61 film visti rappresentano il mio record personale in un Festival e l'ho segnato a questo 75° Cannes, il primo che abbia seguito dal primo all'ultimo giorno. Ecco la classifcia dei miei preferiti, trasversale a tutte le sezioni, i film a cui ho assegnato come voto almeno il 7 pieno. Noterete l'assenza della Palma d'oro, che per il secondo anno consecutivo non si è guadagnata i miei favori.
Colpo di fulmine alla Quinzaine per l’opera prima da regista dell'attrice cilena di origini italiane Manuela Martelli, un dramma politico sulla vita di una donna nel Cile del terzo anno della dittatura di Augusto Pinochet che evolve in un thriller al cardiopalma.
Crimes of the Future è un film spiazzante e morbosamente accattivante, che spesso fa di tutto per respingerti e tuttavia non si sfugge alla sua cattura. Porta tutti segni essenziali dello stile inconfondibile che l'autore canadese ha sviluppato ed affinato durante decenni, continuando la ormai lunga galleria degli incubi di Cronenberg
Bellocchio dimostra grande capacità di tirare le fila dei diversi personaggi in una narrazione corale e di sfruttare al meglio i tempi dilatati della serialità per moltiplicare i punti di vista sui tragici eventi, concentrandosi nei diversi episodi ora sulla prospettiva di Moro, ora su quella del ministro dell'Interno Cossiga, ora su quella della famiglia e poi ribaltando la prospettiva per mostrarci il sequestro dal punto di vista dei brigatisti sequestratori.
In questo horror psicologico estremamente inquietante, Alex Garland riesce a farci veramente paura dominando al meglio gli stilemi del genere con estro visionario. Si prende i gusti tempi per far salire la tensione e far gradualmente comprendere la natura della minaccia, che dapprima appare infestare le profondità del tunnel nel bosco che risuonano dell'eco della protagonista e poi la insegue diventando home invasion, proseguendo con la moltiplicazione dei mostri dal medesimo volto e, senza paura di osare, con unaterrificante sequela di modificazioni corporee à la Cronenberg.
Una delle scene che rimangono impresse di RMN è una concitata assemblea della cittadinanza, ripresa da Mungiu in un unico lunghissimo take, dove si dibattono le varie posizioni sull'immigrazione, con le più chiuse e spaventate in larga maggioranza.
I fratelli Dardenne si mantengono sempre coerenti alla loro idea di cinema come racconto delle storie degli ultimi, con lo stile asciutto ma efficace con cui conferiscono dignità alle vicende umane di soggetti emarginati da una società ingiusta e troppo spesso spietata.
In terra straniera l'autore nipponico non si allontana affatto dai pilastri centrali della sua poetica e del suo stile: la disamina dei legami familiari e dei connessi sentimenti, il lirismo e la delicatezza, seppur accordati questa volta alle necessità più commerciali del cinema sudcoreano, che ha imposto un ritmo più sostenuto e meno contemplativo del suo solito.
“Una fantasia musicale di João Pedro Rodrigues” è il sottotitolo della nuova variazione sulle note del queer dell'autore portoghese. Il corpo dei bombeiros dove si arruola il giovane Alfredo sembra più che altro un prodotto delle fantasie erotiche del suo autore. Essendo una fantasia musicale, grande spazio è occupato dalla musica, tra balletti del corpo dei vigili del fuoco interrotti dalla sirena che li richiama in servizio, Mozart, la canzone educativa per bambini “il mio amico albero” ricordo d'infanzia del regista e l'immancabile fado della tradizione lusitana.
Il regista e sceneggiatore Lotfy Nathan confeziona un dramma sociale di tagliente efficacia sulle perduranti storture della società tunisina dopo un decennio dalla primavera araba e sulla frustrazione delle sue giovani generazioni per cui l'unico appiglio di speranza rimane l'emigrazione verso l'Europa. Con un approccio alla Ken Loach e anche grazie al suo bravo protagonista restituisce dignità alla lotta quotidiana contro la miseria.
Close è un piccolo film tenero e intimo, commovente senza scadere nel mieloso o nel piagnucoloso. Risparmiando sui dialoghi e concentrandosi maggiormente su volti, sguardi e dettagli, anche della natura, l'autore riesce a fotografare l'innocenza, l'imbarazzo e lo smarrimento dei suoi giovani protagonisti e a rendere l'idea dell'intensità unica del loro particolare rapporto, così come del senso di perdita che segue
Quella di Palmason in terra d'Islanda è una originale e intrigante variazione sul topos del viaggio che cambia per sempre un uomo, ma stavolta non certamente in meglio, facendo piuttosto emergere una natura ambigua e addirittura feroce che la civiltà urbana danese aveva seppellito ma non sradicato.
Mia Hansen-Løve dimostra sensibilità, discrezione e leggerezza di tocco nel confezionare una commedia drammatica semplice e lineare e tuttavia mai facilona od approssimativa, sottraendosi alle trappole ricattatorie in cui facilmente cadono i film che trattano di malattia e fine della vita di una persona cara.
L'America di quattro decenni fa vista attraverso gli occhi di un bambino in questo racconto di formazione nella Queens dei primi anni Ottanta, ispirata alle esperienze autobiografiche dello stesso regista James Gray che adotta una forma classica per confezionare una coming-of-age story d'impronta autobiografica e personale, ma intrecciata a tematiche sociali di più ampio respiro.
Nonostante la lunga durata di 2 ore e 45 minuti, Leila's Brothers riesce a non stufare mai, fitto di dialoghi tra le continue discussioni e battibecchi familiari simili agli incontri di wrestling che la famiglia segue appassionatamente in tv, le bugie e gli inganni per il denaro, le tensioni e le vecchie e nuove recriminazioni che dividono una famiglia
Butterfly Vision del regista ucraino Maksym Nakonechnyi ci porta alla cruda realtà della guerra nel Donbass, che era in corso da anni prima che riesplodesse nelle nostre consapevolezze con l'invasione dell'Ucraina da parte di Putin nello scorso febbraio. Girato ovviamente prima degli ultimi eventi bellici, la sua presentazione al Festival 2022 è quanto mai attuale e necessaria. Il film affronta un tema durissimo come quello degli stupri come arma di guerra, il trauma terrificante, gli effetti devastanti sulla psiche che rendono impossibile il ritorno della vittima all'esistenza precedente e le scelte difficilissime che impone la conseguente gravidanza.
Aggiunto all'ultimo minuto alla selezione del Festival di Cannes 2022, presentato in Salle Buñuel dal team che lo ha creato, meno purtroppo il regista Mantas Kvedaravicius, ucciso proprio dalla guerra che stava raccontando e ricordato con commozione dalla coautrice e vedova Hanna Bilobrova, che ha ne montato il girato. Nessuna voce narrante a commentare le immagini che si commentano d'altronde da sole, testimonianza evidente della crudele follia di una guerra che l'autore ha dato la vita per raccontare.
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