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Festa del Cinema di Roma 2024: premi e recensioni
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Festa del Cinema di Roma 2024: premi e recensioni

Conclusa la 19° edizione della Festa del Cinema di Roma, così come la parallela 22° di Alice Nella Città, giunge il momento di tirare le somme, dopo che per entrambe le manifestazioni sono stati diramati i comunicati con la lista completa dei premi assegnati e delle relative motivazioni.

In coda a questo cappello introduttivo, incollo entrambi i comunicati, mentre la playlist che correda il tutto rappresenta una classifica da me stilata tra i tutti i film visionati in qualità di inviato di FilmTv.it, senza distinzione alcuna tra concorsi e sezioni (comunque sempre indicati).
Ne fanno parte, in posizioni di rilievo, molti dei film premiati alla Festa, tra cui il vincitore del premio per il Miglior film Bound In Heaven di Huo Xin, e quello del Gran Premio della Giuria La nuit se traîne di Michiel Blanchart, entrambe sorprendenti opere prime, come opera prima è anche Ciao Bambino di Edgardo Pistone, vincitore proprio del relativo premio (in coabitazione con lo stesso Bound In Heaven). Non ne fanno parte i film premiati in Alice perché, come ogni anno, il poco tempo a disposizione, la vasta offerta generale, e l'ubicazione sfavorevole della maggior parte delle proiezioni, mi hanno portato a vederne complessivamente solo due film, nessuno dei quali ha portato a casa premi.
Per chi volesse, in coda ad ognuna delle mie recensioni - qui riportate comunque integralmente - c'è il mio voto in stellette cliccabile, attraverso il quale poter essere reindirizzati alla relativa pagina originale dove guardare - qualora reperibile - anche l'eventuale trailer.




 

FESTA DEL CINEMA DI ROMA

16/27 ottobre 2024

 

I vincitori della diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma

 

La Festa del Cinema di Roma è ufficialmente riconosciuta come Festival Competitivo dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films).

A seguire, tutti i riconoscimenti assegnati oggi, sabato 26 ottobre, nel corso della cerimonia di premiazione che si è svolta alle ore 17 presso la Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.

 

CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Una giuria presieduta dal regista, sceneggiatore e produttore Pablo Trapero, affiancato dalla montatrice Francesca Calvelli, l’attrice francese Laetitia Casta, la produttrice Gail Egan e lo scrittore e sceneggiatore Dennis Lehane ha assegnato i seguenti riconoscimenti ai film del Concorso Progressive Cinema:

 

- Miglior film: BOUND IN HEAVEN di Huo Xin

- Gran Premio della Giuria: LA NUIT SE TRAÎNE di Michiel Blanchart

- Miglior regia: MORRISA MALTZ per Jazzy

- Miglior sceneggiatura: CHRISTOPHER ANDREWS per Bring Them Down

- Miglior attrice – Premio “Monica Vitti”: ÁNGELA MOLINA per Polvo serán

- Miglior attore – Premio “Vittorio Gassman”: ELIO GERMANO per Berlinguer. La grande ambizione

- Premio speciale della Giuria: al cast femminile di READING LOLITA IN TEHRAN (LEGGERE LOLITA A TEHERAN)

 

MIGLIORE OPERA PRIMA

Una giuria presieduta dalla regista e sceneggiatrice Francesca Comencini affiancata dalla produttrice, compositrice e scrittrice Kaili Peng e dall’attore Antoine Reinartz ha assegnato – fra i titoli delle sezioni Concorso Progressive Cinema, Freestyle e Grand Public – il Premio Miglior Opera Prima ai film:

 

- BOUND IN HEAVEN di Huo Xin (sezione Progressive Cinema) – ex aequo

CIAO BAMBINO di Edgardo Pistone (sezione Freestyle) – ex aequo

 

È stata inoltre assegnata una Menzione speciale all’attore Liu Hsiu-Fu per Pierce di Nelicia Low.

 

PREMIO DEL PUBBLICO FS

Fra i titoli del Concorso Progressive Cinema, gli spettatori hanno assegnato il Premio del Pubblico FS, Official Sponsor della Festa, al film:

 

READING LOLITA IN TEHRAN (LEGGERE LOLITA A TEHERAN) di Eran Riklis

 

Il pubblico della proiezione ufficiale e della prima replica di un film ha espresso il voto utilizzando l’APP ufficiale della Festa del Cinema “Rome Film Fest”, attraverso il sito www.romacinemafest.it e tramite link presente sul titolo d’acquisto.




 



ALICE NELLA CITTÀ
16 | 27 ottobre 2024

 


I VINCITORI DI ALICE NELLA CITTÀ

“BIRD” di Andrea Arnold
è il Miglior Film del Concorso Internazionale di Alice nella Città

A “NO MORE TROUBLE - COSA RIMANE DI UNA TEMPESTA” di Tommaso Romanelli
il Premio Raffaella Fioretta come miglior film del Panorama Italia
Menzione speciale a IL MIO COMPLEANNO di Christian Filippi

Premio RB Casting per il miglior attore emergente
a ZACKARI DELMAS per “Il mio compleanno” di Cristian Filippi
Al giovane attore anche la menzione speciale di UNITA

Premio Colorado-Rainbow Miglior Opera Prima
RITA di Paz Vega

 





 

PREMIO MIGLIOR FILM DEL CONCORSO DI ALICE NELLA CITTÀ
BIRD di Andrea Arnold
Il riconoscimento è stato assegnato da una giuria di trentacinque ragazzi di età compresa tra i 16 e 19 anni. 

Motivazione - Una storia capace di rappresentare le sfide dell’adolescenza, rispecchiando la nostra visione e i nostri valori. Un racconto universale che esplora il complesso e solitario percorso di crescita, guidato dalla costante ricerca di libertà

 

 

 

 

 

 

 


 

Playlist film

La nuit se traîne

  • Thriller
  • Belgio, Francia
  • durata 91'

Titolo originale La nuit se traîne

Regia di Michiel Blanchart

Con Romain Duris, Jonas Bloquet, Sam Louwyck, Thomas Mustin, Laura Masci, Guillaume Kerbusch

La nuit se traîne

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Mady di giorno fa lo studente e di notte arrotonda facendo il fabbro a chiamata, gestendo emergenze che possono avere a che fare con porte da sbloccare o rubinetti da sgorgare. Claire lo chiama per aprire una serratura, ma al momento di pagare - rigorosamente in contanti - lo invita ad entrare e aspettare mentre lei scende al bancomat a prelevare il denaro: un minuto dopo, da sotto, lo chiama di nuovo per dirgli che c'è stato un problema e deve immediatamente andar via dall'appartamento. Ma lui è dentro, e mentre è al telefono con lei sopraggiunge il legittimo proprietario che, imbufalito, gli salta addosso. Ci scappa il morto, ma è solo l'inizio: perché Mady ha aperto la porta sbagliata, intromettendosi in uno scambio di denaro tra bande criminali, e entro la fine della notte dovrà trovare il modo di rintracciare la ragazza e rimettere le cose a posto.

La notte di Bruxelles, un'unica notte, come quella di New York in Fuori Orario di Scorsese, è il perimetro spazio temporale in cui si incastona La nuit se traîne, notevole film d'esordio di Michiel Blanchart (dopo una manciata di corti). Che tutto sembra tranne che un film d'esordio, tanta è la sicurezza mostrata in una messinscena che unisce un ritmo incessante ad una tensione sempre palpabile, e che nel quadro di un film d'azione violenta non dimentica di mostrare il cuore dei suoi personaggi, e di far sì che la chimica si generi, sia percepita come plausibile, e rimanga sotto traccia divenendone il carburante e favorendo agili cambi di registro.

Buoni o cattivi che siano, tutti in La nuit se traîne hanno una caratterizzazione precisa e ben delineata, ciascuno vincolato ad un proprio percorso obbligato: quello che si svolge tra le strade di Bruxelles, metropolitana compresa, con tanto di manifestazione del Black Lives Matter a fare prima da sfondo e diventare poi parte concreta dell'ingranaggio, è un lungo inseguimento tra persone con le spalle al muro. E quello di Mady, in una notte che non potrà dimenticare, sarà un vero e proprio percorso di formazione: chiamato a fare uno scatto in avanti come uomo e a compiere scelte, morali e di cuore, delle quali accettare le inevitabili conseguenze.

VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Bound in Heaven

  • Drammatico
  • Cina
  • durata 105'

Titolo originale Kun Bang Shang Tian Tang

Regia di Xin Huo

Con Ni Ni, You Zhou, Fan Liao

Bound in Heaven

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Yo viene arrestata nel 2012: furto di medicinali e occultamento sono le accuse. Afferma di aver fatto tutto per Tai, con il quale è stata per un anno e mezzo.
Bound in Heaven inizia dalla fine.
Poi parte il racconto di una travolgente storia nella quale amore e morte viaggiano in parallelo, perché se l'amore ne è il nucleo, la morte è l'orizzonte chiaro verso cui lui veleggia senza possibilità di scampo.
L'incontro avviene, fortuito, a Shangai nel novembre 2010, in occasione di un concerto di Faye Wong, l'attrice di Hong Kong Express e 2046 di Wong Kar-wai, che qui canta ma non si vede mai: lei non ha il biglietto, lui la porta in un punto dove attraverso un vetro si può spiare lo spettacolo; e la passione scoppia subito: fanno l'amore dove possono e stanno insieme per un po', poi lei sparisce perché il suo compagno violento, da cui scappa costantemente, è riuscito a ritrovarla.

Si riprendono l'estate successiva a Wuhan, e galeotto è di nuovo un concerto di Faye Wong. Stavolta per non lasciarsi più, almeno fino a quando a separarli non sarà la morte. Perché Yo quella passione ha deciso di viverla fino in fondo, lasciando anche un lavoro sicuro; e quando Tai le si trova davanti a vomitare sangue, è costretto a rivelarle che un cancro allo stomaco lo sta uccidendo, mettendo in chiaro che mai intende entrare in un ospedale, mai si metterà nelle mani di qualcuno: quando la morte arriva, arriva, l'importante è vivere ogni momento come se fosse l'ultimo. Il loro amore fondato sul piacere diventa un patto di alleanza (per la morte e) per la vita: «Ovunque tu vada quando io morirò, la mia vita è tua, devi vivere per due».
Sempre più indissolubili, Yo e Tai sul finire del 2011 si spostano ancora, stavolta a Chongqing, con la salute di lui sempre più cagionevole ma la possibilità di far finire tutto, romanticamente, come era iniziato: all'ennesimo concerto della loro cantante preferita.

Bound In Heaven è la storia di un amore totalizzante tra due individui che si trovano dentro la forza per riprogrammare la formula delle proprie solitudini: lei sfuggendo ad un picchiatore sadico, lui alla propria aspirazione a non avere nessuno a cui dire addio; in barba alle differenze di status sociale, vivono insieme un sogno, sapendo che potrebbe durare poco o pochissimo, ma lo fanno con una intensità che lo rende eterno.
Xin Huo, sceneggiatrice di lungo corso che esordisce dietro la macchina da presa, adatta il romanzo di Xiuwen Li con un'intensità che trasuda un sincero trasporto per i due personaggi principali, realizzando un'opera affascinante e a suo modo estrema che per i temi trattati (amore, sesso, violenza, morte, dedizione reciproca) non avrebbe lasciato indifferente Koji Wakamatsu.

VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Ciao bambino

  • Drammatico
  • Italia
  • durata 109'

Regia di Edgardo Pistone

Con Marco Adamo, Anastasia Kaletchuk

Ciao bambino

Uscita in Italia: 23 gen 2025

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - FREESTYLE

C'è chi eredita proprietà e chi eredita soldi, e c'è chi eredita guai. Attilio ha ereditato guai: i guai del padre, che appena uscito di prigione ha Vittorio che lo viene a cercare, al quale deve tanti soldi e dal quale scappa. Vittorio dice chiaro ad Attilio che se il padre non lo fa, il debito dovrà saldarlo lui. E mentre l'adulto fugge alle responsabilità scappando da una sorella a Ischia, il ragazzo resta nel rione Traiano di Napoli, a portare avanti la vita che s'è trovato da sempre. La frequentazione con Martinelli, un delinquente del posto al quale di tanto in tanto porta, in cambio di soldi, orologi o braccialetti rubati con i suoi amici, lo porta ad avere da questi un incarico: un incarico che ha l'aria fatalista e la giovinezza di Anastasia, una ragazza che viene dall'est per lavorare per strada, e che lui dovrà proteggere e sorvegliare. Salvo innamorarsene, senza però poterlo rivelare.

A 17 anni, si ha l'età nella quale si può iniziare a pensare a cosa si farà da grandi. Oppure le cose possono andare molto più in fretta, e padri scapestrati possono lasciare in balia degli eventi figli costretti a diventarlo prima del tempo, e a prendere decisioni accelerando il proprio processo di maturazione e pagandone poi le conseguenze. Di questo parla Ciao Bambino, primo lungometraggio di Edgardo Pistone, che ambienta nel quartiere dove è nato e cresciuto, mettendoci tanto del proprio vissuto.
Il regista parte dalla descrizione del contesto di degrado sociale prima ancora che urbano nel quale si svolgono gli eventi, e che porta Attilio ad accettare il ruolo di protettore prendendolo come qualcosa di fisiologicamente in linea con la propria esperienza. Senza però arenarsi tra i cliché di un cinema del disagio che può diventare ricattatorio, porta l'attenzione in maniera sempre più massiccia su una storia d'amore improbabile, da vivere come una sorta di bolla poetica e malinconica per evadere da una realtà ben più avara di emozioni. Attilio prova a credere in una vita felice, sicuramente anche la sua altrove, ma il senso di responsabilità da cui il padre è fuggito continua a chiamarlo, sotto la forma di quell'eredità di guai alla quale prima o poi dovrà rispondere.

Girato in un bianco e nero che ha in sé qualcosa di onirico e sfuggente, quasi a voler portare il racconto fuori dal tempo, o a voler creare un angolo privato e segreto nel quale i sogni si possano avverare, Ciao Bambino si concentra sull'incontro di due individui che, una volta riconosciute le affinità nelle proprie solitudini, provano ad amarsi. Almeno fino a che la realtà non torni a ristabilire le gerarchie.
Romantico, struggente e spietato, l'esordio di Edgardo Pistone è un gran bel pezzo di cinema. Italiano, per giunta. Chapeaux.
VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

The Substance

  • Horror
  • USA
  • durata 140'

Titolo originale The Substance

Regia di Coralie Fargeat

Con Demi Moore, Margaret Qualley, Dennis Quaid, Oscar Lesage, Joseph Balderrama, Gore Abrams

The Substance

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - BEST OF 2024

The Substance parte dall'immagine di un uovo crudo aperto su una tavola: tramite una siringa viene iniettato nel tuorlo un liquido tra il giallo evidenziatore e il verde, e di lì a poco, dal corpo del tuorlo vecchio ne esce uno visibilmente più giovane e fresco, che gli si affianca.

Dopo lo stacco, c'è Elisabeth Sparkle (Demi Moore), che nel giorno dei suoi 50 anni sta finendo di condurre quella che ancora non sa essere l'ultima puntata del suo programma tv di aerobica: una sortita al bagno degli uomini le permette di assistere furtivamente alla telefonata con la quale il disgustoso produttore Harvey (Dennis Quaid) incalza i suoi affinché trovino qualcuna più giovane e fresca che la sostituisca; dopo esserselo fatto dire anche in faccia, si distrae alla guida smadonnando per aver visto un attacchino tirar via la sua faccia da un manifesto pubblicitario: segue incidente frontale, quindi ospedale, dove il medico loda la sua pelle dura che le ha permesso di uscire illesa, mentre l'infermiere giovanissimo e belloccio, dopo averle tastato curiosamente un paio di vertebre, le mette di soppiatto in tasca un bigliettino che recita "It changed my life" ("Mi ha cambiato la vita") e una pennetta che, con numero di telefono annesso, contiene un video che pubblicizza la Sostanza che nell'incipit faceva sdoppiare il tuorlo d'uovo, la quale, agendo sul DNA, serve a creare una nuova versione dell'ospite più giovane e bella.

Ormai sempre più frustrata da messaggi d'auguri che la celebrano al passato e da prove sempre più evidenti del fatto che quel compleanno equivale alla sua data di scadenza, Elizabeth compone il numero, acquista il kit, e con una punturina genera Sue (Margaret Qualley), una nuova procace Sé circa ventenne. Con una sola regola da rispettare, quella del tempo, da dividere in parti uguali: una settimana esatta per ciascun corpo, senza eccezioni; e un concetto elementare da mandare a memoria come una nenia: "Remember You Are One". Ricordati che sei Una.

Per seguire The Substance e goderselo bisogna chiaramente stare al gioco, e il gioco innestato dall'idea di Coralie Fargeat (che scrive e dirige), nella sua assurdità, ha un'evoluzione plausibile che ne rende godibili gli sviluppi. Il successo della nuova Sue va di pari passo con il decadimento della vecchia Elisabeth, e i tentativi di abitare la nuova più della vecchia 'rubandole' tempo porterà danni irreparabili in fatto di deformità fisica: di questo si accorgerà sulla pelle di Elisabeth dopo aver azzardato con Sue quelle eccezioni che le erano state dichiaratamente vietate.
Sempre più divisa schizofrenicamente tra un corpo e l'altro, tra una carriera in decollo e una al tracollo, Elisabeth inizia a odiare Sue, che a sua volta la sfrutta, senza che più ci sia la lucidità per comprendere essere due Momenti temporali diversi della stessa essenza.
Questo equilibrio malsano si protrae fino a circa una mezzoretta dalla fine, quando l'utilizzo della siringa con dentro la Sostanza deputata alla soppressione avrebbe potuto portare ai titoli di coda con già un'ampia soddisfazione per lo spettatore.

Invece, The Substance consta in una abbondante mezzora di troppo, una mezzora parossistica e granguignolesca che va al di là di ogni logica e durante la quale succede di tutto.
Eppure, a conti fatti, quella mezzora è la parte migliore del film! È l'apoteosi dell'eccesso in faccia ad ogni tentativo di standardizzazione della bellezza, è uno sberleffo splatter contro bilance, siliconi e botulini, un delirante calcio in bocca alla società dell'apparire, una folle e sguaiata provocazione contro un sistema che, conformando, uccide.

VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Piccole cose come queste

  • Drammatico
  • USA, Irlanda, Belgio
  • durata 96'

Titolo originale Small Things Like These

Regia di Tim Mielants

Con Cillian Murphy, Ciarán Hinds, Emily Watson, Ian O'Reilly, Ella Cannon

Piccole cose come queste

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - BEST OF 2024

Le campane risuonano prima ancora dell'alba, mentre per strada ci sono soltanto i corvi. E appena il sole si leva, entra in azione Bill Furlong (Cillian Murphy), con la sua ditta che lavora il carbone servendo tutta la zona. Pranza sempre nella tavola calda gestita da Kehoe, poi la sera torna a casa, dalla moglie Eileen e dalle loro cinque figlie. Lui che un papà non lo ha avuto ed è stato un ragazzino bullizzato, quindi chiuso e introverso, in quella casa si mette quasi in disparte, silenzioso e meditabondo. È l'Irlanda di metà anni '80 ed è dicembre inoltrato, e mentre le figlie mandano lettere a Babbo Natale e la moglie gli chiede delle scarpe da intonare alla borsa, lui ricorda il David Copperfield di Dickens che voleva ma non ricevette mai.
La malinconia e il senso di solitudine del protagonista vengono alimentate, divenendo pura inquietudine, quando inizia ad incrociare sulla sua strada la giovane Sarah: in una prima occasione la osserva da lontano mentre la madre la trascina contro la sua volontà in un istituto di suore, successivamente, quando vi si introduce per una questione di lavoro, se la trova che, disperata, sfugge allo straccio che deve passare a terra per andare a pregarlo di farla uscire di lì.

Il convento in questione, altro non è che una delle migliaia di "Case Magdalene" nelle quali fino alla fine degli anni '90 ragazze madri venivano private dei loro figli, sfruttate come lavoratrici e maltrattate in attesa del pentimento e dell'eventuale riabilitazione. Il film di Tim Mielant non è interessato a mostrare le punizioni corporali, piuttosto si concentra su come il potere che l'istituto, nelle persone delle sue reggenti, esercita sulla comunità, sia da questa accettato e liquidato con una collettiva scrollata di spalle. Le domande che Bill inizia a porsi su quella ragazza, che le ricorda sua madre, le riflessioni che di conseguenza fa sul figlio destinato all'orfanotrofio, che poteva essere lui se fosse stato un po' meno fortunato, lo portano a sfidare l'ignavia che lo circonda, in risposta ad un quesito morale che sente troppo vicino per anche solo ipotizzare di girarsi dall'altra parte.

Small Things Like These non urla, non strepita, né pontifica, ma lavora sotto pelle e, uniformando il grigiore dell'inverno piovoso irlandese allo stato d'animo e ai patimenti del protagonista, vuole funzionare da monito rispetto ai danni gravissimi che può portare, ad ogni livello, l'indifferenza. Il combinato disposto delle minacce velate ricevute da parte della madre superiora Suor Mary (una gelida Emily Watson) e del consiglio di farsi gli affari propri arrivato dalla moglie e dell'amica Kehoe, è un crescendo di tensione dai contorni agghiaccianti, possibile grazie alla scrittura sensibile di Enda Walsh (che adatta un romanzo di Claire Keegan) e alla regia calibrata di Tim Milant, che non eccedono con le parole ma danno voce alle immagini, alle atmosfere, e soprattutto alla sofferenza che si nasconde dietro gli occhi di ghiaccio di Cillian Murphy, autore di una prova attoriale notevole, contraddistinta da profondità ed empatia.

VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

They Will Be Dust

  • Drammatico
  • Spagna, Italia, Svizzera
  • durata 106'

Titolo originale Polvo serán

Regia di Carlos Marques-Marcet

Con Angela Molina, Alfredo Castro, Manuela Biedermann, Oriol Genís, Mònica Almirall

They Will Be Dust

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Lo stereo di casa sta sparando a tutto volume la voce di Maria Callas, quando un urlo incontrollato la copre, o peggio, la accompagna in una sorta di controcanto disperato; Claudia, attrice e danzatrice, ha appena ricevuto la ferale notizia del tumore che la sta portando via, e ad accompagnarlo non faticano a farsi attendere sintomi inquietanti ed inevitabili: perdita della sensibilità, emiparesi temporanee, bruschi cali del visus.
A dargli forza, come sempre, è suo marito Flavio, che prova a tirarla su con battute all'altezza del proprio cinismo.
Ma la sua intenzione è non solo sostenerla, ma proprio accompagnarla, nel senso più completo del termine.
Perché Claudia non vuole aspettare che la malattia la eroda da dentro rendendola un guscio vuoto e privo di volontà e vigore alcuno, anzi per evitarlo vuole andare in Svizzera, in una clinica dove si pratica il suicidio assistito, e darsi la morte consapevolmente; e Flavio, che è stato il suo regista oltre che il compagno e non solo la ama, ma ha condiviso con lei tutti i momenti importanti sia sotto il profilo umano che sotto quello artistico, non riesce a concepire l'idea di proseguire senza averla al fianco, quindi l'accompagnerà per fare con lei anche l'ultimo passo.
«Ce ne andremo insieme, o non se ne va nessuno!», sentenzia lui, in quella che sembra una minaccia ma in realtà è la più pura delle promesse, una dichiarazione di amore eterno. Eterno perché capace di superare la vita e perpetrarsi anche nella morte.

Carlos Marqués-Marcet dirige e sceneggia un film romantico e toccante che parte dalla legittimità, la dignità e la difficoltà della più estrema scelta che un essere umano possa essere chiamato a prendere, allarga l'orizzonte dalla figura del malato a quella del suo affetto più grande, e osserva l'effetto domino che coinvolge inevitabilmente gli altri affetti più prossimi (i figli), costretti a cercare la strada che li porti a superare la doppia perdita. Tutto questo carico di emozioni è servito da Marqués-Marcet attraverso un ricorso sorprendente efficace alla musica e alla danza: i suoi personaggi cantano e ballano sul bus e nel parco, in casa e all'obitorio, con testi e musiche importanti (di Maria Arnal) e coreografie nervose (di Marcos Morau e La Veronal) che ne trasmettono le emozioni e partecipano ad ingenerare quesiti che corrono sottopelle: sulla maniera in cui si reagisce alla morte, e sulla sopravvivenza alla stessa dell'amore.

Tutto è funzionale, dunque, in un racconto che non rischia mai di scadere nel patetico, anzi conserva per tutto il suo corso una leggerezza quasi paradossale, visto il tema. Merito, inevitabilmente, anche di una compagnia di attori affiatati e in gran spolvero: non solo l'energica Ángela Molina e il meditabondo Alfredo Castro, che rendono immediatamente credibile un amore che è devozione totale e sostentamento reciproco, ma anche Mònica Almirall Batet, brava nel restituire i tormenti di Violeta, la figlia minore, l'unica rimasta a casa con loro e restia ad accettare una decisione che non può cambiare.
Polvo serán.
Saranno polvere.
VOTO: ****

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Greedy People

  • Giallo
  • USA

Titolo originale Greedy People

Regia di Potsy Ponciroli

Con Lily James, Joseph Gordon-Levitt, Himesh Patel, Traci Lords, Tim Blake Nelson

Greedy People

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Will (Himesh Pstel) si è trasferito da appena tre giorni, insieme alla moglie Paige (Lily James) in dolce attesa, quando prende per la prima volta servizio al comando di polizia di Providence. Viene affiancato a Terry (Joseph Gordon-Levitt), che standoci da sedici anni conosce il posto a menadito, tanto da dargli anche i tre comandamenti osservando i quali avrà la garanzia di tirare avanti tranquillo: non ammazzare nessuno, non fare arrabbiare il capo, e trovarsi un hobby per avere qualcosa da fare mentre batte la fiacca, visto che non succede mai niente. Il suo hobby, ad esempio, è imparare il mandarino, per comunicare meglio con la casalinga cinese con cui se la spassa quando il marito è fuori.

Lasciato solo in macchina dal collega, cui urge una veloce sessione di spasso, Will la combina subito grossa venendo meno proprio al primo comandamento: per un equivoco si introduce armato in un appartamento credendo di dover sventare una rapina, ma si trova aggredito dalla padrona di casa, che in seguito a una breve e goffa colluttazione ci lascia le penne. Quando Terry ha finito di fare i suoi porci comodi e lo raggiunge sul posto, la frittata è già stata fatta. E mentre sono lì a interrogarsi su cosa inventare per non finire entrambi nei guai (uno per omicidio, l'altro perché scopava in servizio), inciampano in una cesta con dentro un milione di dollari in contanti: ignari del motivo per cui siano lì, li fanno sparire, accordandosi per spartirseli quando le acque si saranno quietate, e intanto preparano il campo per inscenare una rapina finita a schifiu.

Il titolo Greedy People, "Gente Avida", che appare proprio alla fine di questo lunghissimo incipit, stagliandosi impietosamente e a caratteri cubitali sotto le facce dei due poliziotti una volta finita la disposizione farlocca degli oggetti nella scena del crimine, restituisce chiaramente il tono del racconto, che è quello di uno humour nero, grottesco, caustico e canzonatorio. L'avidità, peraltro, è il tema portante del film tutto, il filo rosso che accomuna quasi i personaggi che entrano man mano in scena.
Attorno a quel milione di dollari ruota una fauna non indifferente di fenomeni: dal marito della vittima, un facoltoso imprenditore del pesce che si finge disperato ma in realtà è pronto a partirsene con l'amante, al massaggiatore della stessa, un mammone impenitente che si recava dalla donna a fare l'uomo oggetto, fino al colombiano e all'irlandese, i due sicari di zona, che si fanno apertamente concorrenza.

Popolato da personaggi al limite che si ficcano in situazioni assurde, Greedy People ha un chiaro debito con i fratelli Coen, nei toni e nei temi, ma il marchingegno funziona, è oliato, e il lavoro per nulla scolastico, anzi la sceneggiatura che sposta l'azione avanti e indietro assommando dettagli e mutando prospettive regge, portando questa thriller comedy a termine dopo aver divertito e senza mai aver patito momenti di stanca.
VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

L'orchestra stonata

  • Commedia
  • Francia
  • durata 103'

Titolo originale En fanfare

Regia di Emmanuel Courcol

Con Benjamin Lavernhe, Pierre Lottin, Ludmila Mikael, Jacques Bonnaffé, Sarah Suco

L'orchestra stonata

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - BEST OF 2024

Direttore d'orchestra di chiara fama di casa a Parigi, in seguito ad un malore durante una sessione di prove, Thibaut si trova costretto a indagare sulla propria salute, finendo per dover allargare il campo anche al proprio passato. La leucemia che gli viene diagnosticata, infatti, lo porta a cercare tra i parenti diretti chi possa donargli il midollo, e a scoprire che colei che da sempre chiama sorella ha un DNA totalmente diverso dal suo; chiesto conto del fatto alla madre, viene a sapere di esser stato in realtà adottato e di avere un fratello carnale, che tosto rintraccia nel nord della Francia: si chiama Jimmy, lavora in una mensa scolastica, e vive a sua volta con una madre adottiva, lui però consapevolmente.

La malattia, in En Fanfare, è un punto di partenza ma non il fulcro del racconto: al centro della scena, ben presto, si colloca il rapporto tra questi due fratelli, diversi in molto, prima di tutto nel tenore di vita a causa di un bizzarro scherzo del destino, ma anche in qualche modo simili. Jimmy, infatti, suona la tromba nella banda del paese: lo fa dopo esser stato travolto da quella di Miles Davis, per la precisione da un si bemolle che ancora gli risuona in testa.
Quella per la musica è una passione che i due condividono, ed è il mezzo attraverso il quale Thibaut si tiene agganciato a Jimmy anche dopo aver ricevuto il midollo che può dargli la sopravvivenza: perché, oltre a sentirsi in debito, gli riconosce un talento simile al proprio, e si sente in dovere di incoraggiarlo affinché lo coltivi, consapevole (e intimamente sentendosene colpevole) di aver avuto a propria disposizione mezzi economici ben maggiori.

Emmanuel Courcol dirige e scrive (con Irène Muscari) un racconto equilibrato, leggero e divertente, che bascula abilmente tra il dramma e la commedia (anche sociale) senza ripetersi né stancare, ben coadiuvato dalle prove dei due interpreti principali (Benjamin Lavernhe e Pierre Lottin), e contrappuntato da una colonna sonora inevitabilmente poderosa, che spazia da Lee Morgan a Charles Aznavour passando per tanta classica, con il Bolero di Ravel, una volta in più, a farla da padrone e a lasciare il segno in un finale davvero emozionante.
VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Beloved Tropic

  • Drammatico
  • Panamá, Colombia
  • durata 108'

Titolo originale Querido Trópico

Regia di Ana Endara Mislov

Con Paulina Garcia, Jenny Navarrette, Juliette Roy

Beloved Tropic

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

A Panama City, l'immigrata colombiana Ana Maria, con una lunga esperienza nella gestione degli anziani, viene contattata da una donna che ha bisogno di qualcuno che stia con sua madre Mercedes, che sta perdendo colpi sia dal punto cognitivo - preda di tanto in tanto di fasi di confusione - sia da quello fisico, per via di una caviglia ballerina che tende a mandarla al tappeto. Ana Maria, che appare in stato di gravidanza ma non ha un partner, ha difficoltà ad ottenere i documenti di cittadinanza, quindi nell'accettare la proposta chiede a sua volta, in tal senso un aiuto che un lavoro stabile gli dovrebbe dare. Dopo le prime difficoltà dovute alla diffidenza dell'anziana, restia ad ammettere a sé stessa il venir meno della propria autosufficienza, la ragazza riesce gradualmente ad infiltrarsi tra le maglie della sua resistenza, e la scoperta, da parte dell'altra, di un segreto che lei celava sin dal loro primo incontro, diventa un motivo in più per cementare il rapporto.

Querido Trópico è l'esordio nel lungometraggio della regista panamense Ana Endara, che viene dal documentario e lo mostra attraverso la perizia con cui cattura i dettagli delle piante e degli insetti che popolano il giardino tropicale in cui l'azione è ambientata.
La storia è di quelle 'minime', tutta incentrata sui piccoli spostamenti quotidiani all'interno di un rapporto da costruire e non scontato tra due donne appartenenti a due emisferi socio-culturali opposti: una a capo di una famiglia numerosa e appartenente all'alta borghesia, l'altra povera e sola, senza nessuno ad aspettarla altrove, in un paese straniero che ancora non l'ha accettata perché mal tollera una donna non sposata e senza prole. Ad intervenire, in maniera determinante, all'interno di questo squilibrio, è il riconoscimento reciproco di un bisogno, con da un lato la consapevolezza di non saper più badare a sé stessi, e dall'altro lo sblocco emotivo cagionato dall'avvertirsi accolta nei propri difetti o mancanze. Il legame che si forma tra le due donne, difficile da ipotizzare in partenza, è qualcosa che ha a che fare con l'amicizia, con l'affidamento reciproco, con la comprensione.
Delicato e toccante.

VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Libre

  • Thriller
  • Francia
  • durata 109'

Titolo originale Libre

Regia di Mélanie Laurent

Con Mélanie Laurent, Lucas Bravo, Yvan Attal, Steve Tientcheu, David Ayala

Libre

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FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - GRAND PUBLIC

Libre racconta la storia di Bruno Sulak, che fu un ladro gentiluomo, un Arsenio Lupin degli anni '80, con una carriera iniziata con le rapine alle banche e poi consolidata con quelle alle gioiellerie, e suggellata da qualche spettacolare evasione.
L'attrice e regista Mélanie Laurent dice di esser venuta a conoscienza di questa figura tramite la lettura, dieci anni addietro, del libro Sulak di Philippe Jaenada: innamorandosi della tensione alla libertà che dallo stesso emanava, si è domandata come fosse possibile che, a fronte di altri rimasti nella storia, il profilo singolare di questo criminale romantico e non violento fosse finito nell'oblio. Inserendo, tra i titoli di testa, una didascalia nella quale precisa di essersi solamente "ispirata" alla sua vita, afferma implicitamente di averla romanzata, lavorando su ricordi ed atmosfere rimaste scolpite nella memoria grazie a quella lettura, senza per questo rinunciare a documentarsi sull'uomo, prima di tutto facendosi aiutare dal commissario Georges Moréas (cui Yvan Attal presta il proprio volto dall'aria stralunata), che fu capo dell'anticrimine di Parigi in quegli anni e a Sulak diede realmente la caccia, sviluppando con lui un singolare rapporto inprontato al rispetto reciproco.

L'esito di questo lavoro è un noir vivo e avvincente, che - passando da Yvan Attal, che presta il proprio volto dall'aria stralunata e sorniona al commissario Moréas - punta forte sul magnetismo del protagonista Lucas Bravo, il quale dona a Bruno un fascino enigmatico e sfuggente, e sulla chimica che si innesca tra lui e l'esordiente Lea Luce Busato, proveniente dal teatro e con tutte le carte in regola per bucare il grande schermo, splendida nel ruolo della sua compagna e compare, donna volitiva e lontana dallo stereotipo.
Laurent accompagna le peripezie del duo facendo ampio uso di camera a mano ed affidando il ritmo alle musiche originali di Sébastien Tellier, che vanno ad arricchire una colonna sonora corposa che pesca prevalentemente dal synth/pop/rock anni '80 (Yazoo, Sparks).
VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Nickel Boys

  • Drammatico
  • USA
  • durata 140'

Titolo originale The Nickel Boys

Regia di RaMell Ross

Con Aunjanue Ellis-Taylor, Hamish Linklater, Sunny Mabrey, Fred Hechinger, Luke Tennie

Nickel Boys

ALICE NELLA CITTÀ 2024 - FILM DI APERTURA

Nel 1962, nel profondo sud statunitense delle leggi Jim Crow, Elwood Curtis è uno studente modello che, incoraggiato dal prof del liceo, nero come lui e come lui attento alle emergenti lotte per i diritti civili, ambisce ad entrare al Melvin Griggs, un college costoso al quale può avere accesso gratuitamente in virtù dei suoi voti alti. Nel percorso che lo conduce a visitare l'istituto per la prima volta, però, un passaggio in autostop dalla persona sbagliata gli cambia la vita: arrestato insieme al guidatore perché a bordo della Chevrolet Impala celeste che questi ha appena rubato, viene considerato complice, e dunque spedito alla Nickel Academy, un malfamato riformatorio nel quale subito viene inserito nella classe dei neri, e dove gli viene spiegato che - se non vuole complicarsi (ulteriormente) la vita - deve obbedire, rigare dritto, e lavorare dalla mattina alla sera.

La Nickel Accademy del film - e prima ancora del romanzo premio Pulitzer The Nickel Boys di Colson Whitehead, da cui è tratto - altro non è che l'Arthur G. Dozier School for Boys a Marianna, un riformatorio sito vicino Tallahassee in Florida, e chiuso solamente nel 2011, intorno al quale centinaia di uomini hanno raccontato storie vecchie di decenni riguardanti abusi di ogni tipo, mentre un'indagine ulteriore ha rilevato la morte di oltre cento ragazzi, molti dei quali seppelliti in buche anonime.

RaMell Ross (già fotografo, visual artist, scrittore e documentarista) dirige mettendo in chiaro già dalla prima inquadratura, nella quale sdraiato a terra guarda un'arancia che pende dall'albero, che il punto di vista scelto sono gli occhi stessi del protagonista, tanto che - per oltre mezzora - il suo volto si vede solamente come risultato di uno scatto da una cabina per fototessere. A mutare parzialmente la prospettiva, o meglio a completarla, è l'ingresso in scena - dopo questa prima mezzora abbondante - di quello che all'interno del riformatorio diviene il suo unico vero amico e confidente, e che il regista elegge a secondo soggetto a cui affidare alternativamente il punto di vista: Jack Turner; nel suo pessimismo pragmatico, che fa da contraltare all'ottimismo da sognatore di Elwood, RaMell Ross vede l'altra faccia di una stessa medaglia: i due viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda, si aiutano e si sostengono, scambiandosi la concretezza con il coraggio, donandosi reciprocamente esperienze di vita, arricchendosi e crescendo insieme con l'obiettivo comune di sopravvivere all'inferno.

Nel passare da una soggettiva all'altra, il regista riproduce un intimo rispecchiamento tra opposti che si attraggono, e cala l'amicizia sincera tra due vittime nel contesto paradossale di un mondo nel quale l'umanità inizia a circumnavigare la luna ma non si toglie il vizio di disumanizzare sé stessa, con una violenza che è ben presente nei fatti e inscalfibile nei pensieri, e che sa far paura seppur in massima parte trattenuta, astratta o evocata da immagini sgranate o filmati d'archivio.

VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

About Luis

  • Drammatico
  • Germania
  • durata 97'

Titolo originale Es geht um Luis

Regia di Lucia Chiarla

Con Max Riemelt, Natalia Rudziewicz

About Luis

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Jens fa il tassista, e lavora ad ogni ora, principalmente di notte: non per diletto, ma perché la crisi economica, unita alle nuove app che permettono a chiunque di fare lo stesso lavoro senza pagare le tasse, hanno messo l'intera categoria in seria difficoltà; sua moglie Costanze è architetto, ma ha un lavoro precario ed è costretta ad accettare incarichi all'ultimo minuto pur di portare a casa uno stipendio decente. Insieme, arrivano con fatica a far quadrare i conti alla fine del mese; ma il loro mondo collasserebbe se non intervenisse la madre di lei, che spesso e volentieri la sera fa le loro veci in casa e sta con Luis, il figlio in età scolare. Quando la scuola del ragazzino li contatta per avvisarli che sta diventando vittima dei bulli per via del suo zaino violetto con su un unicorno decorato di strass, consigliando loro di comprargliene uno diverso, la cosa diventa motivo di discussione. E mentre loro si confrontano su ogni singolo passo da fare, la situazione del ragazzino diviene sempre più precaria.

Come recita il titolo stesso, About Luis ha come oggetto del proprio racconto il bambino, che però non viene mai mostrato, al massimo se ne ode la voce al telefono, o mentre lo si immagina declamare i versi che ha scritto su un quaderno, nei quali denuncia il proprio smarrimento. Lucia Chiarla, regista italiana di casa in Germania, parte dal testo teatrale El pequeño poni, di Paco Bezerra, ma gira il film totalmente in esterno, senza mai metter piede all'interno della casa, la cui soglia il padre non varca mai. È il suo taxi, infatti, il fulcro dell'azione, ed è lì che lui si incontra con la moglie per parlare, per discutere, per organizzare supposte uscite fuori porta destinate ad essere abortite sul nascere, anche per scambiarsi qualche tenerezza.

Nella forzatura di questa scelta di sceneggiatura sta il tentativo, alfine riuscito, di restituire il disagio della coppia a barcamenarsi in una società nella quale tutto va fatto di corsa pena il fallimento; che è la stessa società che incoraggia a fregare il prossimo, o altrimenti a fare la faccia brutta nei confronti del furbo di turno, che solitamente la fa franca. In un mondo nel quale il bullismo è riconosciuto come la strada maestra sotto la forma della legge del più forte, il ragazzino rimane sullo sfondo, messo in un angolo da un sistema scolastico che non lo sa proteggere, a pagare lo stallo dei genitori, che si interrogano sul da farsi senza riuscire ad essere fisicamente presenti perché sotto il ricatto di una condizione lavorativa instabile che li pone quotidianamente sulla graticola.

Lontana dal voler fornire risposte facili, la regista osserva i due adulti porsi su due sponde diverse in un conflitto di valori, con questioni private e minime che finiscono per andare a toccare le regole basilari della convivenza civile. È giusto cedere al ricatto del più forte e costringere Luis a cambiare zaino? Fino a che limite è il caso di tenere il punto e incoraggiarlo a difendere il proprio diritto all'autodeterminazione? Gli adulti di oggi sanno distinguere un'ingiustizia da un capriccio? È possibile, nella società contemporanea, mantenere una posizione eticamente corretta su questioni di principio senza finire additati o emarginati?
Segue dibattito.
VOTO: ***½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Berlinguer - La grande ambizione

  • Biografico
  • Italia
  • durata 122'

Regia di Andrea Segre

Con Elio Germano, Paolo Pierobon, Roberto Citran

Berlinguer - La grande ambizione

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA - FILM D'APERTURA

«Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione, che è invece indissolubile dal bene collettivo».
Questa citazione di Antonio Gramsci apre il film con il quale il regista Andrea Segre ha voluto colmare un vuoto, ovvero raccontare la fase più importante del cammino politico del segretario più amato che il PCI abbia mai avuto: Enrico Berlinguer, che nel corso degli anni '70 portò il PCI ad esser considerato il partito comunista più importante d'occidente, giungendo ad un passo dal portare il "socialismo nella democrazia", come diceva citando egli stesso Togliatti.
Senza voler realizzare un biopic, Segre sceglie di concentrarsi sugli anni più importanti di quel percorso, prendendo come momento di inizio il colpo di stato in Cile dell'11 settembre 1973, che lo indusse a scrivere la lettera in cui teorizzava la "via democratica al socialismo", per poi concentrarsi sull'intenso biennio 75-76 e culminare nel 1978, quando il compromesso storico fu affossato ad un passo dal realizzarsi con il sequestro e l'uccisione dell'altro protagonista dello stesso, ovvero Aldo Moro, presidente della DC.

Segre punta forte su un Elio Germano bravissimo nel rendere il senso di inadeguatezza e il peso della responsabilità (per dirla con le parole dell'attore stesso) che gravavano sul Berlinguer politico mantenendolo uomo, e sceneggia con Marco Pettenello inserendo qualche intermezzo familiare volto a mostrare quanto vita politica e privata fossero per lui per lo più coincidenti; sotto il profilo storico è invece evidente l'attenzione a non forzare la mano in nessuna direzione, a non sbilanciarsi: ne sortisce un'opera filologicamente corretta ma misurata al punto di passare per fredda, sicuramente utile per raccontare in maniera pulita quel quinquennio nelle scuole, ma difficilmente destinata a rimanere negli occhi o nel cuore.
VOTO: ***

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Non dirmi che hai paura

  • Biografico
  • Germania, Italia
  • durata 96'

Titolo originale Samia - Little dreamer

Regia di Yasemin Samdereli

Con llham Mohamed Osman, Fathia Mohamed Absie, Fatah Ghedi, Elmi Rashid Elmi, Waris Dirie

Non dirmi che hai paura

ALICE NELLA CITTÀ 2024 - CONCORSO

Samia Yusuf Omar nasce all'inizio degli anni '90 in una Somalia disgregata dalla guerra civile, e cresce vivendo la progressiva erosione delle libertà più elementari in corrispondenza con la diffusione sempre più massiccia del pensiero fondamentalista. Già a nove anni non vuole mettere il velo perché le crea intralcio nella corsa: è già a quell'età, infatti, che capisce che correre è l'unica cosa che le interessa fare, con il padre che la incoraggia a tenere il punto contro chi la prende di petto perché fa cose che non si addicono ad una femmina, e il migliore amico Ali, suo coetaneo, che dopo aver patito le umiliazioni dei suoi sorpassi ne ha accettato la superiorità, proponendosi come suo allenatore e condividendo con lei il sogno di vederla un giorno diventare la più veloce di tutte.

Non dirmi che hai paura è diretto da Yasemin Samdereli (con la collaborazione di Deka Mohamed Osman) partendo dal romanzo di Giuseppe Catozzella e dunque dalla storia, vera, di Samia, che a 17 anni rappresentò il suo paese correndo i 200 metri alle olimpiadi di Pechino 2008, arrivando ultima ma affascinando il mondo per il coraggio che mostrò gareggiando senza coprire il volto in aperta sfida agli integralisti di Al-Shabaab, e che quattro anni più tardi - con l'obiettivo di vincere Londra 2012 - come culmine di una fuga interminabile da una Somalia sempre più ostile, fu inghiottita dal Mar Mediterraneo mentre tentava di attraversarlo in un barcone che stava a malapena a galla, come tanti - troppi - altri prima e dopo di lei.

Il resoconto filmato della vita a ostacoli di questa giovane e sfortunata eroina moderna riesce però solo a metà, vittima di una scrittura sfilacciata e poco equilibrata, che è tanto attenta e scrupolosa nel dettagliare gli eventi che precedono Pechino, quanto è frettolosa nel tirar via quel che viene dopo, compreso un viaggio della speranza durato quasi due anni ma sminuzzato e sparso, su e giù per il racconto in dosi piccole e scarne, per poi essere ripreso e concluso in un finale che, nella sua ineluttabile drammaticità, appare privo di sostanza e depotenziato. Ed è un vero peccato.
VOTO: **½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Pierce

  • Drammatico
  • Singapore, Repubblica di Cina, Polonia
  • durata 109'

Titolo originale Cì xin qiè gu

Regia di Nelicia Low

Con Yu-Ning Tsao, Ning Ding, Hsiu-Fu Liu

Pierce

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - FREESTYLE

Ai Ling frequenta Zuhang, che con lei condivide la mezza età e la perdita del precedente coniuge per un cancro: sta cercando di normalizzare la propria vita e di farsi una nuova famiglia nella quale portare il proprio figlio minore Zijie, con il maggiore, Zihan, da abbandonare al proprio destino, in carcere da sette anni per un omicidio commesso durante una gara di scherma - di cui era stato peraltro tre volte campione nazionale. La verità su questo figlio è il grande segreto che non si sente di rivelare all'uomo, al quale racconta che si è trasferito alla Johns Hopkins University per studiare medicina. Non lo considera più un soggetto recuperabile, e consiglia a Zijie di fare lo stesso, tanto che quando dal carcere la chiamano per informarla che sta uscendo con sei anni di anticipo, si premura di sapere che alloggerà in una fattoria a Pingtung, ben lontana da loro e da Taipei. Zijie, però, ignora i suoi consigli e si adopera per farlo tornare: in fondo è convinto che quell'omicidio sia stato solo un incidente, così come è certo di esser stato - anni addietro - salvato da lui mentre affogava in un fiume, nonostante la versione della madre sia ben diversa.

Schermitrice nella vita prima di diventare regista, la giovane Nelicia Low ha scelto un ambiente sportivo a lei caro per il suo primo lungometraggio. La scherma, e più precisamente la sciabola, è il punto di contatto tra i due fratelli: campione decaduto per ragioni extrasportive il primo, aspirante membro della nazionale il secondo. Il loro rapporto è il fulcro del racconto, che cerca di indagare la fiducia cieca che il minore, solo al mondo, concede al maggiore, laddove la madre stessa lo rifugge e i vecchi compagni di squadra lo definiscono 'pazzo'. E se nelle dinamiche tra i due stanno i momenti migliori del film, identificabili negli scambi maestro/allievo e più complessivamente nello spirito di osservazione che permette al grande di saper tenere il piccolo su un dito perché capace di entrargli dentro come lui stesso non sa fare, tutto il resto latita e non poco, apparendo talvolta ornamentale (i confronti di Zijie con il nuovo compagno della madre), tal altra poco incisivo (la nascente relazione omosessuale di Zijie con un compagno di squadra), se non superfluo o tendente al posticcio (il finale insanguinato con sorpresa).

VOTO: **½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Modi - Tre giorni sulle ali della follia

  • Biografico
  • Gran Bretagna
  • durata 114'

Titolo originale Modi

Regia di Johnny Depp

Con Riccardo Scamarcio, Antonia Desplat, Bruno Gouery, Ryan McParland, Benjamin Lavernhe

Modi - Tre giorni sulle ali della follia

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - GRAND PUBLIC

Meno male che c'è Al Pacino!
È questo il primo pensiero che sorge dopo la visione del secondo film da regista di Johnny Depp, Modi: Three Days on the Wing of Madness, giunto 27 anni dopo il precedente The Brave.
Pacino ha una parte minore anche se il suo personaggio (il collezionista d'arte Maurice Gangnat) è citato più volte, ed è impegnato di fatto in una sola scena, comunque lunga e determinante. Ebbene quella scena, che giunge nella seconda parte del film, segna un profondo scarto sotto il profilo del tono rispetto a tutto ciò che l'ha preceduta.

Magari è una contingenza, o forse un merito assegnato al fuoriclasse quando andrebbe riconosciuto alla sceneggiatura (di Jerzy Kromolowski e Mary Olson-Kromolowski) e/o spostato temporalmente indietro di qualche ulteriore minuto. Fatto sta che il film ha un enorme difetto nel manico, pagato con una prima parte errabonda e inconcludente. A partire dal terribile incipit, che vede l'Amedeo Modigliani interpretato da Riccardo Scamarcio, nella Parigi della Grande Guerra, dare spettacolo nel Café du Dôme facendo prima piedino sotto al tavolo ad una ragazza accompagnata a cui ha appena venduto un ritratto, poi provocando un generale tanto da rispondere alla sua sfida a singolar tenzone brandendo una baguette come se fosse il proprio fallo, finendo ad infrangersi contro una vetrina con tanto di bestemmia (in italiano) abortita, con una mano ferita e la polizia alle calcagna.

Il tono si mantiene prevalentemente farsesco ancora per un bel po', specialmente quando il nostro, braccato dai gendarmi e dalla telecamera di un Johnny Depp che in lui si specchia, si perde in siparietti sconclusionati, caratterizzati da dialoghi surrealmente inascoltabili quando non imbottiti di volgarità gratuite, con i suoi amici Maurice Outrillo e Chaïm Soutine, anche loro parimenti a lui artisti dal talento non ancora riconosciuto, facendosi un filo più serio (ma neanche poi troppo) nelle schermaglie dialettiche con la sua musa, la giornalista e poetessa Beatrice Hastings.

A prevalere, in lungo e in largo, per un'ora abbondante, è una sorta di leggerezza disordinata che fa molto bohémien, ma che dà anche una forte idea di improvvisazione e soprattutto la sensazione di una storia che non sa dove andare a parare per via di un regista che si perde in frizzi e lazzi.
Il tiro, come accennato, viene corretto in corso d'opera, quando con l'arrivo di Pacino si cambia registro e i fronzoli e il turpiloquio gratuito vengono messi da parte per una ultima mezzora abbondante più centrata e drammaticamente compiuta: ma è troppo tardi, e troppo poco, per poter definire questo Modi: Three Days on the Wing of Madness un'operazione riuscita.
VOTO: **½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Sharp Corner

  • Thriller
  • Canada
  • durata 110'

Titolo originale Sharp Corner

Regia di Jason Buxton

Con Cobie Smulders, Ben Foster, Gavin Drea, Alexandra Castillo, Julia Dyan, Jonathan Watton

Sharp Corner

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - GRAND PUBLIC

Josh e Rachel, una coppia felice con carriere lavorative avviate ed un bambino di sei anni da crescere, decidono di trasferirsi dalla città alla campagna, diventando pendolari in cambio di una sistemazione da sogno, in una casa grande e isolata il giusto. La prima notte dal loro arrivo, però, non tutto va come previsto: un'automobile tira dritto sulla curva a gomito antistante il giardino, schiantandosi su un albero e proiettando uno pneumatico fin dentro il salotto. Mentre, preoccupata anche per lo spavento subito dal figlio Max, lei punta a dimenticare l'accaduto e tirare avanti, lui da un lato legittimamente si adopera affinché quella curva risulti meno pericolosa, tagliando via i rami che impallano il cartello che la segnala, e dall'altro si documenta sul ragazzo che guidava e che ha perso la vita, cercando morbosamente tracce da lui lasciate sui social.
Di lì a poco tempo, un secondo incidente, al quale lui assiste di nuovo senza riuscire a salvare il malcapitato di turno, lo convince ad iscriversi ad un corso di primo soccorso, per farsi trovare pronto per il successivo. Mentre la donna, intenzionata a proteggere il ragazzino che inizia a dare forti segnali di ansia, manifesta l'intenzione di vendere la casa e spostarsi altrove, l'uomo rilancia proponendosi di stare più tempo in casa con lui lavorando in smart working, in realtà trascurando il lavoro e passando intere giornate ad aspettare il prossimo incidente, per farsi trovare stavolta pronto e passare alla storia da eroe.

Diretto da Jason Buxton adattando un racconto di Russell Wangersky, Sharp Corner descrive la progressiva discesa del protagonista, un uomo comune che conduce una vita nella norma, in un abisso nel quale un comportamento di buon senso si trasforma in ossessione, nel quale la possibilità di metterci del proprio per rendere una strada più sicura slitta via via verso il bisogno patologico di sentirsi riconosciuto come il salvatore del genere umano, nel quale l'iniziale - sano - desiderio di aiutare il prossimo, lascia il posto ad una ricerca sempre più malata di un evento che lo metta in condizione di passare alla storia.
Entrato nel ruolo dell'uomo in missione, Josh perde la cognizione della realtà, mandando alla malora qualsiasi scala delle priorità: la vita familiare, così come il lavoro, divengono questioni secondarie e residuali, in un racconto che si fa teso e straniante resoconto di ogni suo passo verso una sottile forma di pazzia; ogni rombo di motore - filtrato dalla sua prospettiva - diviene una potenziale occasione per riscattare i mancati soccorsi precedenti, mentre l'enorme vetrata che dalla sala si rivolge verso la strada, dall'essere una grande e luminosa finestra sullo spazio esterno, diviene uno schermo sempre acceso sul palco che in ogni momento potrebbe dargli la notorietà.

Complice un'ambientazione perfettamente riuscita (la villa è stata costruita ad hoc dopo aver individuato con Google Earth il tornante giusto), Jason Buxton prova a dettagliare con cura da antropologo la deriva verso la psicopatologia del protagonista, ma dimentica di dare solidità e corpo al contorno e al contesto: la famiglia, i colleghi e gli amici, sono tutti personaggi meramente strumentali, che svolgono il loro scopo senza crescere e patiscono un immobilismo che cozza pesantemente con il percorso ben più fluido ed organizzato del protagonista.
A stringere, rimane un one man show, ma è davvero troppo per le spalle del pur volenteroso Ben Foster.

VOTO: **½

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

100 Litres of Gold

  • Commedia
  • Finlandia, Italia
  • durata 88'

Titolo originale 100 Litress of Gold

Regia di Teemu Nikki

Con Elina Knihtilà, Pirjo Lonka, Ville Tiihonen, Pekka Strang, Jari Virman

100 Litres of Gold

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA

Le sorelle Taina e Pirkko si dedicano intensivamente alla produzione della sahti, la birra tradizionale finlandese, provando a venderla al vicinato ma trovandosi di fatto quasi sempre a regalarla, perché tutti promettono di pagarla "la prossima volta". Nel villaggio nel sud della Finlandia che da sempre le ospita, i metodi di produzione di questa bevanda si tramandano di generazione in generazione, e con essi anche gli strumenti, come ad esempio la kuurna, una sorta di vasca in legno nella quale va lasciata a decantare per 22 giorni prima di poter essere bevuta. Tra i loro principali motivi di vanto c'è il poter disporre della kuurna che fu del nonno, e una annosa questione mai risolta riguardo la legittimità del passaggio della stessa nelle loro mani ha creato attriti pesanti con il fratello Pavo, con il quale i rapporti sono ormai di profondo disprezzo reciproco.

Sempre riverenti e rispettose del giudizio del padre Veikko, al quale sottopongono ogni nuovo lotto nella vana speranza che glielo promuova con il massimo dei voti, trovano un nuovo stimolo quando l'altra sorella, Päivi, si presenta con il promesso sposo e la richiesta di avere in dono 100 litri della loro migliore sahti da consumare durante le nozze. Al termine dei canonici 22 giorni di 'gestazione', si rendono conto di aver finalmente creato la sahti perfetta, quella a cui il padre assegnerà il massimo dei voti, ma tanta è la soddisfazione che se la scolano tutta. Con i postumi di una sbornia da antologia, si trovano a un giorno esatto dalla cerimonia con niente tra le mani e 100 litri di sahti da tirar fuori dal nulla.

Da tempo intenzionato a girare un film che omaggiasse la birra sahti, che in Finlandia è una bevanda popolare e buona per tutte le occasioni, soprattutto quelle importanti, Teemu Nikki afferma di aver scelto le due protagoniste Elina Knihtilä e Pirjo Lonka dopo averle viste lavorare in coppia a teatro, scrivendo la sceneggiatura solo successivamente, su misura per loro.
Sembra un dettaglio, ma probabilmente non lo è, dal momento che il difetto principale di 100 Litres of Gold, che porta il regista a fare un paio di decisi passi indietro rispetto al precedente Peluri (La morte è un problema dei vivi), è che, messo da parte lo humour nero impostato sulla sottigliezza dei dialoghi del predecessore, si sia scelto di virare verso un comicità grossolana fatta principalmente di corpi: 100 Litres of Gold sembra scritto su misura per una 'coppia comica' di quelle dozzinali, alla quale è permesso fare qualsiasi cosa, compreso calarsi le braghe e defecare a un palmo dalla telecamera.

Senza voler essere apocalittici e fare paragoni estremi, non si può non registrare il passaggio a vuoti inatteso (se non altro per i modi) di un regista che fino a ieri veniva paragonato ad Aki Kaurismaki: in 100 Litres of Gold il lato malinconico è presente, così come non manca una riflessione sulla solitudine e sul senso di inadeguatezza, che sono poi il motivo per il quale le due protagoniste passano da un'ubriacatura all'altra anziché parlasi sul serio, ma si tratta di briciole, di contentini dispensati senza troppa convinzione e destinati a finire dispersi in un mare di gag da avanspettacolo il cui unico obiettivo sembra essere quello di procurare una risata (più o meno sguaiata).
VOTO: **

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

McVeigh

  • Drammatico
  • USA
  • durata 90'

Titolo originale McVeigh

Regia di Mike Ott

Con Ashley Benson, Alfie Allen, Anthony Carrigan, Brett Gelman, Tracy Letts, Isolda Dychauk

McVeigh

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - FREESTYLE

Il 19 aprile del 1995, un furgone carico di oltre due tonnellate di esplosivo fatto in casa esplose davanti all'edificio federale Alfred P. Murrah ad Oklahoma City, causando 168 morti e 672 feriti, per quello che si configura come l'atto di terrorismo di matrice interna più sanguinoso della storia degli Stati Uniti. In poco tempo, infatti, si individuò come colpevole il newyorkese Timothy McVeigh, un veterano della Guerra del Golfo, che dichiarò di aver agito per vendicare i fatti di Waco, e fu in seguito processato, condannato a morte e quindi giustiziato nel 2001.

Il regista Michael Ott parte da questo personaggio terribilmente reale, gli dà il volto di Alfie Allen, e gli si incolla per 90 minuti, in un film che vorrebbe fornirne un ritratto, documentare l'antefatto ed indagare le ragioni intime che lo portarono a concepire una strage. Al di là delle competenze tecniche maturate tramite una passione profonda per le armi nutrita durante il periodo dell'esercito, le ragioni del gesto vanno ricondotte al suo intimo odio nei confronti del governo federale, che viveva come un usurpatore della libertà individuali dei singoli cittadini, alimentato e indirizzato dal suprematista bianco Richard Snell, cui più volte fece visita in carcere, e che di fatto lo incoraggiò - instillando in lui il 'seme' - a fare "qualcosa" come rappresaglia nei confronti degli abusi del potere di cui egli stesso si sentiva vittima.

Se le visite al dead man walking suprematista Snell risultano di gran lunga la parte più interessante di questo McVeigh, probabilmente per il carisma emanato dal suo interprete Tracy Letts, tutto il resto fatica a trovare non solo un ritmo ma anche un senso, laddove la messa a punto del piano è fiacca come il personaggio stesso del suo compare Terry Nichols (Brett Gelman), mentre la divagazione amorosa con la barista divorziata Cindy (Ashley Benson), seppur ben condotta (la scena in cui ascoltano Rainbows and Ridges di Blaze Foley è intima e sensuale), a conti fatti sembra il lungo trailer di qualcosa d'altro, tanto dà l'impressione di essere scollata dal resto.
E se Alfie Allen ne esce come un attore monoespressivo incapace di dare profondità, nerbo o inquietudine ad un personaggio di tal fatta, la ragione sta probabilmente in una scrittura soporifera e priva di spunti che quel personaggio non ha saputo scavarlo a fondo.

VOTO: **

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Les Femmes au balcon

  • Drammatico
  • Francia

Titolo originale Les Femmes au balcon

Regia di Noémie Merlant

Con Souheila Yacoub, Noémie Merlant, Annie Mercier, Hannil Ghilas, Henri Cohen

Les Femmes au balcon

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - BEST OF 2024

Nicole vorrebbe scrivere un libro, e per capire come si fa prende lezioni online, ma con la testa non riesce ad andare al di là del proprio balcone, dal quale spia ad ogni ora un bellimbusto del palazzo di fronte che ha l'abitudine di girare seminudo. Un giorno, assistendo dall'alto a un goffo tentativo di parcheggio dell'amica Elise, la vede tamponare l'auto in sosta del succitato, che - anche lui in finestra - se ne accorge e protesta. Mentre Elise, attrice in un telefilm nel quale sta recitando Marylin, corre su perché sta entrando nel panico, dato che al disagio per il guaio appena combinato assomma un malessere fisico e l'ansia che gli procura il fidanzato che la tormenta al telefono, a scendere in strada per contrattare con il bel danneggiato è la coinquilina Ruby, la disinibita del trio, professione camgirl, telefono sempre connesso e una webcam accesa h24 e puntata sul proprio letto. Allo scambio dei numeri di telefono segue, una volta che è su con le altre due, quello dei messaggi, che culmina con un invito alle tre a salire da lui per un drink.

Les femmes au balcon, diretto da Noémie Merlant, scorre fluido e sparato per tutti i primi venti minuti circa del prologo, ovvero fino a che il tono si mantiene quello di una commedia mediamente caciarona. I problemi arrivano quando una sceneggiatura con troppi spunti e poca concretezza immette nell'intelaiatura del racconto elementi di thriller, con venature gore e fantasy, senza far nulla per gestire i cambi di registro e rendere digeribili scelte che altrimenti appaiono insensate; sotto la scure di una scrittura caotica che tende ad accumulare, senza prendersi la briga di creare un contesto nel quale fantasmi parlanti o organi riattaccati con ago e filo su cadaveri da cui erano stati recisi possano essere una bizzarra opzione narrativa, e non solo una colossale cavolata, il motore si ingolfa e il ritmo crolla.

Se è vero che l'obiettivo chiaro della regista è quello di mettere alla berlina il maschilismo dominante in alcune delle sue dinamiche più degeneri, che senza arrivare necessariamente alla violenza tout-court passano già dalla visione della 'propria' donna come un oggetto privato, ciò che manca è un discorso d'insieme, uno stile che sia in qualche modo riconoscibile, un disegno coerente che permetta al film di non deragliare, fornendo forza e credibilità ai mille eccessi proposti. Senza dare punti di riferimento dal punto di vista narrativo, il film di Merlant salta di palo in frasca rendendo (im)possibile tutto e il suo contrario: disinnescando l'effetto sorpresa e l'annesso mordente, si ride qua e là e qua e là si resta interdetti, come davanti a una serie di sketch tra loro sconnessi. E in mezzo a tanta indeterminatezza, anche il messaggio anti-maschilista non arriva forte come si sarebbe voluto ma sbiadito, scarico, spuntato.
VOTO: **

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

Longlegs

  • Horror
  • USA
  • durata 101'

Titolo originale Longlegs

Regia di Oz Perkins

Con Nicolas Cage, Maika Monroe, Alicia Witt, Blair Underwood, Dakota Daulby, Vanessa Walsh

Longlegs

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2024 - GRAND PUBLIC

L'agente speciale dell'FBI Lee Harper ha un sesto senso piuttosto pronunciato, tanto da giocarsela alla pari contro il "generatore di numeri". Per la precisione, messa di fronte a questa curiosa macchina che invita a tirare numeri a caso da 0 a 100, ne indovina 8 su 16: insomma, è una sensitiva a metà. In virtù di questa curiosa e inspiegabile semi-dote, viene assegnata ad una serie di casi spalmati negli anni e da anni arenati, che hanno visto, in tempi e luoghi diversi, 10 uomini far strage delle loro famiglie e poi suicidarsi, facendo ritrovare in casa, sempre, una letterina compilata con caratteri strani e firmata "Longlegs", senza mai la presenza di impronte, testimoni, segni di effrazione o tracce di DNA diversi da quelli dei cadaveri vari sparsi.

C'entrano gli enigmi, c'entrano le bambole, e c'entra il diavolo, ovviamente. E si sa che quando c'è di mezzo lui, di norma, si tende ad evitare di infastidirlo e abusare pesantemente della credulità del volenteroso spettatore. Longlegs non fa eccezione rispetto alla miriade di prodotti affini nei quali cercare un filo logico che sia vagamente corposo è una perdita di tempo. Quindi, se se ne ha voglia, ci si può accontentare di una mano registica comunque capace di avvolgere in atmosfere cupe uno script fiacco e privo di guizzi (entrambi sono opera di Osgoord Perkins), e soprattutto della performance quantomai gigioneggiante di un Nicholas Cage irriconoscibile che pare Marylin Manson truccato da Sandra Milo (e viceversa).
Altrimenti, astenersi resta sempre la scelta più saggia.

VOTO: **

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No
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