“Tra un mondo con le piramidi e un mondo senza piramidi, tu quale preferisci?” chiedeva l’ingegnere Caproni a Jiro in Si alza il vento, senza ottenere risposta. Dieci anni dopo, Mahito rifiuta il ruolo di sovrano di un regno plasmabile a suo piacimento, cui manca però la precaria bellezza della vita.
“Mi sono reso conto di non avere tanto tempo rimasto neanche io” scriveva Miyazaki nel discorso pronunciato al funerale di Isao Takahata, presenza che aleggia su tutto Il ragazzo e l’airone. L’atmosfera di morte del film, così incentrato sui temi di nascita e rinascita, sembra in effetti l’unico elemento di continuità in un’opera attraversata da slanci opposti, talvolta contraddittori, ricca di sequenze solenni e momenti di intimo raccoglimento, incerta fino all’ultimo su quale senso darsi, se scegliere o meno le piramidi.
Proprio in questa esitazione sta racchiuso l’intero cinema di Miyazaki, mai prima d’ora tanto deciso a fare un film per sé stesso, accogliendo il dolore dello stare al mondo e rifiutando, come Mahito, l’escapismo offerto dalla fantasia. Il ragazzo e l’airone diventa così una confessione a distanza con l’amico e mentore Takahata, le cui riflessioni risuonano nel monito lanciato sul finale: si può tentare di vivere soltanto scegliendo di accettare la sofferenza.
A partire da questi spunti, Isaia e Lorenzo hanno cercato di dare una risposta alla domanda che il titolo giapponese del film pone a tutti gli spettatori: E voi come vivrete?