David Fincher oggi compie 60 anni. Tra i cineasti probabilmente più influenti nel panorama mainstream-autoriale degli ultimi 30 anni, l'autore matura il proprio percorso stilistico in una lunga e voluminosa 'gavetta' nel mondo delle pubblicità e in quello dei videoclip, per poi debuttare nelle sale cinematografiche con il terzo capitolo della Saga di Alien (di cui però non si ritiene particolarmente soddisfatto, a causa soprattutto dei problemi produttivi) affermandosi successivamente con il brillante thriller "Se7en". Come per Nolan, anche per Fincher non riesco a provare un'adorazione 'totale', a differenza di altri Autori per i quali ho dedicato altre retrospettive. Personalmente arrivo a considerarlo, proprio come il più giovane autore britannico, un tantinello sopravvalutato, almeno in alcune 'correnti' cinefile attratte da alcuni grossi nomi di Hollywood (ma a quanto pare la critica tende a vedere sempre di buon occhio i lavori fincheriani). Pur avendo nella sua filmografia diversi Cult che amo moltissimo (il citato "Se7en", "Fight Club", "Zodiac", ma apprezzo molto anche "Alien³", che ritengo sottovalutato, e "The Social Network"), la sua carriera presenta per circa metà titoli a mio avviso debolucci come "The Curious Case of Benjamin Button" (al contrario del terzo Alien per me sopravvalutato) e i da me recentemente visti "Panic Room", "Gone Girl", "The Girl with the Dragon Tattoo" e "The Game" (forse il peggiore per me). Ad essere sincero, però, ora (grazie anche ad uno scambio di opinioni con CineNihilist qualche settimana fa) non sono così sicuro di reputare Fincher 'sopravvalutato come Nolan'. Innanzitutto, ripensando meglio a come viene accolto non posso affermare con certezza che Fincher goda di una venerazione 'assoluta' come sembra godere invece Nolan tra la gente sua fan. Inoltre, se i film per me meno riusciti di Nolan sono quelli dove si sente una maggior pretenziosità da parte sua (soprattutto nella tripletta 'fantascientifica' costituita da "Inception", "Interstellar" e "Tenet"), nei suoi film meno riusciti Fincher mi dà l'impressione di non essere pienamente convinto o, perlomeno, di limitarsi ad un impegno meramente tecnico-lavorativo e non artistico. Probabilmente il motivo per cui lo consider(av)o 'sopravvalutato' è puramente emozionale e si lega al confronto che personalmente ho 'dovuto' operare tra lui e Orson Welles. La prima occasione in cui ho sentito l'urgenza di confrontare i due Autori è capitata quando, nell'attesa di entrare in un'aula per un test relativo al cinema, sentii un gruppetto di ragazzetti (pseudo?)cinefili sminuire la grandiosità dell'Autore di "Citizen Kane" in favore del geniale Fincher. La seconda occasione è stata Fincher stesso a servirmela, quando ha deciso di realizzare "Mank" partendo da una sceneggiatura del padre: già dalla sinossi, che puzzava delle teorie ampiamente smentite di Pauline Kael in cui si accredita il merito della grandiosa riuscita di "Citizen Kane" unicamente o quasi allo sceneggiatore Herman Mankiewicz, nutrivo enormi sospetti sul progetto e leggendo alcune dichiarazioni di Fincher nel periodo di promozione del film finito, in cui egli sminuiva praticamente tutta la carriera post-"Citizen Kane" dell'eccellente Cineasta, per reazione ho iniziato a guardare con maggior antipatia l'autore di "Fight Club", pur continuando ad amare i Cult sopra citati. Detto ciò, Fincher resta sicuramente un regista importante nell'evoluzione del Cinema hollywoodiano contemporaneo, soprattutto per l'utilizzo del digitale e degli effetti visivi, e quindi non potevo non dedicargli un omaggio accompagnato da maratona di revisioni (e prime visioni), iniziando anche a leggere il saggio "David Fincher: La polisemia dello sguardo" a cura di Antonio Pettierre. Come per altri autori (per me) 'minori', anche qui le riflessioni sui singoli film avranno una lunghezza relativamente breve, probabilmente sotto i 1000 caratteri. Spero comunque che la lettura possa risultare interessante.
Con Sigourney Weaver, Charles Dance, Lance Henriksen
ALIEN³ L'esordio di David Fincher alla regia di un lungometraggio cinematografico, dopo diversi anni passati a realizzare spot pubblicitari e videoclip (guadagnandosi una certa considerazione in questi campi) avviene con il terzo capitolo della Tetralogia di Alien, ovvero "Alien³". Travagliato già in post-produzione, tra scritture e riscritture varie, anche durante le riprese i problemi non mancarono spingendo il regista a disconoscere il risultato finale lamentando ingerenze e mancanza di fiducia da parte dei produttori, motivo per cui nel box del 2003 sulla saga non ci sono sue partecipazioni negli extra. Sicuramente "Alien³" non è il miglior film della Tetralogia e nemmeno l'Assembly Cut, pur avvicinandosi maggiormente alla visione dell'autore, lo rende completamente riuscito, ma per me è comunque interessante grazie a diverse trovate sceniche intriganti, ad un ottimo lavoro attoriale e ad una Colonna sonora straordinaria. Un gioiellino forse mancato ma per me resta un ottimo Film.
SE7EN Dopo le difficoltà di "Alien³" David Fincher torna, nel 1995, in sala con "Se7en" ottenendo un ottimo successo di pubblico e critica. Thriller poliziesco costruito con ottimo senso della tensione e del ritmo, con una scansione temporale utile nel rendere più drammatico il tutto. Il Finale è tragico e negativo (SPOILER): il piano di John Doe (ovvero la non-identità con cui in Usa si indicano i soggetti non identificati) si completa con la morte di sé stesso (macchiatosi volontariamente d'Invidia nei confronti di Mills) e la morte 'psicologica' di Mills, spinto all'Ira dall'uccisione della moglie incinta. Le Musiche di Shore sono sempre straordinarie, il Montaggio dà il giusto Ritmo ad ogni scena, la Fotografia è fredda e in linea con l'Apatia del mondo occidentale (Tema cardine della Pellicola), e il Cast è sublime. Importante la Pioggia, presente per quasi tutto il Film tranne che nel finale dove dalla città ci spostiamo nel 'deserto'. Rivedendolo l'ho apprezzato ancor di più.
THE GAME Dopo "Se7en" (ma a quanto pare era intenzionato a mettere in scena quest'altro progetto prima) David Fincher realizza "The Game": accolto bene dalla critica ma con scarso successo al botteghino, con gli anni la pellicola mi pare sia sfumata nei ricordi collettivi e lo stesso regista ha ammesso di non esserne pienamente soddisfatto. Io avevo sentito parlare maluccio di questo film, in particolare per il finale, e sostanzialmente le mie aspettative tiepide si sono avverate: "The Game" infatti mi è parso un thrillerino che in ogni secondo promette chissà che colpo di scena e, se da un lato l'epilogo è riuscito a non essere da me previsto, dall'altro questa imprevedibilità non si traduce in stupore e sorpresa ma in incredulità e sorrisi (miei) quasi imbarazzati. Peccato sprecare un Cast così valido (più che Michael Douglas o Sean Penn qui per me brilla Deborah Kara Unger) in un prodottino a mio avviso mediocre come questo, giustamente ignorato di solito quando si parla di David Fincher.
FIGHT CLUB L'intrigante Romanzo di Chuck Palahniuk "Fight Club" attira anche prima della sua pubblicazione l'attenzione di Hollywood con diritti acquisiti dalla Fox, la quale poi affida la regia all'entusiasta David Fincher che torna a dirigere Brad Pitt: non amato dalla produzione, il Film alla sua uscita non incassa subito quanto sperato e polarizza la critica, ma con gli anni è diventato uno dei Cult più controversi del Cinema contemporaneo. Adorato fin dalla prima visione, con spoiler già noto, anche per me "Fight Club", pur magari non essendo un Capolavoro (c'è il rischio di celebrazione della mascolinità tossica e sul finale la sospensione dell'incredulità è tirata un po' troppo) merita lo status di Cult grazie alla sua ricchezza spunti di riflessione sulla società e sul Singolo. Il Montaggio ritma l'intricata narrazione in modo brillante, il cast è bene o male tutto in parte, la sceneggiatura è briosa, la fotografia è contemporanea ma in modo personale e ad ogni visione intriga sempre.
PANIC ROOM Il terzo millennio cinematografico per David Fincher si apre con "Panic Room": scritto da David Koepp, il film ottiene un buon successo al botteghino e viene accolto bene anche dalla critica. Visto a pezzi in tv da ragazzino, di recente ho finalmente recuperato la visione integrale del film per poi riguardarlo poco più di un mese dopo nella mia maratona fincheriana. Tecnicamente abbiamo movimenti di macchina intriganti aiutati da un buon uso degli effetti digitali, il cast è molto buono (specialmente Foster e Whitaker), le musiche di Shore coinvolgono, l'idea ha del potenziale e ci potrebbero essere spunti filo-femministi. Però siamo anche di fronte ad un thriller-home invasion dal sapore molto hollywoodiano, con moraletta piccolo-borghese inclusa in cui, se da un lato si prova simpatia per il 'ladro buono', dall'altro non si giustifica minimamente il furto in case ricche. Tutto sommato è un buon thriller ma non lo trovo imperdibile, e riguardandolo mi ha convinto ancora meno.
ZODIAC Ispirandosi all'omonimo libro (e a "Zodiac Unmasked") di Robert Graysmith, Fincher racconta i delitti di Zodiac e le relative indagini protrattesi per anni senza individuare con certezza un colpevole. Pur prendendo una posizione abbastanza precisa sulle ipotesi riguardanti l'identità del killer (soprattutto in certi dettagli nel Finale), il Regista mantiene comunque il Dubbio: Zodiac non è mai mostrato in volto nelle scene d'omicidio e, alla fine, quello che emerge dalla visione è un senso di Impotenza. Il Film, inoltre, concentra il proprio sguardo non tanto sulle possibili identità del killer quanto sull'osservazione dell'influenza del Caso Zodiac sulla psicologia dei Personaggi e, in particolare, dei Protagonisti. La Psicosi collettiva suscitata dall'Assassino impalpabile, nascosto in ogni angolo e potenzialmente autore di ogni delitto, mostra una Società paranoica, distratta col Terrore e la Morbosità dagli altri grossi problemi del mondo. Una delle migliori Opere di Fincher.
THE CURIOUS CASE OF BENJAMIN BUTTON Il racconto (che spero di leggere a breve) di F. Scott Fitzgerald "The Curious Case of Benjamin Button" attira diversi studio hollywoodiani fin dagli anni '80, con ipotesi di registi includenti Oz e Spielberg, ma alla fine è David Fincher ad aggiudicarsi il progetto che vede così la luce nelle sale nel 2008, incassando assai bene e venendo accolto, come i precedenti lungometraggi fincheriani, bene dalla critica. Visto qualche volta da ragazzino apprezzandolo, col passare degli anni il mio pensiero sul film si è sempre più ridimensionato. Riguardandolo, per la prima volta in english, confermo che gli effetti speciali restano avanguardistici, anche se ora si nota una certa cartoonosità, e qualche momento buono c'è, ma per il resto per me questo è un prodottone tipicamente hollywoodiano ricolmo di sentimentalismo banale (seppur con qualche preziosa deroga ai dogmi monogami) e allungato fin troppo. Si guarda e volendo si riguarda pure, ma al massimo restiamo in territori discreti.
THE SOCIAL NETWORK Sceneggiato da Aaron Sorkin ispirandosi al libro di Ben Mezrich "The Accidental Billionaires" e prodotto da Kevin Spacey, "The Social Network" apre gli anni '10 a David Fincher: un altro successo sia di pubblico sia di critica, è stato più volte citato come uno dei migliori film della passata decade. Mi aspettavo qualcosa di retorico e apologetico (come spesso secondo me accade con i biopic), alla prima visione mi stupì in positivo, soprattutto per la sempre magnifica cura estetica fincheriana e soprattutto per il brillante uso del montaggio, curato a quattro mani da Angus Wall e Kirk Baxter, fondato su un meccanismo di continua alternanza tra la narrazione principale e le trattative processuali senza praticamente mai rendere prevedibili gli stacchi. Riguardandolo confermo le mie ottime impressioni il caso facebook viene reinterpretato aprendo possibili riflessioni esistenziali sulla vacuità emotiva in cui il capitalismo inevitabilmente trascina gli individui. Lo rivedrei ancora.
THE GIRL WITH THE DRAGON TATTOO Il successo del romanzo svedese di Stieg Larsson "Män som Hatar Kvinnor" e della saga letteraria Millennium, oltre a generare una trilogia svedese, attira ovviamente l'attenzione di Hollywood e così, con Steven Zaillian alla sceneggiatura e David Fincher alla regia, nel 2011 approda nelle sale "The Girl with the Dragon Tattoo", altro buon successo di pubblico e critica per il regista. Non avendo ancora letto il romanzo non so quale sia la trasposizione più fedele, però posso operare un confronto personale tra i due film. Obiettivamente l'estetica del film fincheriano è più cinematografica rispetto al film di Oplev (almeno nella versione estesa), il cast è buono, nonostante un'iniziale impressione di accenti posticci, e la scelta di mantenere l'ambientazione scandinava stupisce da parte di Hollywood. Però ho trovato il film di Fincher meno coinvolgente e brillante e nel finale per me si perde via. È comunque interessante e intrattiene, ma non è affatto imperdibile a mio avviso.
GONE GIRL Tratto dall'omonimo romanzo di Gillian Flynn (che cura anche la sceneggiatura), "Gone Girl" genera un altro buon successo economico e critico per il regista David Fincher, e pare sia divenuto già un cult. Siamo di fronte ad un thriller-drama-noir interessante e con diversi sviluppi narrativi che catturano l'attenzione, Rosamund Pike come protagonista femminile è straordinaria e volendo si possono trovare buoni spunti di riflessione su come la verità venga costantemente confusa nella narrazione mediatica contemporanea, più interessata alle sensazioni forti che allo studio attento dei fatti. Per contro, però, l'accumulo di colpi di scena e cambi di direzione alla lunga (secondo me) stanca e, se da un lato si mette in scena un ritratto forte di Femminilità con visione indebolita della mascolinità dall'altro il rischio di dar manforte a interpretazioni misogine degli abusi domestici è altissimo. Almeno una visione può meritarla e forse lo riguarderei anche ma non subito e non spesso.
MANK Dopo "Gone Girl" passano sei anni, riempiti da serie tv, prima di vedere tornare, nel 2020, David Fincher nuovamente alla regia di un lungometraggio cinematografico: tratto da una sceneggiatura del padre Jake (morto nel 2003) e prodotto da Netflis, "Mank" è un altro successo di pubblico e critica per il regista. Fin dal suo annuncio temevo la 'promessa' del film di sposare la teoria (ampiamente smentita) secondo cui Welles avrebbe scritto poco o nulla della sceneggiatura di "Citizen Kane", ma al contempo speravo che la prospettiva fornita potesse aprire interessanti spunti di riflessione: il risultato finale 'soddisfa' entrambi i pronostici, visto che appoggia pienamente l'idea di Mank come unico autore dello script ma dall'altro propone un ritratto decadente di Hollywood e del sistema di potere che da sempre la sorregge come istituzione. Comunque l'ho trovato buono (nonostante la ricerca dell'effetto pellicola invecchiata non inganni minimamente) e probabilmente lo riguarderei.
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