Ho sempre ammirato molto Lucio Fulci (Roma 7 giugno 1927, Roma 13 marzo 1996), era un uomo di talento, colto, preparato, curioso, casinista, che ha combattuto per emergere, incompreso e anche maltrattato dalla critica, che non gli ha mai riconosciuto i meriti per i suoi lavori migliori, etichettandolo sempre come regista minore, poco attento, quasi un cialtrone del cinema italiano.
La carriera di Fulci è ricchissima, la sua vita è piena di esperienze e conoscenze, lavora accanto a Totò, a Steno, fa fare la prima parte in un film musical ad Adriano Celentano, compone per lui le parole della canzone “Il tuo bacio è come un rock” e "24.000 baci", scopre la coppia “Franchi e Ingrassia” che tanti soldi fa incassare all'industria cinematografica di quegli anni.
Fa film durissimi e crudeli come”Beatrice Cenci” e “Non si sevizia un paperino”, film contro la chiesa, coraggiosi e originali. Ma il mio ricordo di questo bravo regista oggi non vuole essere un elenco delle tante cose che ha fatto, ma più un mio ricordo personale per lui, per quello che mi ha trasmesso con le sue storie, con la sua personalità.
Fulci è il classico esempio di chi il cinema lo fa per passione perché vi riesce a trasmettere la propria personalità, nonostante le critiche sempre sfavorevoli, la mancanza di riconoscimenti, l'essere additato prima come regista di commediole facili, poi di horror commerciali.
In verità la crudeltà e la violenza di Fulci non sono mai gratuite, le invenzioni creative delle scene più splatter sono un modo esemplare di esorcizzazione delle proprie paure, oppure di descrivere stati follia, di irrazionalità.
La vita personale del regista è stata segnata da una vicenda molto dolorosa: il suicidio della prima moglie per una diagnosi errata di un tumore maligno, la donna per il terrore aveva perso il senno, non sopportando il pensiero di quello che l'avrebbe attesa si levò la vita uccidendosi con il gas. Da questa brutta storia Fulci trarrà fuori le sue pellicole più disperate, non rimanendo mai vittima però dei propri racconti, ma tracciando i film come linee di confine per continuare ad andare sempre avanti, nonostante tutto, nonostante la mancanza di soldi, di credibilità, di salute, nonostante la mancanza dei suoi denti, dell'uso delle gambe....Fulci fino alla fine riesce ad avere quella grinta che gli ha permesso di lavorare, anche quando non aveva più commissioni, né persone che gli davano fiducia.
Curioso, determinato, ha lasciato il segno nel cuore del pubblico che lo ha seguito. Riscoperto durante gli anni '90 dagli americani, molto amato da un pubblico underground, ha però sempre sofferto molto per la mancata riconoscenza da parte della critica, dalla quale si è sempre sentito odiato, molto effetto mi ha fatto sapere che alcuni critici, stroncando i suoi gialli, lo finivano di demolire svelando il nome dell'assassino nella recensione sul giornale, questa è vera crudeltà, quella che poi Fulci trasmetteva così bene nel suo lavoro, quella che ha subito, l'ingiustizia di dover pagare per certi suoi atteggiamenti, per il suo “essere scomodo”.
Invece molta tenerezza mi ha fatto l'intervista del suo amico Dario Argento (che posto qui e che vi consiglio davvero di guardare), che ha rilasciato dopo la sua morte, un'amicizia la loro avvenuta negli ultimi anni, ma che ha dato la possibilità a Fulci di poter lavorare nuovamente a un nuovo progetto cinematografico: “La maschera di cera”. Purtroppo Fulci morì prima di poter cominciare a girare: malato da tempo di diabete, la notte tra il 12 e il 13 marzo del 1996, Lucio Fulci andò a letto dimenticandosi di prendere la sua dose di insulina, molti pensarono che si fosse suicidato, i suoi fans più accaniti scartano questa ipotesi con tutte le forze.
Dopo tanti anni il regista romano ha avuto in qualche modo il suo riscatto con una rivalutazione al livello internazionale, io penso che se la sarebbe dovuta godere in vita questa gloria, ma avendo letto molto di lui, avendolo conosciuto tramite i suoi lavori e le sue interviste, so che la vita se l'è goduta tantissimo perché è riuscito a non rimanere mai schiacciato dalle delusioni e dalle angosce, ma tramite i suoi film è riuscito a elaborarle e passare oltre.
Queste le belle parole del regista romano in un documentario su di lui, sulla carrozzella, con un dente solo, malato, ma pieno di grinta con una luce viva negli occhi dice:
« Non bisogna dire "Io Lucio Fulci ero" bensì "sono". In un recente convegno lo speaker diceva "Lucio Fulci ha dato..." ed io "E darà ancoraaaa....!! " »
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