Tra fish-eye e colori squillanti, science fantasy formato steampunk e romanzo vittoriano, affondi satirici e squarci grotteschi, continua l’avventura hollywoodiana del greco Yorgos Lanthimos con un’opera pluripremiata (a partire dal Leone d’oro a Venezia 80 per giungere alle undici candidature ai prossimi Oscar) ma anche baciata da un successo in sala più largo del prevedibile, forte di un momento storico in cui la rappresentazione delle istanze del femminile è sempre più intensa e complessa.
Donne che si slacciano dalle catene di un mondo eretto a immagine del maschio (alfa), fuggendo da prigioni più mentali che fisiche: è il motivo conduttore di parecchi film dello scorso anno, da C’è ancora domani di Paola Cortellesi a Priscilla di Sofia Coppola, da Barbie di Greta Gerwig al film di Lanthimos. Ognuno con un suo linguaggio, bilanciando tra mainstream e autorialità. Tant’è che il regista greco trova il modo di (pro)seguire, nonostante il maschio Disney della produzione, i suoi tipici dettami stilistici e poetici, creando dei ponti con Dogtooth e con The Lobster.
Una favola di emancipazione sessuale e sociale (secondo parametri più o meno rivoluzionari o più o meno confacenti alle aspettative del sistema), che irride con rapacità sardonica i meccanismi che ingabbiano il corpo e lo sguardo di ogni donna nelle impalcature del capitalismo. La fuga dalla sessualizzazione inconsapevole e dalle forme più virulente di virilità si realizza alternando umorismo incandescente e crudezza dilaniante, con un tocco unico e ormai, per il regista, assolutamente riconoscibile, stavolta sostenuto da una fiammante e matura Emma Stone e da tanti altri attori validissimi, a partire da un sorprendente Mark Ruffalo.