La casa degli Höss confina con il muro del campo di concentramento dove vengono uccisi gli ebrei che Glazer sceglie di non inquadrare mai direttamente, lasciando sempre qualche ostacolo a bloccare lo sguardo. Il concetto di limite sta, dunque, alla base de La zona d’interesse: non c’è soltanto la barriera concreta del recinto, che tiene il paradiso dei carnefici al sicuro dall’inferno delle vittime, ma c’è persino quella astratta del fuoricampo, che nega allo spettatore la visione del massacro e lo costringe a ricostruire le immagini mancanti attraverso i rumori.
A partire dall’ispirazione del romanzo di Martin Amis, Glazer si inserisce nel filone del cinema dell’Olocausto, ribadendone il limite maggiore: l’impossibilità del linguaggio - sia letterario sia filmico - di mostrare adeguatamente l’orrore, che può esistere solo come suono al di fuori dall’inquadratura o come traccia inquietante al suo interno.
Guidati da queste suggestioni, Lorenzo (Stanley42) e Simone (IlGranCinematografo) hanno provato a tracciare un percorso di analisi del film, facendosi interrogare dalla stimolante ambiguità delle immagini.