Arrivano i primi film da Venezia e tra questi ce n'è subito uno importante. È il film di Gianni Amelio, Il signore delle formiche, che riporta all'attualità un processo - terribile nella sua pretestuosa prevaricazione - di cui la storia e la società italiana sembrano avere perso la memoria e che eppure diventa tra le mani del regista italiano non solo l'occasione per ridare la scena alla figura e alla storia di Aldo Braibanti, ma anche quella per lanciare un monito alla nostra società, ancora alle prese con tante incertezze, sempre passibili di trasformarsi, se manipolate da politici spietati, in negazioni di diritti. Ed è bello constatare come la distribuzione del film abbia cifre importanti, per una volta: 450 sale. Un coraggio che speriamo sia premiato dal pubblico anche perché si parla di un film costruito con la solita garbata e attenta regia di Amelio e con prove d'attore - su tutte quella di Lo Cascio - di grande spessore.
Anche il secondo film meglio distribuito (318 sale), il thriller Watcher, diretto da una donna esordiente, Chloe Okuno, e interpretato da Maika Monroe, è accompagnato da critiche positive. Saranno invece 50 le sale per l'altro film del concorso veneziano, Love Life, del giapponese Kōji Fukada , che arriva però venerdì: un numero più meno analogo a quello delle sale dedicate alla commedia thriller (o al thriller comico?... non ci sono più i generi di una volta, signora mia...) Vengeance, ma superato da quelle per la commedia francese Rumba Therapy, che saranno circa 80.
Roberta Torre firma un documentario "recitato" che fa luce su un aspetto non indagato della vita delle persone transessuali. Perché si parla - più di prima - degli aspetti sorgivi della transizione, dei suoi problemi, dell'accettazione, ma si parla ben poco della vecchiaia e della morte. Lo fanno qui sette donne trans mature che si occupano della storia - vera - di una loro amica defunta e sepolta in abiti maschili dalla famiglia, che ha sempre ostacolato la sua scelta. Cercheranno di rimediare, a modo loro e con umanità, a uno sfregio oltraggioso, restituendole simbolicamente la libertà.
Il debutto alla regia per Chloe Okuno, presentato al Sundance, è questo thriller psicologico che parla del disagio femminile e della difficoltà che hanno le donne nel farsi credere, nel non essere ritenute irrazionali o paranoiche quando denunciano situazioni che generano in loro preoccupazione e ansia. E in questo caso, con un serial killer in azione che la protagonista crede di identificare nell'uomo da cui si accorge di essere spiata e seguita, c'è davvero poco da stare tranquilli.
Gianni Amelio presenta questo suo nuovo lavoro, in concorso a Venezia, che ha il merito di ricordare cosa fu il caso Braibanti, che nell'Italia del'68 portò ad accusare - e imprigionare - per plagio (l'unica condanna mai comminata per un reato inesistente e poi cancellato) una delle figure più interessanti della cultura italiana del dopoguerra: partigiano, professore, pensatore, poeta e scrittore. E omosessuale.
La provincia grossetana è l'ambientazione di questa prima regia per Nicolò Falsetti (che però opera già da un po' nel mondo dell'audiovisivo), presentata in questi giorni alla Settimana della Critica a Venezia. La storia è quella di una band punk che dovrebbe aprire il concerto di un gruppo americano e che - quando il concerto viene annullato - si dà da fare in proprio per organizzare lo stesso l'evento. Con tutte le - enormi - difficoltà del caso.
“Tutto ciò che mi serve per fare una commedia è un parco, un poliziotto e una ragazza carina.” disse Chaplin. Oggi le cose si complicano e la commedia di Franck Dubosc si inventa addirittura un padre che per entrare in contatto con la figlia abbandonata da piccola e che ora ha una scuola di rumba, si iscrive in incognito ai suoi corsi, imparando a ballare fino a diventare il suo compagno per una competizione. Acrobatico.
E così anche Owen Wilson - che associamo naturalmente a Wes Anderson e alle tante commedie che ha interpretato - ha avuto il suo ruolo da supereroe. È ovviamente un cortocircuito vederlo indossare un'armatura, ma il film è decisamente destinato a un pubblico di ragazzini e non è cosa da prendere troppo sul serio.
B.J. Novak - che è diventato celebre come attore per aver interpretato Ryan di The Office, serie della quale è stato anche produttore e sceneggiatore - approda qui alla sua prima regia, dirigendo se stesso in un film che "si è scritto addosso" e che ha toni da commedia, ma sfiora anche altri generi: di ambientazione molto texana, la storia verte intorno al caso della morte per overdose di una ragazza e all'indagine giornalistica che lo scrittore protagonista inizia, ritenendo si tratti di omicidio.
Il lavoro del premiato regista Kōji Fukada è il secondo film che arriva dal concorso veneziano e colma una lacuna: Fukada è considerato tra i maggiori autori del cinema giapponese contemporaneo, ha vinto premi nei festival di tutto il mondo, ma sinora diversi suoi film non hanno trovato distribuzione da noi. La vicenda che racconta è una storia intima e femiliare, il ritratto di una donna e di una madre la cui vita viene sconvolta dall'improvviso ritorno del padre biologico di suo figlio.
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