George Taylor: ‹‹Oh, Dio mio... Sono a casa... Sono a casa. L'astronave... È ricaduta sulla Terra sconvolta dalle esplosioni atomiche. Voi, Uomini... L'avete distrutta! Maledetti, maledetti per l'eternità! Tutti!››

È con questo memorabile monologo finale che si chiude Il Pianeta delle scimmie, il film capostipite della saga originatosi dalla trasposizione del celebre romanzo di Pierre Boulle e ormai diventato un cult assoluto con quel finale pessimista e rassegnato sulle macerie della Statua della Libertà, dove il protagonista si dispera di fronte alla brutalità e alla stupidità dell’uomo, che d’ora in poi dovrà convivere con una nuova specie animale in grado di emulare la società umana senza però ripeterne la sua natura autodistruttiva... O forse si?

Questa prima parte di un lungo viaggio all’interno della saga scimmiesca si occuperà quindi non solo di sviscerare le qualità intrinseche di un capolavoro della fantascienza tutt'oggi moderno e geniale sia nella messa in scena, sia nelle tematiche trattate, ma anche dei suoi successivi sequel degli anni settanta che, pur nascendo da una logica di puro guadagno, hanno saputo in realtà approfondire ed espandere intelligentemente uno scontro esistenziale e filosofico tra uomo e scimmia che non può non trovare parallelismi con la società del secolo scorso e con quella attuale, in cui non c’è un confine netto tra bene e male, giusto e sbagliato, morale e immorale.

Il segmento novecentesco della saga, dunque, non può essere considerato soltanto per il capolavoro del 1968, ma nella sua interezza, perché i sequel settantini, nel bene e nel male, hanno dato luce ad una delle saghe fantascientifiche più sagaci nell’analizzare la complessità della natura umana, che ha poi consentito al franchise hollywoodiano di rinnovarsi con ancora più forza e determinazione nel XXI secolo.