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Daniele Segre, vivere e morire di lavoro
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Feltrinelli Real Cinema ha edito il cofanetto 2 Dvd + libro dall’inequivocabile titolo Vivere e morire di lavoro di Daniele Segre. Quattro documentari che vanno da Dinamite del ’94, Asuba de su serbatoiu del 2000, fino ai più recenti Morire di lavoro e Sic Fiat Italia. Peppino Ortoleva ne ha redatto un libretto approfondito ed esaustivo con introduzione di Tullio Masoni. “Quello di Segre è un cinema sul lavoro e del lavoro”.

Dinamite (Nuraxi Figus, Italia) è ambientato nel profondo Sulcis Iglesiente del sud ovest della Sardegna. I minatori della Carbosulcis sono in lotta a decine di metri di profondità per difendere il loro posto di lavoro “brutto e schifoso ma che ci serve”. Un minatore è disposto a tutto, pure a far brillare una carica di dinamite con cui ha particolare confidenza. L’interlocutore che vuole chiudere l’ultima miniera di carbone è l’Eni ma essi sono consapevoli che dovranno sudare per garantire il loro diritto al lavoro. “Il mondo è cambiato…abbiamo un governo di imprenditori agiati che vede solo soldi e non i problemi sociali, anche i sindacati devono capire queste cose…”. I minatori discutono, riflettono, fanno quadrato intorno alle loro problematiche, ci ricordano che loro non badano a orari per salvaguardare l’impianto da allagamenti e autocombustioni, qualcuno profetizza “oggi è toccato a noi e domani a chi?”. Siamo nel ’94 e Segre con lucidità registra quasi in presa diretta un malessere che nel 2012 si è allargato a macchia d’olio.


Asuba de su serbatoiu (Sul serbatoio) vede invece nel luglio del 2000 gli operai della Nuova Scaini di Villacidro (Ca) occupare lo stabilimento per evitare la chiusura. La Nuova Scaini produceva batterie per auto di alta qualità esportate persino in Germania, nel corso degli anni si è passati da 500 a 150 dipendenti. Gli operai con orgoglio raccontano che a metà degli anni ottanta da uomini di linee di montaggio si erano adeguati alla tecnologia sfornando in otto ore 1600 batterie. Sei operai con i  volti nascosti da bandane hanno deciso di accamparsi sopra un serbatoio di gas propano e confessano di “vergognarsi” perché senza un aiuto non riescono più a pagare neanche l’affitto di casa. Durante un’assemblea una delegazione di quaranta operai decidono di partire per Roma con un biglietto di sola andata, per manifestare e chiedere spiegazioni all’Agip, l’azionista di maggioranza del gruppo. Lo striscione Eni stai desertificando la Sardegna richiama una riflessione sullo stato comatoso dell’industria nell’isola: dalla monocultura mineraria alla chimica, oggi sulla graticola ci sono gli operai dell’Alcoa, l’Eurallumina di Portovesme. Nella sede dell’Agip non c’è un padrone ma tanti direttori e uno di questi dice: “Non esiste più il padrone ma il concetto di azionista, di manager…prima l’investimento non si faceva finalizzato a una presenza sul mercato ma a dare occupazione, oggi invece l’investimento si fa per remunerare l’azionista, se l’azionista non guadagna qualcuno compra...ieri si produceva occupazione oggi ricchezza da reimpiegare”. E’ cambiato lo scenario, è cambiato tutto. Il 26/09/00 i 152 lavoratori della Nuova Scaini di Villacidro sono stati licenziati.

Morire di lavoro è “dedicato a tutte le persone che hanno perso la vita in luoghi di lavoro”. Le testimonianze di familiari vittime di morti bianche, operai edili italiani e immigrati costretti a fare turni massacranti senza essere assicurati, quindi il lavoro in nero, i pericoli e i rischi a cui vanno incontro sui cantieri per la mancanza di norme di sicurezza. La voce off di alcuni attori nella parte di vittime che immaginano il loro futuro, i se e i ma delle circostanze completano l’opera. Si fa tutto questo per campare la famiglia, perché senza soldi non si può vivere. Morire di lavoro probabilmente è il documentario “più duro e amaro” che ti sbatte in faccia il dolore e la dura realtà delle morti sul lavoro che per un periodo (a seconda delle mode e delle convenienze, è stato anche uno dei cavalli di battaglia del settennato di Napolitano) ha occupato le prime pagine dei giornali per poi sparire nel dimenticatoio.

Sic Fiat Italia (Così sia Italia) muove dal referendum indetto nel 2011 dall’amministratore delegato Sergio Marchionne alla Mirafiori di Torino per “fare nuovi investimenti”. “La crisi viene utilizzata per ridisegnare in modo autoritario il nostro sistema sociale”, dice Maurizio Landini, battagliero segretario della Fiom. E ancora “…il ricatto della Fiat è che, nonostante usi uno strumento democratico come il referendum, vuole cancellare qualsiasi diritto e democrazia dentro i cancelli, un paradosso totale”. Marchionne dal canto suo afferma che “ i principi di ideologia non esistono più, il mondo è cambiato”. Non ha tutti i torti ma il regista fa parlare vecchi operai che lavoravano senza diritti e senza tutele, in cui si licenziava senza tanti complimenti. Da allora tante conquiste sono state raggiunte dai padri per i figli, mentre l’operaio del terzo millennio non pensa al domani, non crede ala sindacato e non ha preparazione politica, pensano ai (pochi) soldi che guadagnano e al consumismo. La scena da Torino passa a Pomigliano d’Arco e la sostanza non cambia, le ragioni del sì contrapposte a quelle del no. Vinceranno i sì ma non di molto. La lotta continua…

I meriti di Daniele Segre sono tanti, in primis la capacità unica nel panorama documentaristico italiano di porre l’attenzione su argomenti e personaggi non protagonisti dei grandi media, addentrarsi sui problemi e (in questo caso) sul mondo mai troppo esplorato dal cinema del lavoro, scevro dall’illustrare il romanticismo, “l’illusione o la truffa della generica bellezza” dell’essere operaio e del lavoro (e il filo rosso che lega le quattro storie sono comunque la crisi della figura operaia). Egli riesce ad andare oltre il semplicistico reportage, l’estetica perfetta del documentario laccato e perbene, talvolta di matrice televisiva. In questi quattro lavori “traccia e ripercorre la nuova geografia della deindustrializzazione” avvenuta nel nostro paese. In trent’anni di carriera ha sviscerato tanti temi sociali, artistici ed esistenziali con ammirevole coerenza e senza compromessi. Una passione autentica da elogiare.

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