Christopher Nolan si getta in un genere usurato e sovra-sfruttato come quello biografico, innestando una originale innovazione audio-visiva, in cui le sonorità incessanti di Göransson rincorrono costantemente le immagini, sottomettendo la parola alle azioni di una mente ellittica, razionale e flessibile, come quella del fisico Robert J. Oppenheimer (Cillian Murphy).
Per nulla agiografico nel ritratto di tale figura, il regista disvela tutte le ambiguità di fondo del padre della bomba atomica, che nascondendosi dietro la pura teoria dei calcoli, ha posto una spada di Damocle sulla testa di ogni persona, con la scusa di una creazione mirante a mettere fine per fine ad ogni guerra.
In Oppenheimer il cinema diventa l'etica civile dello spettacolo, ponendo Nolan come erede ultimo di David Lean, abbandonato alla volontà di stupire tramite i giochi tecnici di prestigio ed inganno, conclusioni basate su congegni roteanti o meno, così come di astratte impalcature metafisiche, in un formalismo compositivo forse superfluo.
Il regista è giunto alla propria maturità artistica, dove da demiurgo costruisce una serie di spunti, riflessioni profonde e analogie nelle immagini plasmate da un montaggio magmatico, che prende schemi classici per innestare il post-moderno, facendosi regista/uomo come tutti gli altri personaggi, ma con un suo chiaro punto di vista morale, chiudendo l’opera in un cerchio geometrico di rara cupezza antropologica.