S-I P-U-Ò F-A-R-E! Che cosa? Semplice! Prendere una materia dell'orrore e trasformarla in una parodia. In "studio" Carmine Marzano (Antisistema) e Aronne Togni (DeathCross). Sigla di Lorenzo Curti.
Inizia citando i T. Rex di Marc Bolan e trasformando il rosso di A Clockwork Orange in uno zoom che si sgrana nella neve. Poi arriva un egregiamente ripugnante Nicolas Cage, che sembra una crasi tra Marilyn Manson, l’It di Stephen King, il Norman Bates paterno e una Valeria Marini glam-rock. Accomodatevi.
Quasi nulla ci viene risparmiato, in questa folle riflessione sull'invecchiare, sulla solitudine, sul doppio, sull'egoismo e sull'apparire, tanto da portare il film anche in territori politici.
Un'opera filologicamente corretta ma misurata al punto di passare per fredda, sicuramente utile per raccontare in maniera pulita quel quinquennio nelle scuole, ma difficilmente destinata a rimanere negli occhi o nel cuore.
Nemmeno un regista americano avrebbe saputo svilirsi in ammiccamenti così sfacciati, di cui Muccino si nutre a sorsate senza pudore, rendendo tutto prevedibile, scontato, con personaggi da cliché che risultano completamente inaccettabili.
Un esemplare di cinema capace di incastonare atolli meravigliosi per poi perdersi in meandri meno riusciti, di catturare l’essenza della bellezza e subito dopo di scivolare in dissertazioni periferiche, in grado di stupire e poi di rammaricare.Appariscente ed effimero, stordente e cangiante.
In anticipo rispetto all'uscita programmata per il 7 novembre arriva in anteprima Terrifier 3: un Hitchcock sotto steroidi e un Kubrick in pieno delirium.
In una settimana che, come da copione, vira deciso verso il genere horror con l'attesissimo The Substance ma al quale contribuiscono anche le numerose anteprime di Terrifier 3, c'è anche molto altro da vedere. Qui la lista completa.
Una lezione di cinema riuscita a metà, che difficilmente verrà accolta; una lezione di vita che semplifica eccessivamente la realtà riducendola ad una favola. Forse più presunzione che genio.
Una grande regia, quadrata, ispirata molto a Kubrick, Lang, Hitchcock e persino Buñuel, visivamente una splendida figata nelle scenografie e nella cgi, una fotografia che cambia dall’acceso dorato al cupo desaturato e blu intenso fino al caldo rincuorante.
Il Coppoliano che rimane folgorato dal suo senso anarchico ancora vivo alla sua età e resta ammaliato dalla roboante messa in scena e il Coppoliano deluso da un film che sia autocompiace della sua oggettiva bruttezza.
Ogni espediente visivo utilizzato da Coppola è qualcosa di già visto, non c'è nulla di nuovo. Le sequenze oniriche, i giochi di luci ed ombre, le scene forzatamente trasgressive, il paesaggio futuristico, tutto questo è già nell'immaginario collettivo da decenni.
Un'opera che si sbraccia costantemente nel desiderio di sabotare/travalicare la consuetudine del linguaggio audiovisivo, ma anche quell'epoca, per Coppola, è bella che tramontata.
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