Il cinema ambulante arriva festoso in una piccola cittadina della Castiglia e le immagini che ritraggono l’amara storia del “Frankestein” di James Whale servono a ridestarla almeno un poco dall’eterno letargo in cui sembra essere sprofondata, fuori dalla storia che si compie e lontana da quella resistenza armata che si sta combattendo contro la dittatura del Caudillo Franco. Anche la piccola Ana è tra il pubblico che assiste coinvolto alle scene del film che scorrono sullo schermo, insieme ad Isabel, la sorella più grande. Ana osserva rapita le gesta di Frankstein, ne rimane molto coinvolta emotivamente ma non riesce a capire bene l’origine della sua natura, non sa spiegarsi perché agisce come se mosso da una forza esterna che ne indirizza i movimenti, perché tutti hanno paura di lui e perché è tanto diverso dagl’altri esseri umani. Queste domande rivolte alla sorella, figlie di una curiosità appena scalfita dall’esperienze del mondo, oltre ad assumere il senso di una vera e propria iniziazione alla vita, esprimono una voglia di conoscenza estremamente pura, l’unica capace di sottrarsi con ingenua naturalezza ai vincoli inibitori del disincanto, la sola possibile per chi ambisce a sostituire l’immobilismo dei corpi che conduce alla passiva accettazione della realtà con l’attitudine istintiva propria di una bambina di andare sempre oltre i limiti imposti dalle apparenze. Ana inizia a prendere confidenza con le brutture del mondo senza rinunciare alla possibilità di apporre un proprio timbro alle cose che vede, di filtrarle attraverso la natura sognante dei suoi bellissimi occhi, di trasmigrare la realtà nel sogno e il sogno nella realtà come solo le fantasie vergini che albergano nell’animo di una bambina oberata di immaginazione possono consentire di fare. Per lei tutto è vissuto come se si trattasse di un gioco protratto fino al limite massimo della sua innocente immaginazione, dove in cinema diventa un riflesso possibile della realtà e la realtà un luogo che può ospitare tranquillamente ogni sua fantasia : anche quella che conduce ad identificare lei stessa con l’immagine riflessa del mostro e il mostro come la concreta personificazione dei suoi più intimi desideri. Ana ha timore del mostro non più di quanto non ne sia sinceramente attratta, perché se il mondo che la circonda vive della convinzione che occorre aver paura di ogni cosa che contrasta con l’ordine imposto, lei ha imparato, non solo che il “diverso” non necessariamente è come i grandi intendono descriverlo, ma anche che bisogna impegnarsi per cercare di capire le ragioni degl’altri così come ci si impegna per esorcizzare gli spettri delle proprie paure. Alla piccola Ana viene naturale ragionare così, lei non ha ancora maturato motivi sufficienti per avere paura di uno sconosciuto piuttosto che imparare a conoscerlo per curiosità. Poi lei è una bambina toccata dal fuoco sacro dell’immaginazione, con la sua santa ingenuità si potrebbero fare rivoluzioni contro tutte le dittature sulle menti.
Lo spirito dell'alveare (Victor Erice)
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