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Brividi che serpeggiano tra pagine e fotogrammi.
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Brividi che serpeggiano tra pagine e fotogrammi.

Nell'ultimo anno mi sono imbattuto in due libri da cui erano stati tratti film da me molto amati, i quali hanno in comune il brivido. Ho pensato che non potevo fare altro che leggerli, per poi poterli paragonare e confrontare con i film, sia per quanto riguarda la qualità, che la fedeltà della trasposizione. Dato che non sono un gran lettore di libri da cui vengono tratti film, approfittando della buona voglia, il terzo me lo sono andato a cercare apposta (ma ci ho messo poco, perché lo si trova in quasi tutte le librerie). Secondo me, per i primi due non si tratta di testi particolarmente belli di per sé, ma piuttosto di prodotti medi. A renderli interessanti è invece l'argomento, che evidentemente ne decretò il successo e indusse alcuni registi di grosso calibro a trarne dei film. Il terzo caso, invece, è letteratura di buon livello. Si tratta di una lettura piacevole per quanto più impegnativa, con una prosa complessa, che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di critiche e interpretazioni.

Dunque, vediamoli:

 

Playlist film

Gli invasati

  • Horror
  • Gran Bretagna
  • durata 112'

Titolo originale The Haunting

Regia di Robert Wise

Con Richard Johnson, Claire Bloom, Russ Tamblyn, Lois Maxwell

Gli invasati

In streaming su Amazon Video

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Tratto da un romanzetto di una scrittrice americana, Shirley Jackson, pubblicato nel 1959, è un capolavoro del gotico e uno dei miei film preferiti. Possedendo una casa nel New England, la scrittrice aveva udito raccontare storie di case infestate in quella zona, e pensò di scriverne un romanzo, non sappiamo quanto del quale sia fantasia pura, e quanto lo abbia appreso dalla gente del luogo. Senonché, “il fascicolo” passò nelle mani di un grande regista, che ne fece un capolavoro girando “Gli invasati” (1963), titolo italiano che sostiene la pazzia degli sfortunati protagonisti, forzando così l'interpretazione di un'opera non così univoca come si vorrebbe.

Tramite un'opportuna ambientazione, un sapiente uso delle luci, delle inquadrature e degli spazi Robert Wise riesce a rappresentarci una casa veramente inquietante e sinistra, che da sola incute paura allo spettatore. Quanto sono ben studiate le inquadrature e quanti screenshot ho fatto di questo film! Anche il racconto e la definizione dei personaggi non fanno una piega, e qualcuno vi vede la sospensione del giudizio sulla realtà dei fenomeni rappresentati, o la loro negazione (ma io non sono d'accordo, visto anche il carattere collettivo di alcuni di essi).

Wise volle rispettare il romanzo della Jackson in gran parte, ma non del tutto. Qua e là la trama è ritoccata, e anche i rapporti tra i personaggi sono un po' modificati. Cineasta esperto qual era, probabilmente il regista non poté fare a meno di notare i punti deboli del romanzo, soprattutto quanto alla descrizione dei personaggi e alla dinamica che si crea all'interno del gruppo. In altre parole, proprio quello che non mi è piaciuto molto del testo, è stato modificato nel film. Nel primo, ad es., non è ben chiarito il complesso rapporto che si crea tra Eleanor e Theodora. Perché Theodora punzecchia continuamente Eleanor? Perché questa inizia improvvisamente ad odiare l'altra? Wise ha pensato bene di inserire un'attrazione latente tra Eleanor e il professore, mal sopportata da Theodora. Donna con tendenza omosessuale, aveva iniziato, infatti, ad invaghirsi dell'amica.

Inoltre, nel libro il personaggio Luke è un po' evanescente, e non il viziato rampollo di buona famiglia, cinico e dedito all'alcol, che vediamo nella pellicola.

Le parti migliori del romanzo sono la descrizione della casa, la storia dei suoi sfortunati abitanti, e la storia pregressa di Eleanor. I dialoghi tra i personaggi, invece, li ritengo convenzionali.

Né il romanzo, né il film chiariscono, tuttavia, due punti; perché, cioè, Hill House sia una casa maledetta, e perché il “cuore gelido” della casa sia la camera delle bambine. Questo, tuttavia, non è un punto negativo né per l'uno, né per l'altro.

In generale, devo proprio dire che mi è piaciuto molto più il film che il libro. Direi, che Robert Wise abbia saputo sublimare il testo della Jackson in qualcosa di superiore.

Rilevanza: 2. Per te? No

Rosemary's Baby

  • Horror
  • USA
  • durata 136'

Titolo originale Rosemary's Baby

Regia di Roman Polanski

Con John Cassavetes, Mia Farrow, Ruth Gordon, Elisha Cook

Rosemary's Baby

In streaming su Paramount Plus

vedi tutti

Chi non l'ha visto e non ha tremato? La prima volta che lo vidi, sprofondai a tal punto nella visione che quasi non credevo quando vidi che l'orologio mostrava l'una e mezza di notte, e tutti erano già andati a letto senza che me ne fossi accorto. Ebbene, si tratta di un adattamento di una sorprendente fedeltà. Fatta eccezione per un paio di passi poco importanti, leggere il romanzetto è come leggere la sceneggiatura. Ogni cosa viene rappresentata da Polanski pari pari, come certi dettagli che mi sono molto piaciuti e che io avevo attribuito al regista. Si pensi, ad es., alla scena in cui Rosemary sbircia dalla cucina il marito che si è appartato a confabulare con Roman. Ella non vede loro, ma solo il fumo di sigaretta che fa capolino da dietro l'angolo dove si trovano i due. Che senso di mistero e di inquietudine! Eppure, è un'idea di Ira Levin, lo scrittore. E il giapponese presente al festino? Quel giapponese che fa ribrezzo per il suo cinismo? Anche quello è un'idea dello scrittore. Con ciò non voglio togliere nulla alla bravura di Polanski, ma solo mettere i puntini sulle I. Questi, comunque, non riportò nel film un elemento un po' oscuro e controverso, cioè la presenza di Jacqueline Kennedy in un incubo di Rosemary. Difficile capire se l'autore abbia voluto fare qualche allusione, ma è anche difficile pensare ad un puro espediente narrativo, vista la celebrità del personaggio.

Paragonando il testo al film, è preferibile il secondo. Il libro è interessante praticamente solo per l'argomento trattato, ma è abbastanza esile e semplice (si legge come mandare giù un bicchier d'acqua). Il film, dall'altro canto, è ritenuto da me e da molti un capolavoro. È una di quelle opere perfette che non sbagliano un colpo. Pur essendo un fedele adattamento del libro che rappresenta, eleva questa rappresentazione ad un livello superiore. Non è neppure l'unico caso. Ad esempio, sono in molti a dire che Kubrick abbia fatto lo stesso con “The Shining”, mediocre libro di Stephen King; ma non posso unirmi al coro perché non l'ho letto.

 

Rilevanza: 2. Per te? No

Suspense

  • Drammatico
  • Gran Bretagna
  • durata 105'

Titolo originale The Innocents

Regia di Jack Clayton

Con Deborah Kerr, Martin Stephens, Pamela Franklin, Peter Wyngarde, Megs Jenkins

Suspense

Mi ero chiesto più volte che cosa ci fosse dietro questo film che ho visto e rivisto: il racconto di Henry James, il suo senso, la genesi di questa storia.... Ebbene, adesso finalmente lo so.

Questa pellicola dell'inglese Jack Clayton si è conquistata un meritato posto di spicco nel genere “film di fantasmi”. Io lo “pizzicai” per la prima volta negli anni '90 su Tele Paadova, in una misera versione “pan & scan”, ma da allora non l'ho più dimenticato. Le edizioni in DVD si sono susseguite, ed ora ve n'è una ottima anche in blu-ray, segno che il mercato dell'audiovisivo ha ancora la sua vitalità.

Il racconto (o romanzo?) da cui è tratto è “Giro di vite” di Henry James – titolo tradotto letteralmente dall'originale, ma forse la metafora in italiano non calza, perché in inglese ha un significato un po' diverso. Nel libro, infatti, si parla di “giro di vite di significato”, mentre in italiano la metafora fa riferimento all'aumentata severità e rigidità di norme e leggi.

Con qualche piccolo aggiustamento, il film di Clayton restituisce l'atmosfera del libro, sebbene aumenti un tantino l'ambiguità di alcune situazioni. Tutte le sequenze più importanti del libro, comunque, sono presenti pari pari dalla pellicola, anzi con una notevole capacità di rappresentazione da parte del regista. In generale, si può parlare di una riduzione cinematografica generalmente rispettosa dell'originale

Una differenza, motivata dall'età della bravissima Deborah Kerr, è appunto l'età del suo personaggio: nel libro, infatti, si tratta di una giovane maestra alle prese con uno dei primi incarichi della sua vita lavorativa. Ma questo non incide per nulla nella sostanza.

Uno dei perni della trama è la felpata reticenza della domestica (la sig.ra Grose) nel raccontare ciò che era successo tra il cameriere Quint, l'istitutrice Miss Jessel, e i bambini. Messa alle strette, la donna finisce per riferire molte cose, ma la nuova istitutrice (e noi con lei) ha l'impressione che ella trattenga qualcosa. Nel libro trapela anche il motivo della sua reticenza, cioè il timore di danneggiare la reputazione di due bambini ora così adorabili. Quanto all'istitutrice, se appare implacabile nell'interrogare la domestica per farle sputare il rospo, è timida e pavida quanto all'espulsione di Miles dal collegio. Non si reca, infatti, dal preside per farsi dire esattamente cosa Miles avesse fatto per motivare un provvedimento così grave, e neppure ha il coraggio di fare al ragazzino la domanda diretta ed ineludibile. Ci gira solo attorno, e spera invano che lui si sbottoni. Solo alla fine lo interroga più direttamente, ma lui le sfugge di mano come un'anguilla. Insomma, siamo in presenza di un sottile gioco di reticenze incrociate, che rende molto difficile fare completa luce sull'intricata questione. Almeno in parte responsabile è il contegno vittoriano, con l'imperativo di evitare le questioni scabrose e sgradevoli. Neppure la franchezza e il parlare chiaro sono virtù vittoriane. E l'istitutrice dice apertamente che non si può chiedere ad un gentiluomo (o futuro tale come Miles) se abbia rubato. E perché non si può?

Infine, non posso mancare di toccare l'argomento della supposta e asserita ambiguità del libro e del film. Innanzitutto, pubblicato “Giro di vite” nel 1898, si iniziò a parlare solo negli anni '30 dell'ambiguità del testo sulla realtà delle apparizioni dei fantasmi. Essi, cioè, appaiono veramente, o sono solo allucinazioni dell'istitutrice?

Ciò sia detto per dimostrare come, se il testo è veramente ambiguo, non lo è in modo pacifico ed evidente, perché per un trentennio nessuno ci aveva pensato. Ma la diffusione di certe teorie psicologiche e psicanalitiche favorì in seguito l'emergere di queste tesi, in varie loro declinazioni, fino a sostenere che il testo sarebbe anzi univoco, e che tutto avverrebbe origine nella psiche malata (e sessuofoba, qualcuno ha affermato) della giovane maestra.

Secondo me, però, bastano un paio di argomenti per far fuori queste interpretazioni. Innanzitutto, i bambini sono decisamente troppo strani e inquietanti, perché in tutto il contesto sia solo l'istitutrice ad avere le allucinazioni. Soprattutto, (come spiegato dal critico Pietro Citati) la prima volta che lo spettro di Quint appare alla maestra, ella non sa chi egli sia, né che sia uno spettro. Lo descrive quindi, nei dettagli, alla governante Mrs Grose, la quale gliene svela l'identità, e il fatto che Quinti sia morto da un pezzo... Una cosa simile avviene per Miss Jessel. Dove Henry James rimane sul vago è se i fantasmi appaiono ai bambini. Dal loro comportamento si può dedurre, secondo me, che la risposta sia sì, anche se in momenti diversi. La presenza di un qualche influsso malefico sulle due giovani creature è però praticamente certo.

Quanto alla signora Grose, questa afferma di non aver visto nessuno, ma di ritenere possibile il fenomeno, visto il funesto influsso sui bambini.

Ma come sbroglia questa vexata queastio Jack Clayton nel suo film? Probabilmente sospinto dalle interpretazioni più diffuse in quegli anni, egli aggiunge un paio di dettagli che aumentano la nebbia attorno a quegli spettri: la prima volta che il malefico Quint appare alla maestra, succede dopo che ella ne ha visto il ritratto in un orologio da taschino. Quando poi questa incalza la signora Grose se abbia visto Miss Jessel apparire sulle acque dello stagno questa risponde “Ah, lo so io che cosa ho visto!”.

Infine due parole su come è nato “Giro di vite”, dalle annotazioni nel diario dello scrittore. Esso non è puro frutto della sua creatività. ma la versione romanzata di un racconto di terza mano, e piuttosto vago, che gli fece l'arcivescovo di Canterbury, col quale trascorse un pomeriggio d'inverno davanti al caminetto. Quegli l'aveva veramente udito da una donna, alla quale era stato raccontato dalla vera istitutrice ormai anziana. James ha “solo” romanzato questa storia un po' confusa, non spiegando, infatti, quello che neppure egli aveva appreso. Sembra, dunque, che qualcosa del genere sia veramente successo nell'Essex qualche decennio prima. Fa paura, no?

 

Rilevanza: 2. Per te? No
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