Venezia 2012, Giorno 1
Martedì 28 agosto 2012
Finalmente ci siamo. Il Festival, seppur ancora senza vip e pubblico in giro per le proiezioni, è ufficialmente entrato nel vivo con le proiezioni stampa. Per i viali del Lido, Palazzo del Cinema e Casinò hanno finalmente la loro sobria scenografia messa a punto e le immancabili telecamere di Martina Riva in perenne collegamento per il suo telegiornale (anche quando c'è ben poco da dire).
La redazione di FilmTv ha inoltre preso possesso dell'area riservata alla creazione e stampa del Daily. E qui, posso anticiparvi la prima novità: in accordo con Aldo Fittante, direttore della rivista, da oggi su Cinerepublic tra le 11 e le 12 del mattino troverete la copia in pdf del quotidiano che i veneziani hanno in mano dalle prime luci dell'alba. Si tratta di un'esclusiva che ovviamente ci rende fieri dei primi sforzi mossi per farvi sentire al Festival: approfondimenti sui film, recensioni, interviste e fotografie saranno piatto forte dei numeri speciali che la redazione man mano realizzerà.
Mentre capita di prepararsi alla visione di un film, è facile fare quell'incontro che non ti aspetti: come quello con un Beppe Fiorello in incognito (non ha alcun film da presentare), che passeggia sul lungomare, o con un Enrico Ghezzi, in prima fila ad assistere a Enzo Avitabile Music Life di Jonathan Demme.
Per attori e registi, invece, bisogna aspettare il glamour del red carpet che, puntualmente, partirà insieme alla cerimonia di apertura prevista per le ore 19 (anche in diretta tv su Rai Movie). Ad aprir le danze, la madrina del Festival di quest'anno: l'attrice Kasja Smutniak.
Diverse le proiezioni stampa attese per domani. Desterà sicuramente polemiche e discussioni il film, Fuori Concorso, scelto per dare il là alla Mostra: The Reluctant Fundamentalist di Mira Nair. Su tutte, sembra che la scena dell'attacco alle Torri Gemelle riapra ferite mai sanate e focolai di odio mai spenti.
«The Reluctant Fundamentalist è una storia moderna che fa da ponte tra più culture: un’indiana realizza un film pakistano sull’America. Mi sono subito appassionata allo splendido romanzo di Mohsin Hamid, un nitido thriller contemporaneo che sfida ogni retorica sull’identità mussulmana. Mio padre viveva a Lahore prima della separazione tra India e Pakistan. Da bambina, nell’India moderna degli anni Cinquanta, ero immersa in quella che è considerata una cultura pakistana: la musica, la poesia, lo stile. Da allora ho vissuto in tre continenti, in continuo spostamento tra India, America e Africa. The Reluctant Fundamentalist mi ha dato la possibilità di creare un dialogo tra il subcontinente e l’Occidente sul tema di uno scisma che si accentua ogni giorno di più. Questo film, una storia su un conflitto di ideologie più che su una lotta a suon di pugni, è il mio primo “thriller umano”, in cui percezione e sospetto hanno il potere di decidere della vita e della morte».
Per il Concorso, la stampa ha già la possibilità di assistere al russo Betrayal di Kirill Serebrennikov, che sulla carta potrebbe essere la sorpresa di quest'anno. Sulla nostra scheda, potete già trovare un approfondimento sulla pellicola che si candida ad essere l'erede - in termini di premio - del Leone d'Oro a Sokurov della passata edizione.
«Ho girato un “disaster movie” incentrato sulla relazione uomo-donna. L’infedeltà coniugale è la forza trainante della mia storia, che è un film sulle emozioni e i pensieri nascosti, e su tutte le cose che non hanno nome nel linguaggio umano. Non abbiamo ritenuto necessario rivelare molti aspetti della storia: la città in cui vivono i protagonisti, i loro amici, i loro nemici. Quello che rimane è soltanto l’aria intrisa di infedeltà, lo spazio dell’infedeltà, la carne che rappresenta l’infedeltà. Ogni dettaglio enfatizza lo stesso tema: l’ardente desiderio dei protagonisti di non rimanere soli e il loro desiderio istintivo di amare qualcuno».
Per il Fuori Concorso, oltre al film della Nair, si vedrà anche Tai Chi 0, il primo capitolo di una trilogia diretta da Stephen Fung: arti marziali, storia e commedia si fondono all'insegna di un wuxia che nelle intenzioni vuole essere "atipico" e rompere i cliché del genere. Ci riuscirà?
«Tai Chi è una trilogia d’azione incentrata sul viaggio dell’eroe all’interno di un universo dalla “storia modificata”. Invece di operare nell’ambito di un contesto storico ben definito, il film mescola elementi di varie epoche della Cina del passato e fonde insieme in un modo singolare generi cinematografici diversi. Quando si è trattato di decidere l’aspetto del film, io e il produttore Chen Kuo-fu ci siamo trovati perfettamente d’accordo sulla necessità di creare qualcosa di fresco che potesse piacere a un pubblico giovane. Per quanto affascinante fosse la storia vera dell’arte marziale del Tai Chi, non abbiamo mai pensato di realizzare un sermone sulla sua filosofia; abbiamo invece lasciato che il suo spirito e la sua filosofia filtrassero dentro la storia in modo naturale, quando la narrazione lo richiedeva».
Tra le proiezioni speciali, Fuori Concorso, il documentario Medici con l'Africa di Carlo Mazzacurati.
«È stato un lavoro realizzato in modo rapido e impulsivo, senza nessuna strategia né prima, né durante le riprese. L’idea che ho seguito è stata quella di raccontare un mondo che non conoscevo man mano che lo scoprivo, in tempo reale. Il film è la storia di un gruppo di persone che si occupa di portare salute in Africa e del loro modo un po’ speciale di farlo. È venuto fuori un ritratto collettivo, credo, dove ciascuna individualità è fondamentale, ma dove esiste uno spirito comune molto forte che fa convivere tenacia, capacità di sacrificio con dolcezza e anche ironia. Influenzato da questo loro stile ho cercato anch’io di fare un film “leggero” per quanto sia possibile su di una materia comunque drammatica come la questione della salute nell’Africa sub-sahariana».
La sezione Orizzonti lascia a Tango Libre di Frédéric Fontaine l'arduo compito di distogliere l'attenzione dalla cerimonia di apertura. Proiezione fissata per la stampa alle 19:30, scelta quanto meno da suicidio.
«Il tango e il cinema hanno qualcosa in comune: entrambi rivelano aspetti del corpo che altrimenti non si vedrebbero, rivelano l’impaccio tragicomico dei personaggi e la bellezza di tale impaccio. La tragicommedia e, ancor più, la commedia riguardano il corpo e il sesso. La storia ruota sempre intorno a questo... e all’assurdità, all’impaccio, alla bellezza che a ciò si accompagnano, e anche alla stupidità, che mi affascina e mi ispira... e con la quale mi sento un po’ imparentato. Non la stupidità che diventa violenza, l’altro tipo di stupidità, quella che è piena d’amore, quella di cui siamo colpevoli perché cerchiamo di far funzionare le cose in un certo modo. La prigione è inoltre una metafora dell’impossibile natura del rapporto tra uomo e donna. Più che un film sulla prigione questo è un “film sulla sala-visite”, un film sul luogo in cui le famiglie si incontrano».
Sempre nella sezione Orizzonti, arriva anche il primo italiano del Festival: Gli equilibristi di Ivano De Matteo, film di cui abbiamo visto trailer e backstagequalche giorno fa.
«Ho voluto girare questo film perché è storia di tanti, di troppi. Uomini che desiderano condurre con dignità la loro semplice vita. Ma non sanno di camminare su un filo. E che basta un colpo di vento per farli cadere. Il peggio è che questi uomini non hanno nessuno a cui appoggiarsi. Di colpo attorno a loro si fa il vuoto. La nostra società non ha denaro da spendere per loro, per quelli che rimangono indietro, che non riescono a tenere il passo.
Ma siamo tutti equilibristi. Basta un colpo di vento... ed è il vuoto».
Prime proiezioni anche per le Giornate degli Autori e la Settimana della Critica.
GIORNATE DEGLI AUTORI:
In questo film, brillante viaggio attraverso i generi della narrazione, la sceneggiatrice e regista candidata agli Oscar Sarah Polley, scopre che la verità dipende da chi la dice. Polley ha il ruolo di regista ma anche di investigatrice, poiché indaga tra i segreti di una famiglia di cantastorie. Scherzosamente interroga un cast di personaggi più o meno affidabili, provocando risposte piacevolmente schiette, ma perlopiù contraddittorie, alle medesime domande. Mentre ognuno riferisce la propria versione della mitologia familiare, i ricordi attuali si trasformano in fugaci apparizioni nostalgiche di un passato movimentato e divertente e delle ombre che si celano sotto la superficie. Polley svela i paradossi per mostrare l'essenza della famiglia: un intenso, caotico e amabile groviglio di contraddizioni.Stories We Tell esplora la natura elusiva della verità e della memoria, ma è anche un film intimamente personale su come le nostre narrazioni ci formano e definiscono come individui e famiglie, storie che si collegano tutte tra loro a delineare un'immagine profonda, divertente e toccante della storia umana più ampia.
«Ho scelto di scrivere questo film come una fiction, usando il linguaggio e lo stile documentario per catturare lo spirito di Kinshasa: l'umorismo, il pathos, l'intraprendenza e la disonestà. Sembrava che il modo migliore per sviluppare questo film fosse seguire diverse trame e guardarle unirsi come le tessere di un puzzle. Tuttavia sarebbe stato impossibile fare incontrare i personaggi senza con ciò determinarne il destino. Per questo, abbiamo deciso di trasformare il progetto iniziale in un racconto di finzione, pur mantenendo uno stile documentario. La storia ha preso forma quando cercavamo le location. I bambini hanno iniziato a raccontarci la loro vita e le loro sventure. Abbiamo cominciato a vedere le difficoltà che la popolazione doveva affrontare, la lotta per la sopravvivenza che si trattasse di "shegués" (bambini di strada), musicisti, lavoratori, madri, disabili o poliziotti corrotti». (Marc-Henri Wajnberg)
«Queen of Montreuil è una commedia su Agathe, su un lutto che elabora grazie all'arrivo di islandesi accompagnati da un leone marino. Queen of Montreuil è un film sulle famiglie che creiamo per noi stessi, perché a volte è difficile stare in piedi da soli quando non si hanno radici, e perché comunque è sempre meglio stare insieme con molte persone che vivere per conto proprio». (Sólveig Anspach)
CRAWL
«Crawl consiste al tempo stesso in una storia familiare e in una storia d´amore, o piuttosto in due storie d´amore, nel miracolo della nascita, nel perpetuarsi dei rituali e, ancora, in un film sulla responsabilità, la presa di coscienza che è necessario farsi carico della vita, che è inutile credere di poterle sfuggire, di sottrarsi all´onere che comporta. Perché in fin dei conti è proprio di questo che si tratta, di questo oscillare, dell´evoluzione inesorabile di un giovane verso il momento in cui dovrà prendere coscienza che si sta allontanando troppo, che non può continuare ancora per molto a sbandare senza ferire le persone che ama e senza perdere se stesso. In Bretagna ci sono un´infinità di personaggi come Martin: lacerati, turbolenti, inafferrabili, passano il tempo a far fesserie nei bistrot e diventano impercettibilmente da giovani ribelli a vecchi alcolizzati. Quali ferite li hanno portati a questo punto? Com´è possibile che sia così difficile per alcuni identificare il proprio percorso? È una difficoltà che mi colpisce profondamente, al punto tale da spingermi a raccontare con entusiasmo questo lento processo di apertura da parte di un uomo che prende il volo, salvato dall´amore». (Hervé Lasgouttes)
«Sono molto attratto dalla fiaba, dal fantastico, dal giocoso. Nei miei film precedenti, dominava il realismo. Così ho pensato che la cosa più rischiosa che potessi fare in questo momento fosse realizzare un film che ampliasse gli orizzonti. (...) Non volevo che un patriarca facesse parte di questa storia, ero molto più affascinato dall'idea di donne che sanno cavarsela da sole. La sorella maggiore buona, l'irrefrenabile madre matriarcale, la sorella di mezzo un po' folle senza peli sulla lingua e la sorella più giovane, smarrita e sempre un passo indietro. Volevo girare una cosa che trovassi bella. Tendiamo immediatamente a riconoscere una cosa bella. In questo senso, il film è come la vita, è un´istantanea. Un'immagine, nella quale vediamo molti strati. Sappiamo ciò che vogliamo. Conosciamo ciò che troviamo bello. Ma questo non basta. Vogliamo vedere al di là di quegli strati, per individuare le crepe. È così che queste donne iniziano a disintegrarsi. Voglio analizzarle nei minimi dettagli. Sotto tale aspetto, il film è più grande di me. Si è trasformato in un film d'autore sulla famiglia. Un´opera su tre sorelle che competono per l'amore della madre. Lasciamo quindi che il sipario venga calato». (Jesper Ganslandt)
«È stato il film più difficile, coinvolgente, sperimentale e delicato che abbia mai realizzato; più di trecento artisti hanno condiviso con me gioie e dolori durante oltre quattro anni, in una straordinaria atmosfera di collaborazione. Tutto questo si intravvede in ogni fotogramma di Pinocchio, nostro beniamino in fuga alla ricerca della felicità». (Enzo D'Alò)
BOB WILSON'S LIFE AND DEATH OF MARINA ABRAMOVIC
«Quando ho saputo che Robert Wilson avrebbe diretto un´opera sulla biografia di Marina Abramovic, mi sono chiesta "dove s´incontreranno il maestro dell´artificio e la madrina del reale? Sposeranno il teatro con la performance art o sarà una lotta tra titani?". Due anni dopo, mi rendo conto che ciò che è avvenuto è molto più misterioso e magico di qualsiasi risposta alle mie domande. Il terreno su cui si sono incontrati Bob Wilson, Marina Abramovic, Antony Hegarty e Willem Dafoe, è un palcoscenico popolato dalla vita della Abramovic, dai suoi personaggi e dai suoi fantasmi, ma anche dalle vite, personaggi e fantasmi di tutti coloro che vi hanno lavorato. Un coro di artisti e musicisti straordinari ha contribuito nei modi più diversi, dal canto epico balcano alla musica elettronica, dalla danza al vaudeville, alla durational performance. Il risultato è talmente sublime che ogni volta cheThe Life and Death of Marina Abramovic va in scena, anche il pubblico vede su quel palcoscenico la propria vita e morte: Marina ne è il paesaggio, Bob Wilson la mente, Antony il cuore e Willem il corpo. Ho avuto la grande fortuna di osservare da vicino e filmare questa intensissima collaborazione artistica, dalla quale credo che tutti i partecipanti siano stati intimamente trasformati». (Giada Colagrande)
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SETTIMANA DELLA CRITICA
Progetto dell'Università di Tel Avil, è film collettivo, girato e interpretato da registi e attori israeliani e palestinesi, un collage di 7 cortometraggi legati al tema dell’ acqua, un tema che in quei territori assume una valenza più che simbolica, anzi drammaticamente reale e legata ai temi del conflitto.
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