Cronaca di Anna Magdalena Bach (1967)
di Jean-Marie Straub, Danièle Huillet con Gustav Leonhard, Christiane Lang, Paolo Carlini
Anna Magdalena Wülken, cantante alla corte di Anhalt-Cothen dove Johann Sebastian Bach era direttore d'orchestra da camera, è la voce fuori campo che legge il diario del suo lungo matrimonio con il più grande musicista di tutti i tempi.
Bach la sposò nel 1720, pochi mesi dopo la morte della prima moglie.Tredici figli e trentacinque anni di vita in comune fino alla morte, avvenuta a Lipsia nel 1750, sono raccontati in un film da “ascoltare con gli occhi”.
The Little Chronicle of Magdalena Bach, un apocrifo pubblicato nel 1933, fornisce solo lo spunto per il titolo, mentre la cura filologica nella ricostruzione, attraverso documenti originali, appunti, lettere e promemoria, è ciò che contraddistingue questa come tutte le opere della coppia Straub-Huillet.
Gustav Leonhard, il più grande clavicembalista mondiale, fornisce la sua figura alta e ascetica al protagonista, già operando in questa scelta quel modo inconfondibile dell’uso Straubiano dell’attore, che lavora fianco a fianco col regista e s’immerge nei testi fino ad esserne posseduto.
Il film stesso diventa a questo punto anche documento sull’attore, e dunque solo uno dei più grandi interpreti bachiani poteva rivestire quel ruolo (Bach infatti era tutt’altro che alto e sottile, basti vedere la sua statua fuori della St.Thomaskirche a Lipsia, dove ancora viene suonato l’organo che gli fu più caro)
Quello che rende questo film un’esperienza unica è la capacità di fare della musica la sostanza stessa dell’opera, non un suo complemento formale. Qui si assiste, come disse Moravia, ad "una personificazione dello spirito della musica di Bach”.
L’inquadratura fissa è prevalente, si “ascolta” l’immagine che consegna ai nostri occhi gli strumenti originali, quelli conservati con tanta cura nell’Auditorium della piccola e modesta casa dei Bach ad Eisleben, in Turingia.
La storia privata di Bach è raccontata attraverso la musica, ed è indubitabilmente la sua storia vera.
La camera fissa, che riprende i musicisti in lunghe sequenze, la registra senza costruire documentari o manifestare intenti didascalici.
Il film è fatto di quella musica e ne assume il linguaggio, la precisione matematica e la leggerezza ariosa, la perfezione geometrica e la carica eversiva.
Il ritratto di Bach ne esce a tutto tondo, un uomo libero per cui la musica non ha confini ideologici, politici,religiosi e geografici.
Nella concezione Straubiana del fare cinema, rappresentare la musica e farne la trama del racconto significa ordire un tracciato in cui si annulli la mediazione e si riscopra la durata, cioè quello spazio sospeso in cui si recupera il ritmo giusto fra i gesti quotidiani o i grandi eventi della storia e il tempo del cinema riesca ad essere quello stesso della vita.
L’esperienza maturata su Bach tornerà con i due film su e da Schönberg nei decenni succesivi, e apriranno ancora possibilità al raccontare con le immagini, per riuscire a “pensarsi oltre sé stesso”.
Il cinema come spazio reale di fronte alla realtà, sempre più spazio virtuale.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta