Quando un film può far riflettere, confrontare, parlare e pensare!
Con l’uscita del film “Maternity Blues” si è aperta una serie di conferenze in giro per l’Italia, per far conoscere meglio il fenomeno della sindrome Maternity Blues, o meglio la depressione post partum, depressione e stato d’angoscia che può prendere molte donne subito dopo aver partorito il proprio bambino. Stato di malessere, depressione, senso di inadeguatezza, infelicità, solitudine, che può durare pochi giorni (nei casi più semplici e normali) o molte settimane, se non addirittura molti mesi in persone “a rischio” .
Il ciclo di conferenze è cominciato a Genova il 21 aprile, per seguire, in giorni alternati a Roma, Milano, Firenze, Bologna, Napoli, Catania e infine il 7 maggio a Palermo.
Grazie ad una “dritta” da parte di un amico, sono venuta a sapere che il 26 aprile la conferenza sarebbe arrivata a Firenze, al cinema Odeon, con a seguire la programmazione del film... Avevo molta curiosità di vedere il film, ma addirittura poter seguire un dibattito in cui era presente come relatore il regista mi sembrava davvero un’occasione da non perdere.
Ho dovuto spostare una serie di impegni, cambiare turno di lavoro, prendere un’ora di permesso, farmi un’ora di treno, rimanere a dormire da mio fratello, coinvolgere Spopola (grazie Valerio), lasciare marito e gatta a casa per una notte e un giorno (grande malinconia per me)... ma ne è valsa la pena. Intanto perché ho scoperto in Fabrizio Cattani una persona davvero alla mano e disponibile al confronto, vedere presentare un film da chi l’ha girato è comunque emozionante, poi perché all’incontro ci sono stati presenti due persone che mi hanno davvero colpita ed emozionata.
Sappiamo che “Maternity Blues” parla di donne recluse in un ospedale psichiatrico giudiziario perché hanno ucciso le proprie creature, questo è l’esempio estremo e più drammatico della crisi post partum, e per fortuna rarissimo. In sala c’era Deborah Papisca, autrice del libro “Di materno avevo solo il latte”, una donna che dopo aver desiderato moltissimo un figlio, aver vissuto i nove mesi come una favola, in balia di riviste e libri che descrivono la gravidanza come una giostra privilegiata (incredibile, ho scoperto che esistono i tagli di capelli per donne incinte!!!), ha passato i primi giorni dopo il parto come in trance, per poi ritrovarsi a casa con la sua bambina e non sentirsi bene, non saper come fare. Mi ha colpito perché quando ha chiesto in qualche modo “aiuto” per risolvere il suo malessere, le è stato risposto che “viene naturale” superare certe crisi e amare il bambino, “...è una cosa che si ha dentro”... Quindi subentra il dubbio di non essere normali, di non essere come tutte le altre donne.
Deborah Papisca è una giovane donna, coraggiosa, che ha passato il primo anno di vita della sua bambina nella più nera depressione, aiutata molto dalla suocera e dalla madre è riuscita a venirne fuori, scrivendo anche un libro e costituendo un’associazione in aiuto alle madri che provano questo disagio.
Il primo segno positivo di “guarigione” è quello di chiedere aiuto, di parlare e non vergognarsi.
Altra persona presente all’incontro è stata Antonino Calogero, direttore dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. La sua testimonianza è stata davvero preziosa per me, intanto perché ho scoperto che ha collaborato in qualche modo anche alla sceneggiatura del film, e questo è sintomo della serietà con cui è stato affrontato il tema, poi perché ha raccontato il sistema di cura e terapie che si seguono in certi luoghi per certe persone. Le storie che vengono raccontate nel film sono in qualche modo riprese da fatti realmente accaduti, e il professor Calogero spiegava quanta importanza hanno i rapporti con le famiglie delle recluse, e del fenomeno del “doppio lutto”. Infatti queste donne infanticide, dopo avere compreso l’orrore e la gravità del gesto che hanno compiuto, quasi sempre devono anche affrontare di seguito la separazione e l’abbandono da parte del marito o compagno... quindi perdono spesso sia il figlio che il marito. Una situazione che troppo spesso i media ci portano a giudicare in maniera frettolosa e sull’onda del fatto di cronaca. In verità il senso di colpa e di solitudine che queste donne vivono è una condanna che va oltre a quella del carcere.
Ultima cosa che mi ha davvero entusiasmato è stata l’interesse che Cattani ha dimostrato per la prossima chiusura degli O.P.G., argomento che seguo con preoccupazione da tempo. Apprezzo sempre molto quando il cinema si avvicina con sensibilità alle tematiche attuali ma nascoste, scomode, da “camuffare”. Il professor Calogero appare ovviamente preoccupato per la possibile chiusura della “sua” struttura, che non è sicuramente tra quelle scandalose realtà che vanno eliminate. A oggi non esiste ancora una comunicazione chiara sulle soluzioni da adottare per i reclusi degli O.P.G..
Alla conferenza erano presenti anche la dottoressa Debora Cattaruzzi, l’educatrice Catia Pugi e la dottoressa Monica Vacca, che hanno dato il loro parere professionale e consigli su come affrontare la depressione post partum.
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