuori concorso anche l'horror tedesco Forgotten, opera di esordio alla regia dell'attrice Alex Schmidt.
Forgotten (2012)
di Alex Schmidt con Mina Tander, Laura de Boer, Katharina Thalbach, Max Riemelt, Clemens Schick, Alina Sophie Antoniadis, William Boer, Greta Oceana Dethlefs, Mia Kasalo, Tim Kirschstein
Forgotten è un connubio fra un thriller psicologico e un film d’orrore e mistero. Il mio scopo era quello di raffigurare gli abissi dell’animo umano intrecciandoli con elementi di fantasia. Volevo creare un mondo dolce e spaventoso in cui ci si potesse perdere facilmente e dove fosse difficile distinguere tra la follia e la normalità, tra il bene e il male. Il risultato è un film su un amore deluso e amareggiato, sul lato oscuro degli esseri umani, sul rapporto intimo fra due ragazzine che distruggerà per sempre la loro vita e non solo. Un giorno, infatti, il passato tornerà a vendicarsi. Voi ricordate che cosa avete fatto da bambini?
Attesa fuori concorso è anche la commedia francese Cherchez Hortense di Pascal Bonitzer, autore spesso tutto d'un pezzo che si confronta con un genere per lui nuovo.
Cherchez Hortense (2012)
di Pascal Bonitzer con Kristin Scott Thomas, Isabelle Carré, Jean-Pierre Bacri, Claude Rich
«Il soggetto di Cherchez Hortense non è l’immigrazione irregolare. Se dovessi trovare una definizione, direi che tratta dell’identità, o almeno della sua parte visibile (che spiega il titolo). Il mio film è una commedia, il che, mi auguro, voglia dire che fa ridere e anche che finisce bene. Eppure, come in ogni commedia, i personaggi vivono esperienze molto drammatiche, in particolare il protagonista, Damien, che viene tirato da più parti allo stesso tempo. Quando si rende finalmente conto che l’impegno astratto che gli viene imposto nei confronti di una persona sconosciuta coincide con l’interesse reale che prova per una giovane conosciuta per caso, Damien comprende di aver sbagliato e passa infine all’azione. Quel che Agnès e io abbiamo cercato di ottenere con questa commedia è un’indagine sulla fiducia in se stessi, che non è data ma guadagnata, o conquistata. Il fi lm tratta di identità, di una crisi di identità che per Damien equivale a un confronto impossibile con il padre. Ma anche altri due personaggi (che non si incontrano mai e che a un primo sguardo sembrano molto diversi) si interrogano sulla questione: Sebastien, il padre, e Aurore/ Zorica, la giovane cui si rivolgono i pensieri di Damien. Per riassumere, la storia che ho cercato di raccontare con Agnès de Sacy, narra di un uomo (Damien) che è diventato visibile in modo che una ragazza (Aurore) potesse restare invisibile e, inversamente, della rinuncia all’invisibilità, per vivere finalmente una vita piena».
Tra le proiezioni speciali, merita oggi grande attenzione Sfiorando il muro di Silvia Giralucci e Luca Ricciardi, un doc che riapre l'eterno dibattito sull'operato delle Brigate Rosse.
Sfiorando il muro (2012)
di Silvia Giralucci, Luca Ricciardi con Silvia Giralucci, Guido Petter, Raul Franceschi, Antonio Romito, Pietro Calogero, Stefania Paternò
«Ero bambina quando sul muro di fronte a casa di mia nonna campeggiava la scritta rossa “Fuori i compagni del 7 aprile”. Accanto falce e martello. La leggevo, non capivo, ma mi turbava. Quando, non molto tempo fa, mio fi glio mi ha chiesto: “Mamma, ma è vero che il tuo papà è stato sparato?”, ho capito che per rispondergli avevo bisogno di fare i conti con i drammatici anni Settanta. L’ho fatto partendo da quella scritta. Ho cercato chi come lui pensava che per la politica valesse la pena di vivere e anche di morire, i suoi avversari politici, i suoi amici, e chi ha rischiato la vita per difendere la nostra democrazia. Non ho cercato lui, ma in qualche modo, nello spirito di quel decennio, credo di averlo trovato». (Silvia Giralucci)
Suscita particolare curiosità anche il cortodocumentario di Liliana Cavani, Clarisse, una raccolta di interviste realizzate alle suore di clausura del Monastero di Santa Chiara ad Assisi.
Clarisse (2012)
di Liliana Cavani
«Da un pezzo avevo una curiosità.
Volevo incontrare una comunità di Clarisse per sapere come vivono oggi e che cosa pensano. È una comunità nata con Chiara d’Assisi che nel 1212 lascia di nascosto la famiglia per inserirsi nella “Fraternitas” di Francesco. Sono trascorsi esattamente 800 anni (1212 - 2012). Ne ho parlato con Claudia Mori che ne è stata subito entusiasta e ha voluto far parte dell’impresa.
L’idea era di filmare un incontro fatto di domande - tutte quelle che mi venivano in mente - però senza fare prove o preparazione di alcun genere, per non perdere la freschezza dell’improvvisazione. E così è accaduto davanti a due camere, una per il totale fisso e una che facesse primi piani a quelle che via via decidevano di rispondere. La spontaneità e la libertà dovevano essere la cifra dell’incontro, che mi avrebbe permesso di capire che persone sono e l’eventuale vivezza e ricchezza interiori.
Fin dall’inizio io e i sei tecnici collaboratori siamo stati coinvolti con emozione dentro quelle vite avventurose».
Amos Gitai, sempre per le proiezioni speciali, porta il documentario Lullaby to My Father, dedicato alla figura del padre, architetto del Bauhaus perseguitato dal nazismo. Il film saràin onda la prossima settimana su Raitre per Fuori Orario.
Lullaby to My Father (2012)
di Amos Gitai con Jeanne Moreau, Hanna Schygulla, Ran Danker, Yaël Abecassis, Amos Gitai, Thorsten Ranft, Ben Gitaï, Keren Gitai, Theo Ballmer, Ahmad Mesgarha
«Munio mio padre / Come tutti quelli della sua generazione / Applicava all’architettura / La nozione di modestia, di ritegno / L’obbedienza a un progetto collettivo / Che è anche questa la tradizione del Bauhaus / E non solo gli edifici ortogonali / Immaginiamo che adesso io cominci a lavorare a un film / Sulla sua biografia / Sulla geografia / E sulla geometria dell’architettura / Vorrei mostrare i legami tra i movimenti / Storici e politici / Che hanno creato e affermato / Il linguaggio minimalista, fattuale / Queste sono conseguenza della razionalizzazione del design / E della rivoluzione tecnologica / Vissute in tutte le grandi città come Berlino / Nel secolo precedente – / Il periodo che ci riguarda – / Berlino che allora appariva come un agglomerato di borghi prussiani / Aveva bisogno di sviluppare un’unità di stile / Una logica industriale / E doveva pianificare / L’habitat per le masse / Nel contesto della cultura di massa / Quella di Benjamin, Adorno, Marcuse / Nello stesso momento, ma in un’altra città, a Francoforte, / La creazione di una teoria / E la sua iconografia architettonica / Nel linguaggio dell’architettura / Di Hilbersheimer e di Hannes Meyer / Quest’ultimo, con Walter Gropius / Incontra Munio allora diciottenne, / Appena giunto dalla città della Slesia-polacco-tedesca / Di Bielsko-Biala o Bilitz – / Come accade da noi, il nome dipende da chi rivendica un territorio / Se i polacchi, i tedeschi o gli austro-ungarici – / E quindi nel corso dell’incontro Hannes Meyer / consiglia al giovane Munio, prima di iscriversi al Bauhaus di Dessau / Di studiare come carpentiere in una scuola di stile neoclassico, / La Tischlerschule / È una concezione della forma radicalmente opposta / Ma Gropius riconosce a quei “conservatori reazionari” / La capacità di lavorare il legno / / Dopo un anno passato a imparare / L’ornamento neoclassico / Munio viene ammesso al Bauhaus / Dove, nel migliore spirito dialettico, / Gli viene chiesto di utilizzare la sua conoscenza del legno / Mettendo in discussione la concezione della forma / / Il film affronterà questioni molto ampie: / Come il giovane Munio è arrivato / Da Bilitz via Dessau all’atelier dell’ultimo leggendario / Direttore del Bauhaus / Mies van der Rohe / E come ha lavorato all’ultima mostra prima dell’ascesa di Hitler / Nel 1931 / E come gli ebrei e i socialisti sono stati cacciati / Dal Bauhaus / Allora Mies van der Rohe / Pensava ancora di blandire i nazisti / Con l’espulsione di una parte dei suoi studenti / I radicali, gli ebrei, o gli ebrei radicali / E come non vi sia riuscito Lui, voglio dire / Mies van der Rohe / E come i nazisti non approvarono il suo progetto / Per il quartier generale del partito a Monaco / Ciò che ha salvato Mies / Dal punto di vista della storia / È il gusto nazista per il kitsch e il monumentale / Torniamo a Munio / Viene arrestato dai nazisti, picchiato, gli rompono i denti / Ed è rilasciato grazie al padre della fidanzata non ebrea / Gli amici lo aiutano a varcare la frontiera svizzera / Fino a Bâle, / La città dove Herzl aveva tenuto il primo Congresso sionista / In epoca precedente, nel 1897 / A Bâle, Herzl aveva parlato / Della creazione di un Judenstaat, uno Stato ebraico / Moderno e laico / E del sogno di trasformare Haifa in una grande città portuale / Senza rabbini né militari / Una capitale industriale / Una città moderna / Simili a quelle che Munio cercherà di progettare / Quarant’anni più tardi / Dopo essere fuggito dall’Europa sul ponte di una nave / Quando gli svizzeri cominciarono a rimandare gli ebrei tedeschi / In Germania / Munio pensa che sia il momento di andare verso Est / Di provare altre cose / Di costruire l’industria nella baia di Haifa / Seguendo l’idea di Herzl / Di pianificare i kibbutz / E i dormitori dei bambini per un’educazione collettiva / Per la creazione di un uomo nuovo / Vicino al realismo socialista / E anche di disegnare le case popolari per coloro che / In breve tempo / Vorranno salvarsi dall’Europa e dall’Africa del nord. / Munio è là, col suo cappello floscio / L’abito semplice, la cravatta in tono al suo abito / Nel calore intenso della Terra di Israele, come un immigrato. / Munio sceglie un linguaggio architettonico moderno / Non sentimentale / Lo spazio sarà diviso in tre patii / La Hall principale si affaccerà sul paesaggio del kibbutz / Con la sua semplicità, il minimalismo e il rigore / Rimarrà uno dei suoi lavori più importanti / La costruzione ha inizio nel 1963 / L’edificio viene ultimato nel 1967 / Un anno che sembra avere solo sei giorni / Perché è il nome della guerra che scoppia a giugno / Proprio a metà dell’anno / A Munio non restano che tre anni di vita / Gli hanno diagnosticato una rara forma di cancro del sangue, una leucemia / Decide allora di giudaizzare il suo nome in Gitai / A partire dalla radice gat, torchio / E banai, muratore / Cioè l’operaio che porta i grappoli al gat / E ne fa del vino / O colui che porta le olive al gat / Per produrre dell’olio extravergine / Beninteso si tratta di un processo che / Richiede una spremitura assai forte / Le olive o il grappolo / Perché divengano un liquido puro / Unico / In quegli anni anche il volto dell’architettura israeliana cambia / Dopo la conquista del nuovo impero / Gli architetti israeliani / Adottano uno stile che gli inglesi definiscono / Con il termine tecnico / Brutal architecture / Alcune cittadelle vengono erette in Cisgiordania / Edificate con questa architettura brutale in cemento armato ben evidente / In quel momento la tendenza predominante / Era di abbandonare / L’architettura minimalista, fragile / Della generazione precedente / L’Angelo della Morte libera Munio dalle sue sofferenze / E dall’obbligo di collaborare – sì, di collaborare – / Con una nuova architettura aggressiva. Firmato: il suo giovane figlio Amos».
Proiezione speciale è anche quella di El impenetrable di Daniele Incalcaterra e Fausta Quattrini, che racconta un'esperienza reale dalle atmosfere western.
El impenetrable (2012)
di Daniele Incalcaterra, Fausta Quattrini
«Cosa vuol dire oggi essere proprietario di un pezzo di terra in una delle ultime frontiere tra la “civilizzazione” e la natura? Questa domanda e il ruolo di proprietario, mi hanno permesso di trovare la chiave per girare il film. Infatti, tutti i personaggi incontrati durante le riprese mi hanno aperto la loro porta non come cineasta ma come proprietario.
In un sistema dominato dall’economia, c’è ancora spazio per un’idea diversa da quella che vede la terra solo come un bene da possedere e da sfruttare dove le vite umane non contano più niente».
Orizzonti presenta un solo film in concorso: Winter of Discontent di Ibrahim El Batout, basato sugli effetti della rivoluzione di piazza Tahrir nelle vite di tre persone.
Winter of Discontent (2012)
di Ibrahim El-Batout con Amr Waked, Salah Al Hanafy, Farah Youssef
«Nella storia dell’Egitto ci sarà sempre un “prima del 25 gennaio” e un “dopo il 25 gennaio”. In quel giorno e nei 17 successivi è accaduto l’impossibile e l’impensabile è diventato realtà. Dopo l’esasperante vuoto di decenni tutto ha cominciato ad acquistare senso per me, ciononostante mi sono sentito molto confuso. Non c’era tempo per pensare o avere impressioni, così ho seguito la mia solita routine: dovevo fare un film. Soltanto che questa volta sapevo che la realizzazione di un tale film non sarebbe stata possibile “prima del 25 gennaio”. Abbiamo iniziato a girare la prima scena il 10 febbraio. Il giorno successivo l’allora presidente H. Mubarak dava le dimissioni. L’impegno di portare a termine il fi lm è diventato per noi un faro di speranza».
Tre invece i titoli delle Giornate degli Autori: Queen of Montreuil di Solveig Anspach, Epilogue di Amir Manor e Inheritance di Hiam Abbas.
Queen of Montreuil (2012)
di Sólveig Anspach con Florence Loiret-Caille, Didda Jonsdottir, Úlfur Aegisson, Eric Caruso, Samir Guesmi, Alexandre Steiger
«Queen of Montreuil è una commedia su Agathe, su un lutto che elabora grazie all'arrivo di islandesi accompagnati da un leone marino. Queen of Montreuil è un film sulle famiglie che creiamo per noi stessi, perché a volte è difficile stare in piedi da soli quando non si hanno radici, e perché comunque è sempre meglio stare insieme con molte persone che vivere per conto proprio».
Hayuta and Berl - Epilogue (2012)
di Amir Manor con Yosef Carmon, Rivka Gur, Efrat Aviv, Shai Avivi, Hagar Ben-Asher, Efrat Ben-Zur, Yaron Brovinsky, Vitali Friedland, Shiri Golan, Evelyn Kaplun
«Tre anni fa ho perso entrambi i miei nonni malati di cancro. Entrambi erano per me dei modelli che incarnavano la grandezza dello spirito umano e mi hanno lasciato un vuoto enorme. Al dolore della loro scomparsa si è aggiunto quello che ho provato nel vederli, nel momento della sofferenza e dell'angoscia, costretti ad ammettere l´illusorietà dei loro principi più cari. La solidarietà, alimentata dal lavoro di tutta una vita, è stata spazzata via dagli interessi personali. La responsabilità collettiva, la cura per gli altri, il senso di reciprocità: tutto è stato spazzato via da un cieco e alienante consumismo e da una burocrazia spregevole. Questa non è solo una storia personale. Il film presenta un ritratto doloroso della vecchiaia in Israele».
Inheritance (2012)
di Hiam Abbass con Hafsia Herzi, Hiam Abbass, Yussef Abu Warda, Ashraf Barhoum, Ruba Blal, Clara Khoury, Makram Khoury, Khalifa Natour, Tom Payne, Lina Soualem, Mouna Soualem, Ali Suleiman, Ula Tabari, G.A. Wasi
«Da palestinese nata in Israele, mi sono sempre preoccupata della mia identità sia come donna che come artista cresciuta in una società tradizionale. Mi sono sentita ai margini di una comunità non araba in Israele, estranea ai suoi usi e costumi. E, però, mi sono sentita estranea anche dalla tradizione araba così carica di valori conservatori. (...) In questo contesto gli uomini esercitano un potere che lascia poco spazio alle donne che cercano di emanciparsi. Le donne sono costrette a lottare per garantirsi l'eguaglianza. Il percorso seguito dalla protagonista del film, Hajar, è simile al mio. Lei combatte contro l'ordine sociale dominante e rifiuta di intraprendere un cammino che le è stato imposto, scegliendo di diventare una donna e un'artista indipendente. Questo personaggio è l'anello di congiunzione tra il mio passato e presente e mi permette di immaginare un futuro nel quale la Storia sia portatrice di cambiamenti»
Come al solito, uno è il titolo della Settimana della Critica: Welcome Home di Tom Heene.
Welcome Home (2012)
di Tom Heene con Manah Depaw, Kurt Vandendriessche, Nader Farman, Felipe Mafasoli
Il punto di partenza era vedere Bruxelles come una mappa di percorsi che si incrociano l’uno con l’altro, dice Heene della struttura a “piccoli squarci” di Welcome Home. “Ho vissuto a Bruxelles per 20 anni. Le persone partono e poi ritornano… il film è vicino a come io percepisco questa città”.
Se Welcome Home è una lettera d’amore a Bruxelles, è di certo molto pungente. La città è in un costante stato di cambiamento. Ciò viene sottolineato dalle diverse lingue usate dalle persone nel film (inglese, olandese, francese), dall’andare e venire dei personaggi e dalla trasformazione dei palazzi. L’uomo iraniano, che ritorna a Bruxelles dopo essere stato a lungo lontano, dice a Lila che l’architetto che ha costruito tutte queste impersonali e moderne
strutture dovrebbe essere “frustato”.
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