Oggi Darren Aronofsky compie 55 anni e così anche per lui, che recentemente ha dichiarato di voler girare un biopic su un celeberrimo imbecille iper-sopravvalutato (a quanto pare quindi accantonando l'horror "Adrift"), ho deciso di costruire una retrospettiva omaggio preceduta da una maratona di (re)visione della sua Filmografia, recuperando anche alcuni corti che ancora mi mancavano. Purtroppo, come per le ultime mie retrospettive di questo tipo, anche stavolta non ce l'ho fatta a costruire delle riflessioni lunghe a causa di vari impegni, perciò i vari commenti ai film saranno di lunghezza ridotta. Prima di passare ad analizzare le singole opere, provo a esprimere, con il mio stile ricolmo di digressioni e periodi terribilmente immensi, un paio di concetti generali sulla Poetica aronofskyana e sul mio rapporto con essa. Per diversi anni, forse a causa della non brutta ma nemmeno esaltante esperienza in sala di "Noah" (avvenuta però quasi a caso su proposta di mio padre, cosa che continua a farmi molto piacere) acuita dalle recensioni negative di "The Fountain" (che guardai con mio fratello da ragazzin, apprezzandolo, ma di cui poi col tempo persi i ricordi), ho guardato con profondo sospetto il Cinema di Aronofsky, trovando buono ma magari un po' retorico "The Wrestler" e tecnicamente interessante ma non pienamente convincente (soprattutto sul lato onirico-simbolico) "Black Swan". In generale, mi dava l'impressione di un autore sì bravo ma terribilmente pretenzioso. La visione, con un mio amico, di "Requiem for a Dream" ha però ribaltato la mia considerazione nei confronti del suo Stile: questa spinta revisionista si è rafforzata con il recupero di "Pi" e, soprattutto, "mother!", presto entrato nella Lista dei Film che adoro maggiormente in assoluto (5 visioni in 2 anni!), e così ho riguardato con occhio più positivo "Noah" e "The Fountain" qualche anno fa. Il ripasso operato con la mia recente maratona, terminata proprio oggi con la revisione di "The Whale" a poco meno di un anno di distanza dalla visione in sala, ha mantenuto questa ottica positiva aggiungendola anche a "The Wrestler" e "Black Swan". Per quanto forse il sospetto di pretenziosità non sia del tutto infondato (chiaramente il Regista intende sempre realizzare opere con tematiche importanti e serie), personalmente valuto la sua ambizione artistica come profondamente intrisa di osservazione al contempo distaccata e intima della Disperazione umana, dell'Ansia, delle Dipendenze, dell'Autodistruzione. Appoggiandosi ad una regia "invasiva", con la mdp che fa di tutto per far sentire la sua presenza, soprattutto quando si declina nell'utilizzo di camere a mano impegnate a seguire i Personaggi principali con movimenti traballanti (entrando così nel loro smarrimento emotivo e psicologico), a Musiche (quasi sempre di Clint Mansell) ipnotiche ed enfatiche (ma anche l'assenza di Colonna sonora extradiegetica in "mother!" ha un peso massiccio), a Interpretazioni attoriali (tra cui almeno un paio di 'resurrezioni carrieristiche' come quelle di Mickey Rourke e Brendan Fraser) portate ad un livello di intimità drammatica talmente coinvolgente da manipolare i sentimenti del pubblico (tecnica forse estremamente retorica, ma efficace come quasi nessun film strappalacrime tipicamente hollywoodiano riesce), e infine a storie molto poco ottimiste, la Poetica di Aronofsky mette in scena i Dilemmi umani con una forza unica e a suo modo genuina. Ma ora chiudo questo terrificante "pippone" (termine tecnico che uso per darmi un tono simpatico e aggiungere un altro po' di autoreferenzialità in questo mio omaggio) e lascio il posto ai singoli lavori di Darren Aronofsky.
Cortometraggio di mezz'oretta diretto e prodotto da Darren Aronofsky ispirandosi ad un omonimo racconto di Hubert Selby Jr., di cui il Regista trasporterà al Cinema un altro Romanzo: "Requiem for a Dream". Con tutti i limiti dovuti al budget ridotto e alla sostanziale inesperienza, "Fortune Cookie" è riuscito a convincermi, soprattutto per il modo in cui emerge esplicitamente una vena ironica non così evidente nei successivi lungometraggi dell'autore, che però già qui inizia ad usare scelte stilistiche 'stralunanti', in particolare in certi primi piani molto ravvicinati e deformati da lenti grandangolare e in certi movimenti di macchina. Non un capolavoro ma un film piuttosto interessante.
Diretto e scritto, dopo "Fortune Cookie" e l'introvabile "Supermarket Sweep", dal giovanissimo Darren Aronofsky in uno dei suoi primissimi lavori, e con altrettanto giovani Lucy Liu e Damon Whitaker (fratello di Forest) in due dei 3 ruoli principali, "Protozoa" darà il nome alla casa di produzione del regista. In una ventina di minuti Aronofsky alterna le riprese, quasi da 'video tra gente amica', in cui il terzetto protagonista chiacchiera e passeggia (ad una certa vanno a visitare la nonna di Liu e sul finale vanno a vedere un gruppo di persone con disabilità salire su un bus), con la messa in scena della storia di un tale Blue, un ex-tossicodipendente ed ex-teledipendente (con una marea di televisioni accatastate come quelle di Ozymandias nel Fumetto "Watchmen") auto-convertito in una sorta di missione spirituale con tentazioni incluse. Nella versione da me vista (e rivista) la traccia musicale (dalle tonalità sperimentali) era separata, nelle cuffie, da quella dialogata, rafforzando così l'atmosfera disagiante qui trattata. Molto interessante.
Con Robert Dylan Cohen, Chas Mastin, Billy Portman, Alissa Rosen, Andrea Shreeman
Scritto dal quartetto di interpreti principali del film e diretto da Darren Aronofsky, il corto "No Time" è in realtà un'antologia di sketch comici che sembrano per certi versi anticipare quello che sarà il fenomeno di youtube. Niente di particolarmente memorabile, però intrattiene discretamente divertendo nella sua semplicità (e a volte assurdità), anche se la Mano atonofskyana è molto difficile se non impossibile da individuare.
Nel 1997 esce "Soldier Boyz", videogioco fmv che riprende spezzoni e trama dal film omonimo aggiungendo filmati appositamente girati per il formato intetattivo: Darren Aronofsky, insieme a Jed Weintrob, ha diretto proprio queste clip ed entrambi, inoltre, erano aiuto-registi nel film. La trama è idiota, la grafica è invecchiata malissimo, le meccaniche di gioco sembrano noiosissime (stando almeno al walkthrough da me visionato) e come se non bastasse c'è puzza di reazionarismo razzistoide. Insomma, è una sorta di Rambo II in salsa teenager e la mano di Aronofsky non si avverte per nulla, quindi si può (e forse si deve) evitare.
Con Sean Gullette, Mark Margolis, Pamela Hart, Ben Shenkman
PI
Esordio alla regia di un lungometraggo per Darren Aronofksy. Con un budget irrisorio, la produzione di "Pi" (scritto anche "π") adotta numerosi stratagemmi per ovviare i limiti economici, tra cui l'utilizzo di un bianco e nero ad alto contrasto e alcune riprese metropolitane eseguite senza permessi. Aronofsky inizia subito a costruire la propria Poetica, anticipando il successivo Cult "Requiem for a Dream" e la sua Estetica schizzata, drogata, allucinata, costruendo un Incubo reso ancora più opprimente, oltre che dalla Colonna Sonora di Clint Mansell, dal Bianco e Nero. L'Ossessione del Protagonista per pi greco apre spunti di riflessione assai intriganti sul Senso del Mondo e sulla volontà di dominarlo rinchiudendone l'essenza in un qualcosa (qui un numero), ma si tratta di una brama inutile e destinata all'insuccesso. Grandissimo cast, straordinaria sceneggiatura, montaggio e fotografia sublimi per un instant Cult, forse un autentico Capolavoro, da rivedere sicuramente più volte.
Secondo lungometraggio diretto da Darren Aronofsky, il quale scrive anche la sceneggiatura insieme all'autore dell'omonimo romanzo Hubert Selby Jr. (entrambi inoltre appaiono in cameo), "Requiem for a Dream" è diventato presto uno dei più grandi Cult contemporanei. Opera cinematografica che ha sancito il mio colpo di fulmine per il Cineasta, dopo anni di approccio sospettoso, "Requiem for a Dream" è un'Opera cinematografica di altissimo livello artistico, un interminabile e sempre più angosciante viaggio allucinato nella Disperazione, che porta ad ogni tipo di Dipendenza e all'Auto-Distruzione, rappresentato attraverso un connubio di interpretazioni intense, soprattutto quelle di Ellen Burstyn e Jennifer Connelly, Musiche penetranti di Clint Mansell, fotografia disagiante (specialmente nei primi piani grandangolari sparati in faccia al Cast) di Matthew Libatique e un montaggio ossessivo di Jay Rabinowitz. Per me un Capolavoro eccellente nel rendere cinematografico l'Incubo narrato come un flusso di pensieri (la punteggiatura è utilizzata in modo "anarchico", senza virgolette per i dialoghi, e spesso costruendo periodi lunghissimi senza punti con inevitabile effetto apnea) da Selby nel suo Romanzo.
Nel 2006 Darren Aronofsky torna nelle sale con "The Fountain", di cui firma regia, sceneggiatura e, insieme ad Ari Handel (con cui poi collaborerà ancora), anche il soggetto: la lavorazione travagliata non viene ripagata da un successo né di pubblico (è un flop al botteghino) né di critica. La prima volta che lo vidi fu per caso in tv, mi pare con mio fratello, e ricordo che non mi dispiacque, ma con gli anni ne lessi e sentii parlare male un po' ovunque e i ricordi scemarono, motivi per i quali arrivai a ridimensionarlo drasticamente anch'io. Riguardandolo un paio di volte nell'ultimo anno e mezzo, pur notando un non completo raggiungimento delle ambizioni mistiche dell'Autore (che dichiarò anche di voler creare un cut alternativo) risultante in una certa pomposità, ho però trovato più motivi di apprezzamento, dalla struttura multinarrativa (3 linee di racconto in parallelo e internamente scomposte tramite flashback e flashforward, nonché intersecate di tanto in tanto tra loro) alle Immagini affascinanti, dalle musiche coinvolgenti del fidato Mansell alla penetrazione (furbesca? forse, ma non mi interessa) delle emozioni. Forse va considerato un guilty pleasure ma lo consiglio.
Dopo l'insuccesso di "The Fountain", Darren Aronofsky sceglie come suo prossimo lavoro cinematografico "The Wrestler", rinunciando per la prima volta (in un lungometraggio) alla sceneggiatura, scritta da Robert Siegel: accolto bene dal pubblico e ancor di più dalla critica, il Film rivitalizza la carriera di Mickey Rourke. Ricordo che alla prima visione mi piacque (anche molto) e trovai interessante l'utilizzo insistito della macchina a mano, ma forse mi parve leggermente retorico. Riguardandolo ora, con una visione personale un po' diversa del Cinema di Aronofsky, quella leggera parte di retorica è quasi del tutto svanita ai miei occhi e mi sa che ho apprezzato l'opera ancor di più, notando un approccio al dramma decisamente molto poco in linea con i trucchetti manipolatori (efficaci magari per il grande pubblico ma con effetto irritante sulla mia persona) tipici di hollywood e vicini invece ai gusti 'ribelli' (o post-ribelli) di numerose avanguardie cinematografiche, tutte rigorosamente sconfitte e/o assorbite dal sistema commerciale: questo aspetto, quello della Sconfitta, è decisamente in linea con lo status di Perdente del Protagonista. Un Gioiellino da rivedere ancora, anche perché riesce persino a farmi piacere i Guns N' Roses!
Già nel 2000 Darren Aronofsky discute con Natalie Portman di un film sul balletto che alla fine si concretizza nel 2010 con "Black Swan" (anche qui con rinuncia della sceneggiatura da parte del regista), un altro ottimo successo di pubblico e critica. La mia prima esperienza con questo film, pur facendomi apprezzare in generale il lato tecnico e qualche spunto di riflessione, ricordo che non mi fece impazzire più di tanto, soprattutto non convincendomi pienamente sul lato onirico che, all'epoca, mi parve troppo trattenuto. Riguardandolo, con un'idea sul Cinema di Aronofsky decisamente molto più favorevole rispetto a quel periodo, invece aumento nettamente il mio gradimento, notando come l'uso della macchina a spalla, più che ad un tono semi-documentaristico, porti ad un'identificazione con lo spaesamento psicologico della Protagonista. Inoltre ho notato un certo legame con il precedente "The Wrestler", soprattutto nel Finale: rileggendo i miei appunti post-prima visione ho riscoperto che questo aspetto l'avevo individuato già allora. Ci sono forse alcune imperfezioni e/o elementi potenzialmente "cringe", ma a mio avviso questi eventualmente rafforzano la personalità dell'Opera che ora considero un cult da riguardare più volte.
Nel 2011 Darren Aronofsky realizza, secondo imdb, un video musicale per l'incontro tra Lou Reed e Metallica con la canzone "The View": sostanzialmente è un videoclip senza particolari elementi narrativi, ma ha un'estetica estraniante che a mio avviso richiama lo spaesamento psicologico evocato nei Film del Regista, quindi tutto sommato lo consiglio, e non sono per nulla fan dei Metallica.
Nel 2014 Darren Aronofsky torna nelle sale con "Noah", blockbuster biblico in cui l'autore riprende anche il ruolo di sceneggiatore: ottimi incassi e buona accoglienza critica, il film genera però qualche controversia per il suo messaggio. Alla prima visione, in sala, mi parve un film ben fatto ma troppo pretenzioso: rivedendolo un paio di volte negli ultimi anni più o meno ho mantenuto più o meno le stesse riflessioni ma smorzando considerevolmente le perplessità. Siamo di fronte sicuramente al lavoro meno personale e interessante di Aronofsky, nonostante paradossalmente il regista abbia messo mano direttamente alla sceneggiatura: tra scene action con effetti digitali à la blockbuster e pretenziosità di fondo, la sua rilettura del diluvio universale è molto vicino all'affondare nel polpettone neo-peplum biblico. Per contro, però, l'Autore inserisce spunti di riflessione complessi e interessanti, dal Dubbio su cosa sia giustizia al ribaltamento della morale antropocentrica, ed esteticamente ci sono momenti assai intriganti tanto nelle Immagini quanto nelle Musiche (composte dal fidato Clint Mansell, qui alla sua intanto ultima collaborazione col regista): insomma, non un film imperdibile, ma tutto sommato lo reputo buono.
Nel 2017 Darren Aronofsky realizza "The Truth is Hard to Find", campagna promozionale per The New York Times composta da 4 brevissimi cortometraggi (1 minuto ciascuno) in cui vari fotogiornalisti raccontano la propria professione: non è uno dei lavori più personali e imperdibili del regista, ma è intrigante la sua costruzione 'para-fotografica'.
Scritto da Darren Aronofsky, a quanto pare in 5 giorni mentre pensava di lavorare ad un progetto per l'infanzia, e da lui anche diretto, fin dal suo debutto a Venezia "mother!" spacca in due la critica, che più o meno universalmente riconosce meriti tecnici e recitativi ma in buona parte si 'incazza' per i contenuti e le simbologie, e non ottiene una bella accoglienza di pubblico, né in termini economici né in indice di gradimento. Alla prima visione, dopo un inizio interessante ma in cui ero sicuro di non arrivare a 'gridare al capolavoro' sono approdato, nell'ultima parte, ad un'ammirazione quasi estatica per l'Esasperazione stilistica e contenutistica che ne scaturisce, scardinando costantemente ogni mia aspettativa (tranne quella sul loop, dichiarato nelle primissime immagini). Non mi ero, tra l'altro, accorta dell'assenza di colonna sonora prima dei titoli di coda. Forse se l'avessi vista prima di "Requiem for a Dream" l'avrei considerata pretenzioso, invece reputo "mother!" un'Opera artistica magnifica, tra quelle che preferisco maggiormente, grazie anche ai numerosi spunti di riflessione presenti, dalla reinterpretazione della Genesi alle tematiche ambientaliste, dal potenziale distruttivo dell'atto creativo (artistico) ai ruoli di genere. Il Gusto surrealista ed esasperato della messa in scena unito al tono instabile dato dall'utilizzo della macchina a mano (e delle soggettive) e all'intensità emotiva espressa dal Cast (con Jennifer Lawrence probabilmente nella sua interpretazione migliore) rafforzano la qualità estetica di questo che reputo soggettivamente un Capolavoro e obiettivamente un Film che non può lasciare indifferenti.
Nel 2021 esce "Descent Into Darkness", secondo episodio (co-diretto da Darren Aronofsky, secondo imdb, con Alice Jones più un segmento con regia di Rod Blackhurst) della serie documentaristica per disney+ "Welcome to Earth" di cui Aronofsky è anche produttore esecutivo (insieme all'attore-conduttore Will Smith). L'ho guardato un po' distrattamente, ma nel complesso mi sembrava il solito documentario seriale televisivo sulla Natura con l'aggiunta di un divo come 'esploratore' a rendere un attimino irritante il tutto tra battutine e frasette pseudo-profonde. Comunque le Immagini catturate sono estremamente affascinanti e tecnicamente si vede che c'è dietro un lavoro mostruoso: tutt'altro che imperdibile, ma discreto.
Nel 2022 Darren Aronofsky torna nelle sale con "The Whale", trasposizione dell'omonimo lavoro teatrale di Samuel D. Hunter (autore anche della sceneggiatura): buon successo commerciale per la A24, il film rivitalizza la carriera attoriale di Brendan Fraser (con tanto di oscar) ma polarizza la critica soprattutto per il suo potenziale fatphobico. Quest'ultimo aspetto è sicuramente un elemento problematico del Film ma Aronofsky è sempre stato un esteta provocatore (analogo per certi versi a Lars von Trier, seppur probabilmente più affabile e meno deprimente dietro le quinte). Nel complesso io, che però non sono direttamente toccat dalla problematica e quindi non faccio sicuramente testo per quanto riguarda l'argomento) non ho visto nel film un'irrisione e/o demonizzazione del corpo grasso ma una profonda Tragedia socio-esistenziale e metanarrativa confezionata pregevolmente (specialmente nella Fotografia) e recitata con grande intensità, in particolare da Brendan Fraser. A questa seconda visione ho magari ridimensionato il mio entusiasmo, notando forse qualche retoricata, ma continuo a ritenerlo un film consigliabile anche per la sua natura discutibile, perché appunto stimola discussioni non banali su argomenti come la fatphobia, l'omofobia, la depressione e il bigottismo.
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