Loki: Ti prego, dimmi che farai appello alla mia umanità.
Tony Stark: Ah, in realtà intendo minacciarti!
Loki: Ahah, avresti dovuto indossare l’armatura.
Tony Stark: Sì, ha fatto qualche chilometro di troppo, e tu… hai la bacchetta del destino! [riferendosi al bastone della Scettro] Ti va un drink?
Loki: Prendere tempo non cambierà niente!
Tony Stark: No, no, minaccio! Niente drink, sicuro? Io lo prendo.
Loki: I Chitauri stanno arrivando, nulla può cambiare. Cosa dovrei temere?
Tony Stark: I Vendicatori… ci facciamo chiamare così: una specie di squadra. “Gli eroi più forti della Terra” o roba simile.
Loki: Sì, li ho conosciuti.
Tony Stark: Già! Ci mettiamo un po’ a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma facciamo la conta dei presenti: tuo fratello, il semidio [Loki ringhia infastidito di sentirlo nominare]; un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda; un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia; un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti!
Loki: Era questo il piano.
Tony Stark: Non è un granché. Quando verranno, e lo faranno, verranno per te.
Loki: Ho un esercito.
Tony Stark: Noi un Hulk!
Loki: Il bestione non si era perso!?
Tony Stark: Ti sfugge il punto: non c’è nessun trono, non esiste una versione in cui tu ne uscirai trionfante. Forse verrà il tuo esercito, e forse sarà troppo forte per noi, ma ricadrà su di te. Se non riusciremo a proteggere la Terra, stai pur certo che la vendicheremo.
Tre furono i film del MCU che vidi scevro da qualsiasi conoscenza in merito ai meccanismi e agli aspetti cinematografici dell’universo condiviso partorito da Kevin Feige: Iron Man, The Avengers e Iron Man 3.
Il primo lo vidi poco dopo la sua uscita con mio padre, dato che in quel periodo (2003-2013) era usuale a casa mia recuperare i classici supereroistici come gli Spider-Man di Raimi e gli X-Men di Singer, e mi ricordo che mi spaventò non poco l’aggeggio mortale che Obadiah Stane usava per paralizzare il povero Tony Stark. Il film comunque da piccino mi piacque, ma fui completamente ignaro della leggendaria scena post credits con Nick Fury e dunque del progetto del MCU, proprio perché all’epoca interrompevo sempre la visione prima della fine dei titoli di coda. Saltando per un attimo il secondo recupero, il terzo film del MCU che vidi mi deluse parecchio, anche per via di un colpo di scena che mi prese in contropiede, visto che da piccolo adoravo la nemesi di Tony Stark chiamata “il Mandarino” nella mitica serie animata – forse la miglior trasposizione audiovisiva da solista dell’Uomo di Latta – Iron Man Armored Adventures (2009-2012).
Per quanto riguarda, invece, il secondo film che guardai del MCU, ossia The Avengers, recuperato sempre su Rai 2 con mio padre credo proprio nel 2013, mi ricordo che la presenza di Iron Man con gli altri Avengers non mi provocò nessuna perplessità, anzi, nemmeno porsi il quesito a mio padre del perché quello stesso Iron Man del 2008 fosse in un film corale con altri supereroi. Quasi sicuramente fu dovuto dall’ignoranza e dall’ingenuità dell’epoca, in cui la concezione di “crossover” e universo condiviso mi era totalmente aliena essendo abituato solo a trilogie, tant’è che, molto probabilmente, non me n’ero neanche accorto che fosse lo stesso attore ad interpretare Tony Stark. In quel periodo fui veramente parte del pubblico generalista – oltre che giovanissimo – da non pormi troppe domande sui film che guardavo, anzi, l’unica cosa che mi interessò in quel frangente fu di scoprire questo nuovo gruppo di supereroi, che ancora non conoscevo data la mia inesistente cultura sui fumetti. Tutto ciò contribuì a tenermi incollato allo schermo fino all’epico finale, in cui fui davvero carico di adrenalina terminata la visione, probabilmente memore del fatto di aver visto un ottimo film di intrattenimento puro, quest’ultimo sempre assicurato – ai tempi – quando si trattava di vedere un film di supereroi in famiglia (ricordo che pure i miei genitori erano molto presi dalle sorti di Iron Man quando doveva dirottare la testata nucleare).
Nel corso degli anni, però, The Avengers sparì dai miei ricordi in favore degli Spider-Man di Raimi dato che l’Uomo Ragno era – ed è tuttora – il mio supereroe preferito, ma quando nel 2016 riscoprii in modo scioccante tutta l’impalcatura del MCU e del collegamento tra Iron Man e The Avengers, ecco che il film di Joss Whedon divenne ben presto il mio film del MCU preferito, anche dopo essere andato in visibilio per Infinity War e Endgame.
E dopo ben quattro visioni a seguito della mia prima visione in famiglia, di un recupero in vista di Civil War (il mio primo film MCU visto al cinema) e di due maratone su tutto il MCU in vista di Infinity War e Endgame, all’indomani di questa mia quinta, lucida e “fredda” maratona marvelliana con i miei sodali amici di FilmTV pensavo di dover ridimensionare il mio sfegatato entusiasmo nerd per il primo crossover della Marvel. E invece, con mia grande sorpresa, dopo aver visto per la quinta volta The Avengers a mente fredda, non posso far altro che lodare nuovamente uno dei migliori film partoriti dal genio produttivo del Marvel Cinematic Universe, che ha cambiato per sempre la storia produttiva dei cinecomics e della concezione stessa del cinema blockbuster per le masse.
Con il primo capitolo sui Vendicatori si apre infatti la Golden Age dei cinecomic, che finirà sempre sotto le redini del MCU nel 2019 con il mega kolossal Avengers Endgame, di fatto il “Signore degli Anelli” delle generazioni di giovani nati a cavallo tra la fine degli anni novanta e per tutti anni Duemila (2000-2010). Quest’epoca d’oro per il genere ha segnato, così, l’inizio dell’era degli universi condivisi influenzando tutti gli studios hollywoodiani dell’epoca, che malamente hanno cercato di replicare la formula vincente dei Marvel Studios, finendo col saturare il mercato dei blockbuster con cinecomics uno più fetente dell’altro. Tale débâcle produttiva e qualitativa non ha solo intaccato i concorrenti di Kevin Feige, ma anche gli stessi Marvel Studios che, pur tenendo il monopolio sulla loro formula vincente, hanno finito, con le varie fasi della loro efficiente catena di montaggio, con lo sprofondare a livello qualitativo una volta centrato il loro obiettivo finale della Fase 3. Inoltre, se vogliamo essere del tutto onesti, anche nella loro ascesa all’apogeo del loro impero commerciale e industriale hanno dovuto collezionare sonori flop artistici e alcuni addirittura commerciali, senza contare la gestione di cambi di rotta improvvisi nella strutturazione “drammaturgica” del loro organigramma a fasi. Tuttavia, ciò che li ha resi quello che sono oggi nonostante tutti gli inevitabili intoppi, è stata la lungimiranza, la perseveranza e infine la scommessa azzardata di Kevin Feige nel voler realizzare l’ottimo – a posteriori – primo film sui Vendicatori.
Cos’ha quindi The Avengers di così tanto speciale da renderlo un cinecomic spartiacque al pari dei cinecomics autoriali di Singer, Raimi, Nolan e Burton?
Innanzitutto, chiariamo subito che The Avengers, a differenza dei film autoriali dei precedenti registi citati, non ha minimamente quella stessa profondità da portare a chissà quali riflessioni sociopolitiche, filosofiche e psicologiche al suo spettatore, inoltre, a livello di regia non eguaglia minimamente la peculiarità visiva dei precedenti autori menzionati. Il film diretto e scritto di Joss Whedon è, infatti, un film fieramente e totalmente industriale, figlio di una scommessa produttiva di Kevin Feige nel voler inserire i codici narrativi dei fumetti nel blockbuster americano di quei tempi, portando quindi al primo e vero crossover della storia del cinema con più personaggi provenienti da vari film solisti (leggasi albi fumettistici), in cui in quest’ultimi si è costruita, con alti e bassi, una psicologia e un’evoluzione narrativa su ogni singolo supereroe. La confluenza di più star – all’epoca già in ascesa – all’interno dello stesso lungometraggio, l’unione di differenti psicologie e stili di ogni supereroe e, infine, ridividere nuovamente il cast degli Avengers in nuovi film solisti in un’alternanza tra microtrama e macrotrama, che porta naturalmente allo sviluppo simultaneo di più linee narrative parallele simile alla serialità televisiva, è ciò che rende in partenza The Avengers un cinecomic rivoluzionario e seminale per l’epoca. In questa ricetta produttiva venuta dall’alto risiede quindi la vera autorialità del MCU, che può coincidere (James Gunn) quanto divergere (Scott Derrickson) con i registi operai coinvolti nella realizzazione dell’ennesimo tassello della sua immensa macrotrama. In questo caso specifico, quindi, si ha una convergenza tra il genio produttivo di Feige e la timida autorialità del buon mestierante Joss Whedon. Il merito del successo del film, quindi, può essere considerato un buon 50 e 50, anche perché il regista coinvolto non è il primo malcapitato preso a caso per essere lanciato in un’impresa titanica e folle su carta.
Joss Whedon è, prima di tutto, un autore (showrunner) nel campo televisivo e famoso per aver creato due serie cult, Buffy l’ammazzavampiri e Firefly, quindi abituato negli anni a gestire coerentemente una produzione audiovisiva composta da macro e micro trame con all’interno una miriade di personaggi primari e secondari, ossia tutto ciò che vorrebbe traslare anche al Cinema il produttore illuminato Kevin Feige. Oltre ad essere uno showrunner affermato, quindi creatore e produttore di serie tv, Whedon è anche uno sceneggiatore, che non solo ha scritto parecchi episodi di svariate serie tv incluse le sue, ma ha anche sceneggiato perle come Toy Story, Quella casa nel bosco, Titan A.E. e Serenity, quest’ultimo uno splendido film sci-fi che conclude la sua serie cult space opera Firefly. Il reclutamento di Whedon da parte del “Nick Fury” Kevin Feige non è però solo dovuto alle sue ottime qualità come sceneggiatore e produttore – ed anche come regista perché no – ma perché il nostro è anche un fumettista che ha sceneggiato alcune serie a fumetti della Marvel e non solo. La statura di autore di Whedon al di fuori del panorama cinematografico diventa così un fattore determinante per la riuscita del progetto proto-televisivo e fumettaro di Feige, che ha così la fortuna di avvalersi di un ottimo mestierante-autore già avvezzo a parecchi aspetti tecnici e drammaturgici per dare luce all’inizio dell’impero dei Marvel Studios, rivestendo così i panni sia del regista che dello sceneggiatore. Questo doppio ruolo non è affatto scontato in un panorama industriale e commerciale come quello del MCU, abituato come sempre a separare i due ruoli in modo da schiacciare qualsiasi intento autoriale, salvo la rara eccezione di James Gunn, non a caso insieme a Whedon l’unico vero autore dentro la macchina produttiva di Feige. A differenza di Gunn, però, Whedon non è un autore nato nella Settima Arte con un peculiare sguardo sulla regia (si spiega così l’estetica parzialmente “anonima” del film su cui però ci ritorneremo dopo), inoltre si è ritrovato a dirigere due film corali importantissimi per l’ossatura del MCU che gli hanno impedito, di fatto, di emergere come un vero e proprio autore a tutto tondo come invece è successo a James Gunn.
Nonostante tutte queste limitazioni, lo showrunner da sempre amante della fantascienza, del fantasy, delle narrazioni corali e di personaggi femminili forti, con The Avengers riesce a dirigere e a scrivere con maestria un blockbuster rivoluzionario nel suo iper-concentrato di supereroismo, in cui convivono sei eccentriche ed eroiche personalità. La scrittura chirurgica e frizzante del grande Whedon riesce, infatti, magistralmente a centellinare i momenti di pathos, di distensione, di comicità e di elevata drammaticità grazie alla sua solida esperienza nel mondo televisivo e dei fumetti, nella quale riesce a compiere il miracolo di non prendere troppo sul serio i suoi supereroi per poi, però, renderli incredibilmente leggendari ed epici nella loro stravagante e indiscutibile umanità quando si tratta di salvare la Terra. Le varie personalità “freak” e gli eterogenei stilemi di ogni singolo personaggio si scontrano così violentemente (come lo scontro epico nel bosco della trinità composta da Iron Man, Thor e Captain America) per poi venire smussati, amalgamati e addirittura riscritti (Hulk, Vedova Nera e Occhio di Falco) con la funzione di distruggere l’ego del singolo per risaltare la compattezza del gruppo (poetico da questo punto di vista il sacrificio di Tony Stark nel finale). Il cinecomic di Whedon non ha quindi l’obiettivo di disquisire dei massimi sistemi sfruttando la materia supereroistica, anzi, la sua innovazione sta proprio nel puro studio psicologico dei suoi supereroi, di cui vengono denudati le loro insicurezze e traumi, in modo che le differenze caratteriali e opposte visioni del mondo di questi outsider emergano quel tanto da renderli umani e tridimensionali e, di conseguenza, con cui poter entrare in perfetta empatia. La formula seriale televisiva, nata principalmente per donare una maggior evoluzione caratteriale ai suoi svariati personaggi, viene così applicata a regola d’arte al Cinema e alle esigenze di Feige nel creare dei protagonisti fallibili, ma allo stesso tempo intrisi di un’aura mitica grazie alla splendida scrittura e regia di Whedon, che metteranno i poco conosciuti (all’epoca) Vendicatori nell’olimpo delle più famose icone cinematografiche di sempre. Lo scavo psicologico sui singoli Avengers, concentrato nel lungo secondo atto sopra la navicella volante dello SHIELD, è dunque di fondamentale importanza per la drammaturgia del film, la quale può vantare una solida scrittura dei suoi personaggi, in cui quest’ultimi con semplici e brevi linee di dialogo riescono ad esternare i loro malesseri esistenziali e scheletri nell’armadio. Ed è soprattutto nella bellissima scena di discussione di gruppo con Nick Fury che tutti i dubbi, le rivalità, le verità scomode e lo scontro di differenti visioni sul mondo raggiungono l’apice della tensione di questa esplosione chimica di corpi e cervelli fieramente eterogenei, che ha pure generato l’iconico meme “Civil War” nello scontro verbale tra Cap e Tony Stark, ormai entrato nell’immaginario collettivo (come tante altre scene dialogate e d’azione).
Seppur il blockbuster prodotto da Feige si concentri, dunque, maggiormente a costruire un’iconica band composta da soli frontman, Whedon riesce comunque ad inserire in uno script di puro intrattenimento delle schegge antimilitariste e antigovernative quando gli Avengers scoprono che lo SHIELD vuole usare il Tesseract per costruire armi di distruzione di massa come deterrente contro Asgard (tutto ciò porterà paradossalmente all’arrivo di Loki sulla Terra). Oppure, quando entra in scena il villain del film, Whedon non lesina critiche a qualsiasi forma di autoritarismo dettato dalla sete di potere egoista di un singolo individuo (Loki) o di un qualsiasi ente governativo (lo SHIELD), ponendo quindi una nutrita fede nella capacità del singolo eroe di fare gruppo e di smascherare “dal basso” i potenti, in quanto il primo espressione della voce di un popolo lontano dagli intrighi di potere di forze più grandi di esso (le ombre che compongono il consiglio dello SHIELD).
La soluzione sta quindi nella forza del gruppo, nel puro eroismo scevro da qualsiasi egoismo malato e autodistruttivo, visto che quest’ultimo porta soltanto a pregiudizi e divisioni, fino ad indebolire gli stessi supereroi. Questa filosofia costruttivista ed altruista a cui devono ambire gli Avengers nel corso del film per salvare il mondo, si scontra, di conseguenza, con l’affascinante Dio dell’inganno Loki – interpretato come sempre da uno straordinario Tom Hiddleston più ghignoso che mai stavolta – che nel secondo atto cerca di dividere gli Avengers sfruttando la sua intelligenza, atta soltanto a manipolare il prossimo per i suoi fini personali e deliri di onnipotenza. Non a caso già nell’incipit del film, il fratellastro di Thor usa uno scettro che controlla le menti per soggiogare il prossimo, proprio perché, dopo lo scontro su Asgard contro suo fratello Thor e suo padre Odino, il semidio asgardiano nella sua nuova crisi d’identità e invidia verso il fratello vuole sfogare la sua rabbia sulla Terra e vederla dominata sotto la sua tirannide per sopperire ad ogni sua insicurezza latente. Non è un caso che la sua volontà di onnipotenza sul prossimo e la sua sete di potere venga messa alla berlina e criticata da tutti gli umani e gli eroi che incontra sul proprio cammino, il che porta da un lato ad un ritratto quasi patetico e parodistico quando viene affrontato finalmente dagli Avengers uniti (con tanto di SMASH di Hulk), ma dall’altro ne esce un ritratto tragico e fragile di una persona consumata da un dolore esistenziale e incapace di instaurare un rapporto sincero ed empatico col prossimo. Difatti, proprio in virtù di questa tridimensionalità iniziata con il film su Thor e approfondita in The Avengers, Loki appartiene ad uno di quei rari casi del MCU in cui il villain non viene totalmente oscurato dagli eroi, tant’è che verrà riutilizzato nei successivi film guadagnandosi l’affetto dei fan (specialmente di sesso femminile) grazie al suo indiscutibile carisma.
La gestione di Loki da parte di Whedon rientra così nella sua sapiente decostruzione e ricostruzione del mito supereroistico degli Avengers, riuscendo magistralmente a gestire i tempi comici – ovvero le famose battutine Marvel per stemperare la tensione – con i momenti di maggior drammaticità del film, in cui il villain riesce a lasciare il segno con la sua malvagità attraverso minacce, manipolazioni e, infine, l’uccisione del fidato Phil Coulson. La sua morte costituisce di fatto il momento cruciale del lungometraggio, che dopo un’accurata disamina delle forze in campo sia benevole che malvagie, apre ad un’interessante riflessione sull’esercizio della retorica (americana e propagandistica?) e del potere morale della produzione di un mito – in questo caso il martirio del simpaticone agente dello SHIELD – anche quando quest’ultimo è basato su una menzogna. Eppure, lo slancio motivazionale degli Avengers (There was an idea), favorito da Nick Fury, riafferma la forza e la base drammaturgica della mitopoiesi supereroistica americana, stavolta, però, trasferita dal singolo supereroe ad un gruppo collettivo, che dal superamento del trauma della morte del loro amico e delle rispettive differenze interne, permetterà definitivamente al film di passare da un’aura fumettosa ad una più cinematografica dai toni squisitamente epici, come viene mostrato dalla scena di preparazione alla battaglia imminente contro Loki.
Ed è dunque nel terzo atto che Joss Whedon dimostra di aver fatto tesoro delle lezioni drammaturgiche della Silver Age dei cinecomics (2000-2011), ovvero quando riesce finalmente a collimare e collegare minuziosamente ogni tassello e puntino costruiti nei due atti precedenti dalla sua ottima sceneggiatura tra introspezione ed azione, il tutto funzionale alla costruzione di una battaglia finale dai toni epici e girata con tutti i crismi dalla sua regia invisibile altamente immersiva. Le sequenze memorabili del film, quindi, si concentrano dunque in quest’ultima fase del lungometraggio, in cui l’ex showrunner riesce a conferire organicità e omogeneità agli immensi effetti digitali che compongono la maggior parte del set, che tuttora dopo 11 anni non sono invecchiati di una virgola e perfettamente palpabili, a partire dalle ammaccature dell’armatura di Iron Man fino all’estetica del Golia Verde (tanti saluti alla grafica da PS3 de L’incredibile Hulk). L’invasione aliena dei Chitauri guidati da Loki rappresenta quindi il trionfo massimo della spettacolarità del cinefumetto dell’epoca, in cui Whedon realizza uno dei piani sequenza più belli del MCU, nella quale ogni Avenger viene mostrato nel suo combattimento aereo e/o terrestre contro l’esercito dei Chitauri, i soldati alieni di Thanos teletrasportati grazie al portale del Tesseract aperto da Loki. Questo immenso long take, secondo solo a quello di Gunn in Guardiani della Galassia Vol. 2, riesce a rappresentare perfettamente sia l’epifania nerd che ogni fan della Marvel sognava da quando leggeva i fumetti, sia la riscrittura dell’epica cinematografica ormai legata indissolubilmente con la mitologia del MCU, funzionando così perfettamente a livello cinematografico nella sua grande immersività al limite tra il reale e il videoludico. Altre sequenze memorabili del film, ormai incastonate nell’immaginario collettivo, sono il movimento di macchina circolare sugli Avengers che guardano su in cielo l’avanzare dell’esercito dei Chitauri e il “I’m always angry” di Bruce Banner/Hulk prima di stendere il Leviatano alieno, inoltre il campo di battaglia a New York viene gestito strategicamente e minuziosamente da ogni Vendicatore, senza rendere il tutto un vacuo esercizio di stile nerdoide e action senza pathos. Nella baraonda generale e iper spettacolare che segna il trionfo artistico, commerciale e drammaturgico della scommessa di Kevin Feige, il puro Cinema – che sia di puro intrattenimento o meno – lo si respira, soprattutto, nell’ultima scena magistralmente montata dalla direzione di Whedon, in cui, tra primi piani e ampi totali, si mostra il catartico sacrificio altruistico di Iron Man nel dirottare la scellerata testata nucleare dello SHIELD da New York verso l’armata nello spazio dei Chitauri, sancendo definitivamente la consacrazione e l’iconografia del binomio Iron Man/Robert Downey Jr.
Insomma, quello che poteva rivelarsi un fallimento totale dati i più o meno riusciti esperimenti solisti della Fase Uno, si è rivelato col tempo uno dei migliori cinecomic di sempre e un film spartiacque che ha rivoluzionato il cinema d’intrattenimento al pari dei suoi illustri predecessori autoriali della Silver Age, ma anche di perle come Guerre Stellari e Jurassic Park. Nel bene e nel male, dal 2012 in poi si è settato un nuovo canone drammaturgico e produttivo di fare blockbuster e il vero inizio dell’impero commerciale di Feige, che grazie al reclutamento di un ottimo mestierante come Joss Whedon, ha compiuto l’impossibile potendo così vivere di rendita per i prossimi decenni col suo marchio, anche quando gli stessi film corali degli Avengers successivi non son più riusciti ad eguagliare la perfezione del capostipite. A giustificazione di ciò, basti analizzare il finale del film, in cui Nick Fury prende la parola di fronte ai capoccia dello SHIELD nel raccontare le gesta leggendarie degli Avengers, in cui il montaggio alterna il suo epico discorso di chiusura – sulle note della splendida colonna sonora di Alan Silvestri – al congedo dei vari Avengers che, non parlando ed esprimendosi solo con l’ausilio della loro gestualità e dell’espressività dei loro volti, fuggono verso destini ignoti per un meritato riposo in barba al governo americano con tutte le sue macchinazioni.
La ciliegina sulla torta con quella A (individualista) rimanente della STARK tower pronta a fare il posto alla A (collettivista) degli AVENGERS prima dei bellissimi titoli di coda con tanto di comparsata del vero villain finale Thanos (che a posteriori aprirà ad alcune incoerenze e buchi di trama in The Avengers originati però dai film dopo e non dal film stesso), non fa altro che riconfermare l’inesauribile freschezza registica e di scrittura di un blockbuster che, ormai, è oggetto di studio e giustamente riconosciuto come una pietra miliare del cinema d’intrattenimento.
FUN FACT: Phil Coulson viene resuscitato nella prima serie tv del MCU, ossia Agents of SHIELD (2013-2020, con pilot diretto da Joss Whedon), ma gli Avengers non verranno mai a conoscenza della sua resurrezione. Questo è dovuto esclusivamente alla difficoltà enorme di collegare le serie tv con i film, anche perché collegare i due medium complicherebbe ulteriormente una macrotrama che, da The Avengers in poi, avrebbe creato già le sue prime incongruenze e incoerenze, quest’ultime però sempre notate solo dai fan e non dal pubblico generalista, che della continuity se ne fregherà il giusto. Inoltre, obbligare gli spettatori generalisti a recuperarsi una serie tv per comprendere meglio un film sarebbe stato delirante, ma alla fine ad una tale scelta narrativa si arrivò comunque, che però non scosse molto il pubblico, ma il sottoscritto sì. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò in un’altra fase…
Pagella dei Vitelloni:
CineNihilist ★★★★½
Alvy ★★★★★
InthemouthofEP ★★★★
Parere dei Vitelloni:
Alvy: “Capolavoro senza se e senza ma, 5 stelle su 5 senza se e senza ma. È semplicemente un’inscalfibile pietra angolare del cinema di intrattenimento per le masse. Semplicemente perfetto per ritmo, montaggio, colonna sonora, spazio dato a ciascun eroe, motivazioni del villain, progressione climatica, uso dell’umorismo (la presentazione di Tony Stark nel primo atto con relativi siparietti con la Paltrow è straordinaria, sembrava di vedere Cary Grant e Rosalind Russell in La signora del venerdì). Non avrà quel sottotesto autoriale dirompente che Spider-Man 2 o Il Cavaliere Oscuro o Batman Returns riescono ad esplicitare in maniera più chiara? Verissimo. È un film che prima di ogni altra cosa vuole intrattenere? Verissimo. È un film che vuole parlare ad un pubblico dai 0 ai 90 anni, senza scene scomode o hot o orrorifiche o troppo drammatiche o troppo serie? Verissimo. Ma me cojoni se funziona. Ma me cojoni se stai lì attaccato allo schermo e non vedi l’ora di sapere come vada a finire. Ma me cojoni se la CGI è sempre credibile. La messa in scena, poi, in alcuni frangenti è veramente videoludica, soprattutto nella battaglia finale a New York, però non è mai un problema, perché è come se ogni microsequenza “videoludica” fosse attaccata a quella successiva con un montaggio puramente cinematografico che ne modifica il senso. Poi la capacità produttiva di lavorare su più piani testuali (i fan di vecchissima data che hanno letto tutti i fumetti e visto tutti i film; i fan recenti che si sono appassionati all’MCU col primo Iron Man; semplici spettatori occasionali; cinefili duri e puri) raggiunge qui un apice mai più toccato in seguito per coerenza e qualità. La vera autorialità di questo capolavoro sta nella produzione, che ha fatto un autentico miracolo, riuscendo a rendere di massa qualcosa che era di nicchia, creando un immaginario assolutamente fervido, fecondo, stimolante e intelligente. È un problema se la fotografia di tutti i film che abbiamo visto finora compreso questo sia sempre uguale? È un problema se le coreografie action siano buone ma non eccezionali? È un problema se a volte l’esigenza di unire tutti i puntini renda lo script un po’ macchinoso? Assolutamente no. Capolavoro straordinario. Forse 4.5 stelle su 5 sarebbe il voto più giusto, ma voglio premiare questo film col massimo perché coglie l’essenza del cinema: arte popolare, per tutti. E questa, ai miei occhi, è sana autorialità Disney, a riprova che non è mai il “cosa dici” il problema, ma il “come lo dici”. E in The Avengers il “come lo dici” è perfetto. Masterpiece epocale, c’è un prima e un dopo questo film, molto più del primo Iron Man, prototipo affascinante ma con alcuni limiti. Immenso.
E questa è una dei più grandi main theme di sempre. Chi non mette questo tema accanto a Psycho, a Jurassic Park, a Star Wars, a Taxi Driver, ad Anatomia di un omicidio, a Indiana Jones, a Per un pugno di dollari è veramente un irriducibile snob.”
InthemouthofEP: “Film semplicemente bellissimo, che crea un intrattenimento per le masse divertentissimo inanellando scene una più coinvolgente dell’altra. I personaggi hanno tutti il loro spazio, nessuno eccede togliendo posto a un altro, è tutto calibrato perfettamente: spettacolo per le masse con cuore e sensibilità, che ti conquista e ti porta via con sé, riuscendo a far affezionare alla sua poetica epica e supereroistica anche il più restio degli spettatori, ovvero me, che mai avrei pensato un giorno di poter dire che The Avengers è un film almeno da 8.5. Secondo me grandissima parte del lavoro lo fanno la regia e il montaggio, sempre freschissimi e coinvolgenti… è quella che il caro Frusciante chiama “regia invisibile”, non nel senso che non ci sia, ma nel senso che è tanto perfettamente calibrata che è come se non ci fosse, è come se lo spettatore fosse presente al momento dell’azione. Ah, OST superba ovviamente. E cameo di Harry Dean Stanton geniale. Captain America che se ne va in moto mi ha fatto scendere una lacrimuccia. Ma i Vendicatori si ritroveranno…”
Rilevanza: 3. Per te?
Sì
No
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