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ed wood:
… il rapporto fra realtà e mezzi di riproduzione della stessa; il rapporto fra Occidente e immigrazione; l'indecifrabilità del reale scaturita dall'impossibilità di decodificarne i segni; l'insormontabile muro che si viene a creare fra due soggetti comunicanti.
cheftony:
Il tema principale è assai ricorrente nel cinema hanekiano: “Caché” è un film sul modo in cui ci interroghiamo sul nostro senso di colpa, su come reagiamo alla consapevolezza di avere qualcuno sulla coscienza e su come queste dinamiche inficino i rapporti personali, familiari e professionali. In particolar modo, il protagonista Georges rifiuta ogni responsabilità, nega, si ritiene vittima di una vendicativa persecuzione e continua a gettare il suo passato sotto il tappeto, senza mai fare davvero i conti con i suoi errori e le sue bestialità, ritenute leggerezze degne di essere dimenticate.
“C’è sempre una colpa collettiva che può essere collegata ad una colpa personale.” [Michael Haneke]
steno79:
… Haneke sferra un nuovo attacco all’ipocrisia borghese, alle false certezze di cui si nutre una casta di privilegiati che preferisce rimuovere (il titolo originale vuol dire appunto “rimosso”, “nascosto”, “latente”) le discriminazioni e le ingiustizie perpetrate ai danni degli individui più deboli e oppressi; tuttavia, qui il conflitto si pone soprattutto nei confronti degli immigrati, con una spaccatura drammatica che lo rende estremamente attuale ai nostri giorni. Alla fine chi è il colpevole? …
laulilla:
Il confronto fra i due svela impietosamente chi è ancora una volta la vittima e chi continua a essere il carnefice, con la sua arroganza, con la presunzione di aver capito e con la prepotenza di chi sa di aver dalla sua, in ogni caso, la forza delle leggi e di uno stato cieco almeno quanto lui.
Ran08:
… sia qua che nel Nastro Bianco, trovo assolutamente geniale il modo in cui Haneke riesce a fondere vicende private e personali con problemi politici e sociali di ampia portata (il nazismo nel Nastro Bianco, qui il rapporto problematico fra l'Europa con il suo passato imperialista e con le altre culture). Secondo me questo è ciò che il cinema realista deve fare: non espone semplicemente il problema ma riesce a calarlo nel contesto privato attraverso una forma artistica.
… il finale lascia abbastanza intendere che il responsabile dei video sia il figlio di Majid. Alcuni hanno anche azzardato la complicità del figlio di George, aprendo in questo modo un dibattito interessante: la nuova generazione supera il dissidio di quella dei propri padri.
steno79:
… la coppia Daniel Auteuil/Juliette Binoche, entrambi di grande precisione interpretativa e perfettamente in grado di restituire le incertezze e la confusione di Georges e Anne, personaggi con cui Haneke non entra mai in empatia …
SalvoVit:
Illude lo spettatore, lo devia e lo porta su una strada assurda, facendolo pensare e portandolo alle stesse conclusioni alle quali arriva Georges, mostrandoci quanto noi spettatori siamo facilmente manipolabili e possiamo tranquillamente essere uguali a quell'uomo …
La borghesia francese crede di essere libera, di essere capace di (auto)gestirsi, di controllarsi ma Haneke ce la rappresenta come una borghesia debole, che crede solo di essere forte ma che ha bisogno continuamente di nascondersi. La famiglia Laurent, la quale simboleggia la borghesia francese (e non), ha sempre bisogno di sicurezze ed equilibri, nascondendosi continuamente tra i muri della casa(-prigione), tra le pareti di libri, e quindi con (falsa) cultura. I tre non si parlano, sembrano robot ingenui programmati per vivere nel presente non interrogandosi su chi gli sta intorno e su se stessi. I tre non sanno nulla di nessuno di loro, se ne stanno zitti, in silenzio. I problemi non importano si possono ignorare perchè forse è meglio pensare che non ci siano, lo sappiamo...è importante mantenere quegli equilibri che hanno da sempre mantenuto in piedi quei muri, quelle pareti (metaforicamente parlando).
Poi ad un tratto arriva qualcosa (qualcuno?), delle cassette.
… la borghesia è stata aggredita dall'esterno, gli equilibri sono stati spezzati, i muri sono caduti, le sicurezze sono assenti e la borghesia esplode mostrando a se stessa il suo lato più oscuro. I problemi non possono più essere ignorati, le discussioni pacifiche si trasformano pian piano in litigi, l'evasione mentale e psicologica si concretizza, e tutti vanno in cerca di qualcosa che possa ristabilire gli equilibri e ridare quella sicurezza. L'unica ancora di salvezza diventa il passato, forse è lì che si nasconde il segreto, il frutto della salvezza.
Tex61:
Georges guarda con distacco al suo passato e più lo percepisce più lo nega; è emblematico come nei primi contatti con Majid gli dia del lei.
… Georges è incapace di reagire come non reagisce di fronte al gesto estremo di Majid in quell’impietrita immobilità …
cazzeggiatore del millennio:
Si parte dai dialoghi più banali, quelli soliti, curati nei minimi dettagli, quasi indifferenti tanto tutto è scontato. Si prosegue, s’insinua pian piano il veleno di un personaggio i cui messaggi trasformano questa vita in qualcosa d’insopportabile, atroce. Come chiusi in gabbia, ci si attacca sgretolando le certezze più banali … Certe cose non ce le si dice, persino il rapportarsi alla minima banale domanda è atroce.
amandagriss:
Guarda caso quando accade tutto questo? quando il protagonista ha piena stabilità nella sua vita privata e lavorativa, può dirsi soddisfatto, può rilassarsi finalmente, ed è qui che casca l'asino come si suol dire. c’è un fatto scatenante? Il film comincia già dalle cassette
AtTheActionPark:
Si nota come egli abbia cercato di crearsi una barriera, anche culturale [quelle pareti stracolme di libri - che ritornano anche nel set televisivo], per proteggersi.
Certo, la sua è una famiglia che è già sgretolata dalla prima scena (i due litigano fin dall'inizio).
Tex61:
… quelle cassette sono la coscienza ignorata, accantonata di Georges e poco conta da dove provengano.
AgentCooper:
La videocassetta permette di registrare appunto luoghi, sensazione e contro la nostra volontà può mettere in moto dei sensi di colpa che si erano annidati nel nostro cervello. La nostra memoria può far finta di dimenticare ma attraverso la tecnologia si possono avere delle prove materiali. I sensi di colpa che attanagliano il protagonista sono sempre li celati e alcune scene del film sono li a ricordarcelo.
steno79:
… lunghi piani-sequenza dei luoghi in cui si svolge la vicenda, che improvvisamente ci accorgiamo essere immagini riprodotte in VHS …
Peppe Comune:
I diversi piani sequenza usati da Haneke, le immagini delle videocassette e i sogni di George tendono sorprendentemente a coincidere per stile e contenuti tanto che si è indotti a pensare ad un unica matrice che senza soluzione di continuità intreccia il reale, la proiezione che si fa di esso e i sogni che ne riflettono solo la parte disturbante, per farne, evidentemente, tre parti distinte di un unico luogo mentale.
… George è un manipolatore di immagini interviene nel montaggio del suo talk, sa perfettamente cosa significa intervenire in una storia … Ciò che lui è abituato a fare per lavoro è poi costretto a subirlo
… si genera una lineare conseguenzialità narrativa tra ciò che George guarda e fa e quello che altri guardano e fanno per lui …
… schema che prevede l'andare avanti e indietro, il concentrarsi su un particolare e l'allontanarsene, come se con un telecomando si stesse intervenendo lungo la linea della vita …
ed wood:
è la sua coscienza a produrre quelle immagini. Lo dimostra anche un particolare a mio parere significativo: quei video non sono in digitale, ma in cassetta (come se venissero da un’altra epoca, quella della sua infanzia).
… il protagonista non è solo un conduttore televisivo, ma anche un “manipolatore di immagini” (si veda la sequenza in cui smonta e rimonta una sua trasmissione): ciò testimonierebbe la sua attitudine a proiettare nel mezzo audio-visivo la propria identità.
ed wood:
… un’immagine fissa sull’edificio scolastico (moderno orfanotrofio?), che fa seguito al sogno/ricordo con cui il protagonista osserva, da debita distanza, il momento in cui Rashid fu portato via. Il significato è ambiguo …
cheftony:
Haneke prende essenzialmente in prestito la struttura base di un thriller e, grazie ad essa, riesce a tenere incollati durante la visione nonostante il ritmo costantemente soffocato (e brillantemente calibrato) e la totale assenza di una colonna sonora
laulilla:
Il regista dice esplicitamente che il finale dipende dal tipo di lettura dello spettatore, che non è detto veda chiaramente quello che accade nell'ultima scena del film.
La camera è lontana e presenta un quadro complessivo chiaro, mentre molti particolari, anche significativi rischiano di perdersi, ciò che appunto il regista voleva …
.."poscia, più che il dolor, poté il digiuno", tanto per farti un esempio (dei più celebri) di "voluta enigmaticità", che, accrescendo il mistero, accresce la drammaticità della fine del conte Ugolino.
logos:
Ma chi spia non vuole essere spiato, lo sapeva già bene Sartre. Colui che guarda non sopporta di essere guardato …
sasso67:
Haneke (a livello tematico ed espositivo, il suo corrispondente asiatico è Ki-duk Kim)
marx79:
e se ogni tanto non si riescono a ricostruire esattamente i tasselli del puzzle...e che sarà mai!!Un pò meno di autocompiacimento alle volte ci farebbe pure bene! (Ri)leggete Adorno!
lorebalda:
Secondo me il film ripete cose già dette mille volte (sia sul tema delle manipolazioni delle immagini e del loro legame con la coscienza, sia sulla questione razzista), e il tema sociologico del colonialismo mi sembra affrontato con molta superficialità, uno specchietto per le allodole - un altro modo per Haneke di mettersi al riparo da quel che racconta, un altro modo per raffreddare la materia narrativa. Sinceramente, non mi ha mai inquietato: piuttosto ho trovato frustrante [sarà calcolato pure questo?] la facilità rassicurante e lineare con la quale il regista mette in relazione sfera privata e collettiva.
AtTheActionPark:
Però accusare che il film "corra al riparo" non mi sembra adeguata, non facendo Haneke un cinema "viscerale", ma che tende, per sua natura, a distanziarsi dalla materia presa in esame (ma mi sa che su questo discorso c'eravamo già arenati con 'Funny Games').
lorebalda:
Sì, verissimo, Haneke non fa un cinema viscerale: ma in questo caso, a differenza di La pianista, ad esempio, mi sembra che il metodo utilizzato per raffreddare la narrazione sia appunto una bella forzatura, molto facile e 'redditizia'. Non metto in discussione la distanza hanekiana, ma l'appoggiarsi del regista, in Niente da nascondere, su una tematica forte e in fondo accessoria, sviluppata con una certa confusione e superficialità. Ho trovato più coraggiosi La pianista e Funny Games, che [in parte] ci privano di rassicuranti appoggi. Ps: il discorso di Funny Games è diverso [la rappresentazione della violenza, la polemica col cinema americano].
AtTheActionPark:
… anche secondo me il tema sociologico del colonialismo è uno specchio per le allodole (come l'Amore in 'Amour')... se ricordo bene, il tema principale di 'Caché' è la riproducibilità delle immagini e il linguaggio audiovisivo (... se tutto è inganno, non c'è niente da nascondere) …
E forse l'aver inserito il discorso colonialista è stato un po' forzato, da parte di Haneke [il rischio è quello di risultare un po' semplicistico], anche se … era solo un modo come un altro per parlare del "rimosso", in generale. … Scrive, infatti «naturalmente, la questione algerina è nel film, ma sarebbe un peccato ridurre la storia solo a questo. E' un film sulla colpa in generale, sulle colpe personali di ognuno di noi, la storia di un uomo che nasconde la testa sotto la coperta per dimenticare le sue scelte. …
… il discorso metalinguistico … Sì, è vero, Antonioni aveva già raccontato della fallacia dell'immagine [Blow-up]. Trovo, infatti, la stessa inquietudine, che però non è "spettacolare", non è invadente (come potrebbe essere quella di 'Strade perdute', film che con 'Caché' ha molti punti in comune). Haneke ne trae un film, di nuovo, frustrante per lo spettatore. Che gioca continuamente con il sospetto della natura delle immagini osservate dallo spettatore (quante volte, durante il film, ci si chiede "ma è una video-registrazione O LA REALTA'?"). È un gioco al rimpiattino (a mio parere riuscito), destabilizzante, che però - e questo è il punto centrale - non ha nessuna volontà di farsi davvero "inquietante" (il discorso anti-spettacolare/anti-americano funziona proprio su questo binario). La prima sequenza è perfetta... ce lo dice pure il regista stesso: «La strada ripresa dalla videocamera è sempre quella, e quando la voce fuori campo dei due personaggi principali rivela il loro disagio di fronte a ciò che non sono in grado di comprendere, noi scrutiamo il fotogramma in lungo e in largo cercando di trovare qualcosa che non c'è. Cos'è che non va? Forse quella luce accesa? Forse quell'auto parcheggiata? Forse quella porta chiusa? Forse quella lontana discussione, appena percepibile, in distanza?». Ecco, da questo punto di vista, il film mi sembra riuscito e niente affatto banale (o "già visto"). Non può essere un film davvero inquietante, perché, quello di Haneke, è un «cinema della negazione».
lorebalda:
su molti punti non sono d'accordo. Innanzitutto non trovo che Niente da nascondere rappresenti un buon esempio di "cinema della negazione". La frustrazione che mi ha provocato la revisione di questo Haneke non ha niente a che fare con la mancanza di appoggi. Piuttosto, ed è questo il guaio [e mi ritrovo qui con Fornara], Niente da nascondere ci dà pure troppe chiavi interpretative (i binari sono più di due, tutti molto ingombranti). Che cos'è Niente da nascondere? Cinema teorico? Cinema politico? Cinema impegnato? Cinema antiborghese? Cinema a tesi? Sono tutti spunti che il film di Haneke offre [eccoli gli "appigli"], confusamente, senza approfondire. Il 'gioco a rimpiattino' del film è in fondo l'unica cosa interessante e originale, ma [ancora!] il regista non va fino in fondo, non è rigoroso (i flashback e le parentesi oniriche sono di una mediocrità estetica imperdonabile e - va detto - parecchio fastidiosa). Ancora Haneke concede allo spettatore tante giustificazioni, tante chiavi di lettura - tante possibilità di difesa. E non è questo un modo, per il regista, di nascondere [e rendere più accettabili] le sue reali intenzioni - ovvero continuare il 'funny game' del film omonimo? Niente da nascondere non è mai destabilizzante [almeno, non mi ha mai destabilizzato]: è solo frustrante. E un po' confuso. Le dichiarazioni del regista che mi riporti confermano questa mia idea: il film offre tante strade, nessuna sviluppata a dovere, nessuna svolta fino in fondo.
AtTheActionPark:
Flashback e le parentesi oniriche sono estranee al discorso metalinguistico, perché fanno parte, piuttosto, del "binario" patetico sul senso di colpa, che non trovo riuscito.
28.07.23
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