“Il palcoscenico è piccolo, ma il pubblico è vasto.”
Prima di “Matter” (2008) l’ultima opera tradotta in italiano di Iain M. Banks (1954-2013; la “M.” di “Menzies” la adottava quando scriveva SF dura e im-pura), uno dei dieci più importanti scrittori di SF non solo anglosassoni a cavallo tra XX e XXI secolo, risaliva a vent’anni fa (“Look to Windward”, pubblicato da Fanucci in tascabile da edicola nella collana Solaria), e “il silenzio al punto d’acqua” del post-Editrice Nord, della stessa Fanucci e, per quanto riguarda il mainstream, di Guanda è stato rotto per l’appunto l’estate appena trascorsa dalla mondadoriana Urania diretta da Franco Forte con la traduzione e pubblicazione del 10° romanzo in ordine di stesura e non di cronologia interna della dozzina in tutto che il destino ha voluto infine andasse a comporre il Ciclo della Cultura.
“Vaccinare il futuro con una forma attenuata di destino avverso.”
“Matter” – come spesso e, coerentemente alle “leggi” universali, “volentieri” nelle opere dell’autore scozzese – è una carneficina, e alcune morti importanti avvengono addirittura fuori campo o, se non – cormacmccarthyanamente: ad esempio, spoiler, Llewelyn Moss in “No Country for Old Men” – negli spazi bianchi tra i paragrafi, quasi, ma in fondo è la vita stessa, qualunque (forma o esperienza di) vita, ad essere e costituire, una carneficina, perciò… Perciò ci si potrebbe anche accontentare, da sopravvissuti, dopo aver attraversato da novelli argonauti una discreta porzione dell’arcipelago di stelle, mondi e lune (naturali e artificiali) ch’è la Via Lattea di aspirare a consegnare e vedere assegnati il proprio nome e cognome a quello di un(a) via(le), un(a) piazza(le) o una stazione, ecco.
“Grazie per il vostro aiuto. Ora ho molto da fare. Non c’è perdono.”
E in fondo la Cultura – l’altruistica civiltà umana, post/trans-umana e A.I. post-scarsità [inutilità del denaro, sostituito dal baratto… “culturale”, ma non dei giochi di potere, e vita semi-eterna (malattie debellate, rigenerazione di corpo e, parzialmente, della mente, ché la copia di back-up NON è l’originale, e la sua attivazione/nascita deriva da un lutto) dedita a ricercare, propugnare, “esportare” (eh-eh, se pur nei “confini” della Prima Direttiva di un’altra saga o, se si vuole, del paragrafo 7 dell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite: “Nothing contained in the present Charter shall authorize the United Nations to intervene in matters which are essentially within the domestic jurisdiction of any state or shall require the Members to submit such matters to settlement under the present Charter; but this principle shall not prejudice the application of enforcement measures under Chapter VII.”) e costruire le proverbiali magnifiche sorti, e progressive] e pre-Sublimazione (la Trascendenza quale esito “inevitabile” nato dal raggiungimento della singolarità tecnologica postulata da Vernor Vinge e Raymond Kurzweil), parte integrante del reticolo di xeno-società galattiche –, col suo perenne, auto-assolutorio/giustificatorio e a volte noncurantemente malcelato esercizio d’interferenza progressista innervato e sorretto da un’auto-avverante/rigenerante progetto di moralità oggettiva ed etica costituita, non è altro che la versione pater/mater-nalisticamente benevola del “Voi, strane bestioline! Quali fugaci fremiti la vita continua a produrre in quantità, come particelle virtuali su scala biologica, tanto tempo dopo…” che l’iln, il distruttore di xynthia, i dio-mondi (world-god), e relativi strato-mondi (shell-world), rivolge alla da lui resa carcassa della principessa che voleva conoscere il resto dell’universo al di fuori del suo piccolo reame planetario, e che ora sta per distruggerlo: “Oh!”, e il nostos sarà tutto per un personaggio minore/secondario.
“All'inizio trovava assurdi, puerili e ridicoli gli appellativi delle loro navi, poi vi si era abituata, dopo aveva creduto di capirli, più o meno, finché non si era resa conto che era impossibile comprendere la Mente di una nave ed era tornata a considerarli stupidi.”
Un’agente della divisione Circostanze Speciali della sezione Contatto della Cultura, nata come principessa del popolo Sarl, uman(oid)i abitanti dell’8° livello di Sursamen, un pianeta artificiale “a cipolla” (stratomondo), che nel giro di una generazione stanno passando – sotto l’egida degli alieni Oct, i loro mentori, a loro volta guidati dai Nariscene, insettoidi, a loro volta supervisionati dai Morthanveld, acquatici – dal MedioEvo alla Rivoluzione Industriale, scopre che suo padre e suo fratello maggiore e forse anche il minore sono stati uccisi da una congiura di palazzo durante una guerra di conquista contro i conspecifici Deldeyn esiliati nel 9° livello e decide di tornare sul suo pianeta natale: scoprirà ad attenderla una minaccia ben più antica, profonda e immensa.
Ah già, certo, quasi dimenticavo: “Matter” contiene anche – oltre a una descrizione accurata della bio/eco-sfera degli stratimondo, con ad esempio le loro nubi di terra, opera dei microorganismi silse, fango-limo-melmosi strumenti bioingegneristici atti alla necessaria terraformazione concimante a ciclo continuo che trasportando in sacche d’idrogeno o attraverso l’evaporazione acquea (nubi e pioggia) i sedimenti marini e lacustri dal fondo degli oceani e dei laghi in cielo facendoli ricadere in superficie come manna sul momento anche distruttiva rinnovano perennemente il suolo come un Nilo verticale, e un dildo anatomicamente preciso che in realtà è un coltello-missile che in realtà è un drone da combattimento – il più bel nome di mente-astronave (i concorrenti sono “Non Provateci a Casa”, “Ora Si Fa a Modo Mio”, “un Barcone coi Controcazzi”, “Voi Mostri Schifosi”, “il Centesimo Idiota”, “Spiraleggiamento, Fusione, Ringdown”) mai coniato: “la Festa è Mia e Se Ho Voglia Canto” (una Unità Generale di Contatto di classe Scarpata).
E dunque, in attesa della traduzione di "Surface Detail" e di "the Hydrogen Sonata", che praticamente già “conosco” avendone letto sinossi e recensioni varie oltre ad alcuni brani in lingua originale, è stato un enorme piacere ritrovare un autore che, se pure di lui non abbia letto - a parte i brevi “passi scelti” di cui sopra - alcunché negli ultimi tre lustri abbondanti, ha così talmente modellato il mio gusto fantascientifico da ritrovarne sostanza e stile, anche a così tanta distanza di tempo, intatti, coinvolgenti ed empatizzanti.
Grazie Iain, e che si fotta la morte.
Colophon. Iain M. Banks - “Matter” - Orbit, 2008 (Mondadori, Urania Jumbo n. 57, luglio 2024; trad. ital. di Alessandro Vezzoli; 530 pagg., € 9.90).
* * * * ¼/½ - 8.75
Refusi: - pag. 223: “…crollare su [sé] stessi.”; - pag. 225: “…tra i ciottoli [che] lo separavano da…”; - pag. 420: “…è partita da circa quaranta di giorni…” (crasi tra “quaranta giorni” e “una quarantina di giorni”); - pag. 502: per una volta la mente-astronave “Fattore Uomo” diventa la “Fattore Umano”… che in realtà sarebbe la traduzione corretta di “LiveWare Problem”!
Il re attendeva con impazienza il giorno in cui le eroiche imprese marziali che aveva dovuto sobbarcarsi sarebbero state viste per ciò che erano, brutalità necessarie a costruire un'età nuova; aveva voluto che almeno uno dei suoi figli s'integrasse senza fatica in quell'imminente epoca di pace, prosperità e benessere, in cui un elegante giro di frase sarebbe stato più efficace che il roteare di una spada.
Con Donatas Banionis, Natalia Bondarciuk, Jüri Järvet, Anatolij Solonicyn
Nel corso di migliaia di eoni, gli Stratomondi si erano rivestiti di una concrezione di nomi alternativi: Mondi Scudo, Mondi Cavi, Mondi Macchina, Mondi Velo, Mondi Massacro.
A costruire gli Stratomondi era stata una specie detta Involucra, o Veli, quasi un miliardo di anni prima. Orbitavano tutti intorno a stelle stabili della serie principale, a distanza variabile dai rispettivi soli a seconda della disposizione dei pianeti naturali del sistema, ma generalmente tra i due e i cinquecento milioni di chilometri. Inutilizzati e abbandonati da tempo, si erano progressivamente allontanati dalla posizione originale insieme alle loro stelle. Al principio esistevano circa quattromila Stratomondi; si riteneva che 4096 fosse il numero esatto, essendo potenza di 2 e pertanto, per generale, sebbene non universale consenso, quanto di più vicino a una cifra tonda. Nessuno, però, lo sapeva per certo. Non si poteva chiederlo ai costruttori, gli Involucra, scomparsi meno di un milione di anni dopo avere ultimato l'ultimo Stratomondo.
I giganteschi pianeti artificiali erano stati collocati a distanza regolare alla periferia della galassia, in modo da formare una rete intorno all'immenso vortice di stelle. Da allora, per quasi un miliardo di anni, il turbinio gravitazionale li aveva dispersi per i cieli in un apparente disordine: alcuni si erano ritrovati espulsi dalla galassia mentre altri erano stati spinti verso il centro, in certi casi per restarvi oppure per essere scagliati via di nuovo, talvolta tra le fauci di un buco nero. Utilizzando una buona carta stellare dinamica, però, era possibile inserire le posizioni attuali di quelli ancora esistenti e seguirne la traiettoria a ritroso per ottocento milioni di anni per vedere dove avesse avuto inizio.
Ormai quella cifra di quattromila e passa era ridotta a poco più di milleduecento, soprattutto perché una specie detta Iln aveva passato milioni di anni a distruggere qualsiasi Stratomondo in cui si imbattesse senza che nessuno volesse o potesse impedirglielo. Il motivo preciso, nessuno lo sapeva, e comunque non si poteva chiederlo agli Iln; anche loro erano usciti dalla scena galattica, lasciandosi dietro come unico monumento superstite un insieme di vaste nubi di detriti in lenta espansione attraverso la galassia e, dove la loro devastazione non era stata completa, Stratomondi a pezzi, ridotti a relitti frammentati e spigolosi, gusci rattrappiti di ciò che erano stati un tempo.
Gli Stratomondi erano quasi del tutto vuoti. Ognuno possedeva un nucleo metallico solido dal diametro di millequattrocento chilometri. Intorno a quello era disposta una successione di gusci sferici concentrici, sostenuti da oltre un milione di solide torri leggermente più strette in cima che alla base, ma che non misuravano mai meno di millequattrocento metri di diametro. La sfera esterna costituiva la Superficie. Persino il materiale di cui erano costruiti era rimasto un enigma - quanto meno, per molte delle civiltà Coinvolte della galassia - per oltre cinquecento milioni di anni, finché non si era finito per comprenderne del tutto le proprietà. Fin da subito, però, era stato chiaro che si trattava di una sostanza incredibilmente robusta e del tutto impenetrabile a qualsiasi radiazione.
In uno Stratomondo Aritmetico, i livelli si collocavano a intervalli regolari di millequattrocento chilometri. Gli Stratomondi Esponenziali o Incrementali avevano più livelli vicino al nucleo e sempre meno allontanandosi da esso, in quanto la distanza tra ogni sfera e la successiva cresceva secondo un rapporto a base logaritmica. Gli Stratomondi Aritmetici contenevano invariabilmente al loro interno quindici superfici e avevano un diametro esterno di quarantacinquemila chilometri. Invece gli Stratomondi Incrementali, che rappresentavano il dodici per cento di quelli superstiti, erano più variegati: quelli più imponenti erano larghi quasi ottantamila chilometri.
In passato quei pianeti erano stati macchine. Anzi, avevano fatto tutti parte dello stesso immenso meccanismo. Il loro interno cavo era stato riempito, oppure era stato progettato a quello scopo (nessuno sapeva per certo se fosse accaduto o meno) con una specie di misterioso superfluido che avrebbe trasformato ognuno di loro in un colossale proiettore di campo con l'obiettivo, una volta che fossero stati attivati tutti in simultanea, di lanciare un campo o uno scudo di forza intorno all'intera galassia.
Anche il motivo preciso per cui si era pensato che ciò fosse necessario o auspicabile restava ignoto, nonostante l'arrovellarsi di studiosi ed esperti intorno alla questione nel corso miliardi di anni.
Dato che i loro costruttori si erano dileguati, che anche chi li aveva attaccati sembrava aver fatto perdere le proprie tracce e che il favoleggiato superfluido era scomparso dagli immensi spazi interni collegati dalle Torri di sostegno - a loro volta per lo più cave, pur racchiudendo armature di rinforzo strutturale e presentando portali di varie dimensioni che permettevano di accedere ai vari livelli -, non era passato molto prima che alcune specie intraprendenti capissero che uno Stratomondo abbandonato avrebbe costituito un vasto habitat pronto all'uso e pressoché invulnerabile, una volta apportate alcune modifiche di minore entità.
Con Aleksej Ananisnov, Eskender Umarov, Irina Sokolova, Vladimir Zamanskij
Lei non aveva raggiunto il livello in cui le Menti che supervisionavano quel genere di missione si limitavano ad assegnarle un obiettivo e lasciavano che se la sbrigasse da sola. Si trovava ancora nelle fasi conclusive dell'addestramento, e perciò le sue azioni erano maggiormente controllate, le sue tattiche e la sua strategia più circoscritte, e godeva di minore libertà d'iniziativa rispetto ai più abili ed esperti professionisti di quella misteriosa arte che consisteva nell'esercitare un'interferenza - sempre ben intenzionata, talvolta azzardata e solo occasionalmente catastrofica - nelle vicende delle altre civiltà.
Titolo originale Es ist nicht leicht ein Gott zu sein
Regia di Peter Fleischmann
Con Edward Zentara, Aleksandr Filippenko, Hugues Quester, Anne Gautier
Si doveva studiare a fondo la storia per entrare a far parte del Contatto, e ancora di più per essere ammessi alle Circostanze Speciali. Più aveva approfondito la conoscenza dei modi in cui società e culture tendevano a svilupparsi, più le erano stati offerti esempi di altri grandi condottieri, meno aveva pensato, sotto molti punti di vista, a suo padre.
Si era resa conto che era solo uno dei tanti uomini forti in una di quelle società, durante una di quelle fasi di sviluppo in cui essere l'uomo forte era più facile che agire in modo davvero coraggioso. La prestanza, la collera, la determinazione, la prontezza a colpire... quanto amore nutriva suo padre per quelle parole, quelle idee, e come cominciavano a parerle vuote quando le vedeva ripetersi incessabilmente nei secoli, nei millenni, da mille specie diverse.
Così funziona il potere, così si affermano la forza e l'autorità, così si convince la gente ad agire in modo oggettivamente contrario ai propri interessi. È quello che occorre farle credere, è lì che entra in gioco l'ineguale distribuzione delle risorse, in quel momento, e poi ancora, e ancora...
Chiunque fosse nato all'interno della Cultura cresceva con quegli insegnamenti e li accettava come naturali ed evidenti quanto la progressione di una stella lungo la sequenza principale o l'evoluzione stessa. Per una come lei, che veniva dall'esterno, con pregiudizi acquisiti all'interno di una società profondamente diversa e francamente inferiore, quella consapevolezza giungeva in un arco temporale più compresso e con la forza di una mazzata.
Con Leonid Yarmolnik, Dmitri Vladimirov, Laura Pitskhelauri, Aleksandr Ilyin, Yuri Tsurilo
Alcune delle Menti più intelligenti e orgogliose della Cultura (una categoria non proprio trascurabile), palesemente con troppo tempo libero a disposizione, avevano tirato fuori una bellissima teoria nuova di zecca, secondo cui la Cultura non era solo una stupefacente opportunità per chiunque ne faceva parte, ma rappresentava una specie di tappa inevitabile per ogni civiltà, o quanto meno per quelle che decidevano di non puntare direttamente alla Sublimazione non appena possibile (dove per Sublimazione si intendeva il momento in cui una civiltà diceva praticamente addio all'universo basato sulla materia per scegliere invece una condizione divina ad honorem).
Bastava evitare l'autodistruzione, riconoscere il denaro per quello che era - un sistema di razionamento che impoveriva le persone - e rinunciarvi, diventare un branco di buonisti ficcanaso che s'ingerivano negli affari altrui, resistere alle sirene dell'autopromozione egoista della Sublimazione e lasciare le macchine coscienti libere di svolgere ciò in cui eccellevano - in sostanza, gestire ogni cosa -, ed ecco spalancarsi millenni di compiaciuta soddisfazione, a prescindere dalla specie da cui si era partiti.
Con Claude Laydu, Joan Riveyre, Nicole Maurey, Adrien Borel, Rachel Bérendt
Il padre di Ferbin aveva nutrito verso la religione la stessa visione fortemente pragmatica che aveva verso tutto il resto. A suo parere, la religione serviva solo ai più poveri e oppressi per rendere più sopportabile le loro vite di stenti. Le persone avevano fame d'importanza; desideravano sentirsi dire che contavano come individui, non solo come parti di una massa o di qualche processo storico. Avevano bisogno della rassicurazione che, per quanto la loro esistenza fosse dura, amara e ingrata, dopo la morte avrebbero avuto diritto a una forma di ricompensa. Per fortuna della classe dirigente, una religione dalle solide basi impediva anche alle persone di cercare la propria ricompensa nel qui e ora attraverso sommosse, tumulti o rivoluzioni.
Un tempio valeva dieci caserme. Un miliziano con un fucile era in grado di controllare una piccola folla disarmata solo finché non si allontanava, mentre un unico sacerdote poteva ficcare un poliziotto nella testa di ogni pecorella del suo gregge una volta per sempre.
I più ricchi e coloro che detenevano il potere potevano sce gliere di credere o meno a seconda delle proprie inclinazioni personali, ma le loro esistenze piacevoli e relativamente comode erano di per sé una ricompensa, e per i più grandi del regno il premio dopo la morte sarebbe stata la posterità, un posto nella storia.
"Lei, principe, è la vittima innocente di un sistema creato a beneficio di specie come i Sarl; un sistema che si è evoluto nel corso di decine di millenni per garantire che popoli meno avanzati di altri dal punto di vista tecnologico riescano a progredire nel modo più naturale possibile all'interno di un ambiente galattico generalmente controllato, permettendo a società che si trovano in fasi di civilizzazione molto diverse di coesistere senza che ciò conduca in maniera accidentale alla distruzione o alla demoralizzazione dei partecipanti meno sviluppati. È un sistema che ha funzionato bene per parecchio tempo, ma ciò non significa che sia esente dal produrre anomalie o apparenti ingiustizie. Sono davvero desolata."
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"Signori, ognuno al suo compito! L'oggetto trovato sotto la piazza, l'obiettivo di tutti i nostri sforzi, un artefatto che crediamo sepolto da centinaia di milioni di anni, ha dato segni di vita! Perciò vi ordino, vi supplico: al lavoro!"
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Si diressero verso il Sarcofago. Sotto molti aspetti, Oramen lo trovò meno impressionante del cubo nero cui si era interessato in precedenza. La sala era molto più grande e gli sembrava meno opprimente - senza dubbio, anche per via del silenzio che l'avvolgeva - e l'artefatto stesso, benché assai più voluminoso dell'altro, lo intimidiva meno solo perché era di una tonalità di grigio che appariva poco minacciosa, anziché di un nero assoluto come l'oggetto che tanto lo aveva impaurito e affascinato al tempo stesso. Era comunque imponente e lui lo stava guardando dal basso, per cui gli appariva ancora più massiccio.
[...]
Mentre si avvicinava al Sarcofago gli parve che emanasse un'aura di solidità assoluta, una sorta di impassibilità schiacciante e insieme di atemporalità, quasi fosse stato testimone di uno scorrere di epoche e secoli inconcepibile per gli umani, e tuttavia, in qualche modo, appartenesse più al futuro che al passato.
«Ma questo oggetto dev'essere antico, signora, giusto?» protestò Holse. «È stato lì sotto per un'eternità. Tutti sanno che gli Iln sono scomparsi da milioni di anni. Qualunque cosa sia, non può essere così pericoloso, non per le civiltà più avanzate come gli Optima, la Cultura e le altre. Non è vero?»
«Non funziona così» disse Anaplian. «Magari.»
Si ammutolì mentre i due si spingevano verso l'alto, sparpagliandosi. Hippinse si schiari la voce e disse: «Il tipo di progresso cui siete abituati voi Sarl non è confrontabile a civiltà di questo livello. Le società progrediscono fino a raggiungere lo stato di Sublimi - un pensionamento divino, per così dire - mentre altre s'incamminano lungo il sentiero dell'avanzamento tecnologico. Ma è come salire una montagna, non una scala a pioli. Esistono diversi percorsi per arrivare in cima e due civiltà che hanno raggiunto la vetta potrebbero aver sviluppato nel frattempo abilità assai differenti. I metodi con cui mantenere vitale una tecnologia per un arco illimitato sono noti da eoni, e solo perché qualcosa è antico non significa che sia inferiore. Le statistiche mostrano che esiste solo il sessantaquattro per cento delle possibilità che la tecnologia posseduta da quell'oggetto sia meno efficace di quella di cui disponiamo attualmente.»
"Non fare niente è sempre facile" disse Ferbin senza sforzarsi di nascondere l'amarezza.
"Non fare niente quando si è così tentati di farlo, e se ne hanno tutti i mezzi, è più difficile. Diventa più facile solo quando si comprende che non facendo niente si agisce in via indiretta per il bene altrui."
Con Elia Suleiman, Amer Daher, Jamel Daher, Naeif Daher, George Ibrahim
Rasselle, la capitale dei Deldeyn, aveva finito per cadere facilmente. Dopo svariate lagnanze da parte di Werreber e di altri ufficiali superiori - e dopo aver constatato che le truppe mostravano un'inspiegabile riluttanza a passare per le armi i Deldeyn catturati -, tyl Loesp aveva revocato l'ordine generale relativo ai prigionieri e al saccheggio delle città conquistate.
Col senno di poi, avrebbe dovuto esercitare pressioni su Hausk affinché demonizzasse maggiormente i Deldeyn. Chasque era stato entusiasta di quell'idea e insieme avevano cercato di convincere Hausk che l'atteggiamento dei soldati e della popolazione sarebbe molto migliorato se si fosse inculcato in loro un odio viscerale verso i Deldeyn, ma il re, come al solito, aveva peccato di eccessiva prudenza. Hausk distingueva tra i Deldeyn come popolo, da un lato, e il loro alto comando e la loro nobiltà corrotta, dall'altro. Ammetteva persino che potessero costituire un nemico onorevole. In ogni caso, avrebbe dovuto governarli una volta sconfitti e una popolazione che nutriva un giustificato risentimento nei confronti di un occupante dalle tendenze omicide rendeva impossibile un governo pacifico e produttivo. In base a tali considerazioni puramente pratiche giudicò il massacro un metodo di controllo inutile e persino controproducente. «La paura dura una settimana, la rabbia un anno, il risentimento una vita intera» aveva dichiarato.
«Non se si continua ad alimentare la paura ogni giorno che passa» aveva ribattuto tyl Loesp, ma il re non si era lasciato convincere.
«Meglio un rispetto riluttante che una sottomissione terrorizzata» aveva detto Hausk, battendogli la mano sulla spalla dopo il dibattito che aveva finalmente deciso la questione.
Tyl Loesp si era morso la lingua per non replicare.
«Tuttavia, spesso è più facile essere il numero due, principe» ribatté Hyrlis. «Il trono è un luogo dove si sta molto soli, e più ci si avvicina più lo si vede con chiarezza. Ci sono vantaggi nell'avere un grande potere senza assumersi la responsabilità suprema. Soprattutto quando si sa che nemmeno il re detiene il potere assoluto, che esistono sempre autorità superiori alla sua. Lei dice che tyl Loesp godeva di fiducia, che era ricompensato, stimato, rispettato... Perché rischiare tutto questo per l'ultima tacca di un potere che lui sa bene essere soggetto a limitazioni?»
«Guerra, carestia, malattia, genocidio. La morte, in un milione di forme diverse, spesso dolorose e prolungate per i poveri disgraziati coinvolti. Quale dio organizzerebbe l'universo in maniera tale da costringere le sue creature a sperimentare simili sofferenze o a infliggerne ad altre? Quale maestro di simulazioni o arbitro di un gioco stabilirebbe le condizioni iniziali per ottenere le stesse impietose conseguenze? Che sia un dio o un programmatore poco importa. L'accusa resta la stessa: quella di un sadismo pressoché illimitato, di una barbarie premeditata su una scala di orrore inconcepibile.»
Hyrlis li guardò con aria di attesa. «Vedete?» disse. «Seguendo questo ragionamento, dobbiamo trovarci al livello più elementare della realtà; o al più elevato, a seconda di come si preferisce vedere le cose. Così come la realtà può mostrarci le coincidenze più assurde, di cui nessuna opera di finzione riuscirebbe a convincerci, allo stesso modo solo la realtà - un prodotto, in ultima analisi, della materia bruta - è capace di essere crudele in maniera tanto inconsapevole. Nessun essere in grado di pensare, di comprendere le nozioni di colpevolezza, giustizia o moralità, potrebbe comprendere una tale deliberata ferocia senza cogliere in essa la definizione del male assoluto. È quella inconsapevolezza a salvarci ma, naturalmente, anche a condannarci; di conseguenza siamo i nostri stessi agenti morali, e non c'è modo di sfuggire a quella responsabilità, né di appellarci a una superiore autorità che si possa accusare di averci diretto o vincolato.»
Le Circostanze Speciali, invece, prendevano quegli avvenimenti fortuiti terribilmente sul serio. Le migliori Menti della Cultura avevano un bisogno pressoché cronico di occuparsi di questioni serie di cui quella, evidentemente, rappresentava l'ultima manifestazione. "Ci creiamo problemi da soli" pensò Batra. "Abbiamo seminato questa cazzo di galassia di viaggiatori, vagabondi, studenti, giornalisti, etnologi pratici ed ex sociologi sul campo, filosofi itineranti, pensionati in libera uscita, ambassador freelance, o come si chiamano in questa stagione, insieme a mille altre categorie di dilettanti troppo impressionabili, e tutti passano il tempo a informarci in continuazione di fatti che a loro sembrano stranissimi ma che non supererebbero il primo filtro dei sistemi di raccolta dati della meno esperta delle Unità di Contatto. Abbiamo riempito di imbecilli creduloni l'universo conosciuto e pensiamo di aver creato un astuto sistema di sicurezza che renda difficile a presenze sgradevoli intrufolarsi oltre tale sbarramento, mentre in realtà ci siamo solo assicurati di raccogliere fantastiliardi di falsi positivi, probabilmente con il risultato di faticare a rilevare minacce davvero gravi quando ci si presentano."
Alcuni estendevano ulteriormente il campo delle proprie avventure, il che a volte creava dei problemi. La semplice presenza di un individuo di quel tipo in una società sufficientemente sottosviluppata riusciva a cambiarla, talora in profondità, se quell'individuo non si rendeva conto dell'effetto che tale presenza poteva esercitare su coloro tra cui era andato a vivere, o almeno a osservare. Non tutti i viaggiatori accettavano di essere sorvegliati dal Contatto, e anche se quest'ultimo non si faceva scrupolo di spiarli, volenti o nolenti, quando si addentravano in società vulnerabili, a volte si perdevano le tracce di qualcuno. Esisteva un'intera branca dell'organizzazione con il compito di sorvegliare le civiltà in via di sviluppo alla ricerca di segnali che indicassero che qualche sedicente Vagabondo si era trasformato - in modo premeditato, per opportunismo o anche in maniera casuale - in un Professore Pazzo, un Despota, un Profeta o un Dio. C'erano altre categorie, ma quelle quattro rappresentavano le strade più popolari e prevedibili imboccate dalle fantasie di coloro che smarrivano l'orientamento morale in mezzo ai primitivi.
La maggior parte dei Vagabondi, tuttavia, non causava problemi di quel tipo e in genere i nomadi finivano per trovare un posto da chiamare casa, di solito all'interno della Cultura. C'era però chi non si stabiliva da nessuna parte, vagando per l'intero corso della propria esistenza, e alcuni di loro - una percentuale sorprendentemente elevata rispetto al resto della popolazione della Cultura - vivevano, di fatto, per sempre. O almeno fin quando non morivano di morte violenta e definitiva. Giravano voci - di solito basate su affermazioni individuali - di creature che erano in circolazione fin da quando si era formata la Cultura stessa, nomadi che per migliaia di anni avevano attraversato la galassia e il numero quasi infinito di popoli, società, civiltà e luoghi in essa racchiuso.
«Principe reggente, è un onore. Devo avvertirla però che l'effetto è quello di... essere letti, in un certo senso, e poi di vedere immagini che...». S'interruppe, sorrise. «Meglio che veda di persona. Non posso dirle cosa aspettarsi, perché tutti quelli che finora hanno sperimentato questo fenomeno ne hanno tratto impressioni diverse, anche se nei risultati sembrano predominare le analogie. In ogni caso, sarebbe un errore da parte mia influenzarla. Se solo cercherà di ricordare cos'ha visto e di comunicarlo a uno dei tecnici incaricati delle registrazioni gliene sarei estremamente grato. Le chiedo di avanzare; a quanto pare il punto focale si trova qui.»
«Senza Nome» fu la risposta altrettanto sommessa. «Ho preso questo nome. Mi piace, per ora, finché non mi verrà restituito il mio.»
«Ma che cosa sei? Dimmi la verità.»
«Un Velo» sussurrò la voce. «Io sono un Velo, io sono un Involucrum. Noi abbiamo creato il luogo in cui sei vissuto tu, principe.»
«Avete creato Sursamen?»
«Sì, e tutti quelli che voi chiamate Stratomondi.»
«Per quale motivo?»
«Per proiettare un campo sulla galassia. Per proteggerla. Lo sanno tutti, principe.»
«Proteggerla da cosa?»
«Qual è la tua ipotesi?»
«Non ne ho. Vuoi rispondere alla mia domanda? Da cosa hai cercato di proteggere la galassia?»
«Hai capito male.»
«Allora racconta, in modo che io capisca.»
«Ho bisogno dei miei altri pezzi, dei miei frammenti sparsi. Ritornerei intero, e allora potrei rispondere alle tue domande, principe. Con me gli anni sono stati lunghi e crudeli. Molto è andato via, molto mi è stato portato via. Mi vergogno, arrossisco nell'ammettere che quasi tutto ciò che so proviene da quel dispositivo che mi ha permesso di imparare a parlare con voi.»
«Arrossisci? Tu arrossisci? Sei in grado di farlo? Ma chi c'è lì dentro?»
«Non sono ancora intero. E naturalmente non arrossisco. Io traduco. Io parlo a te nel tuo idioma. Altrettanto con gli Oct, e quindi in modo del tutto diverso. Tutto è traduzione. Come potrebbe essere altrimenti?»
Comportarsi con onore e augurarsi una bella morte. In tutta sincerità, l'aveva sempre liquidata come una stronzata autoassolutoria. La maggior parte dei suoi cosiddetti "superiori" erano personaggi alquanto disonorevoli, avidi bastardi che più accumulavano ricchezze più ne volevano. E chi si comportava meglio, in genere era perché poteva permetterselo.
Era più onorevole crepare di fame che rubare? Molti avrebbero risposto di sì, ma di rado chi sapeva davvero cosa significasse avere la pancia vuota o sentire un bambino frignare per la mancanza di cibo. Era più onorevole morire di fame che rubare quando altri disponevano dei mezzi per nutrirti ma decidevano di non farlo, a meno di essere pagati con denaro che non avevi? Lui pensava di no. Scegliendo di morire di fame si diventava oppressori di se stessi, ci si costringeva a non sgarrare, ci si puniva per aver avuto l'ardire di essere poveri, quando quello avrebbe dovuto essere compito di un poliziotto. Chi dava prova di un po' di iniziativa o di immaginazione veniva chiamato pigro, maneggione, furfante, incorreggibile. Perciò aveva lasciato perdere tutte quelle chiacchiere sull'onore, che erano solo un modo per far sentire meglio i ricchi e peggio i poveri.
Ma una volta che non si era più costretti a vivere alla giornata e si godeva di una certa tranquillità, si aveva il tempo di riflettere sul vero significato della vita e su chi si era veramente. E dato che un giorno si sarebbe dovuti morire, aveva senso cercare una bella morte.
Anche quelle persone della Cultura, sorprendentemente, in genere sceglievano di morire, quando non erano costrette a farlo.
Una volta liberi dalla paura e dalla necessità di trovare qualcosa da mettere in tavola o di chiedersi quante bocche si sarebbe dovuto sfamare l'anno successivo, oppure se si sarebbe stati licenziati o messi in prigione per qualche peccatuccio... ecco, una volta liberi da tutto questo si aveva la possibilità di decidere. Si aveva modo di scegliere una vita tranquilla, pacifica, ordinaria, di morire nel proprio letto circondati dall'agitazione dei familiari, oppure si poteva finire per fare qualcosa di simile a quanto aveva vissuto lui, un'esperienza che sì, poteva far tremare le membra ma arricchire la mente.
Pensò alla moglie, ai figli e si senti in colpa perché negli ultimi tempi sembrava essersene scordato del tutto. Aveva avuto di che tenere occupata la mente e tante cose nuove e assolutamente bizzarre da imparare, ma la verità era che in quel momento gli sembravano creature di un altro mondo e, pur augurando a loro ogni bene e potendo immaginare, se per miracolo fosse sopravvissuto a quell'avventura, di tornare a casa per riprendere i suoi vecchi doveri, aveva l'impressione che non sarebbe mai accaduto e che quando li aveva salutati, al momen-to di partire, in realtà gli avesse detto addio.
Una bella morte. Be', pensò, dato che si doveva morire, perché volerne una brutta?
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