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L'abbaiare dei cani di Ramstein alle porte di Corleone.
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L'abbaiare dei cani di Ramstein alle porte di Corleone.

Giù le mani dal mio spazio vitale!

 

Sullo scandalo metallico / di armi in uso e in disuso,
a guidare la colonna / di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera,
la maggioranza sta; la maggioranza: sta.

 

Papagni (o meglio buffetti, ma magari - dotati di atropina e ioduro di potassio - al Sarin radioattivo). 

 

Già le Città Stato greche fondarono colonie nel cuore delle fertili terre nere (oggi ucraine) a nord del Mar Nero rendendo gli abitanti della zona schiavi o servi della gleba, e Atene si sfamava grazie ai serbatoi di grano di quelle regioni (cfr. David Greber e David Wengrow, "the Dawn of EveryThing", 2021). La Storia che coltiva, nutre, divora, digerisce, espelle, concima, coltiva: https://en.wikipedia.org/wiki: Cucuteni-Trypillia Culture.  

Playlist film

 

«Fare il cane del Sinai» pare sia stata locuzione dialettale dei nomadi che un tempo percorsero il deserto altopiano di El Tih, a nord del monte Sinai. Variamente interpretata dagli studiosi, il suo significato oscilla tra «correre in aiuto del vincitore», «stare dalla parte dei padroni», «esibire nobili sentimenti».

 

I servizi televisivi: arma totale.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

 

"Ad un certo momento sento che ho fame, ero con una mitragliatrice all’angolo di un'isba attraverso la strada e vado a cercare da mangiare. Mi sparano - “PAM!” - sento la pallottola che mi passa vicino. Arrivo alla porta di un'isba, non ho dato un calcio e nemmeno ho spianato un’arma, ho bussato ma chissà poi perché. Perché davanti ad una porta che non si conosce si chiede permesso. Mi insegnavano mia madre, mio nonno, mi dicevano che davanti ad una porta chiusa chiedi permesso prima di entrare. Eravamo in battaglia, ragazzi, eravamo in battaglia ed io ho chiesto permesso, ho bussato perché mi avevano insegnato da bambino che alla porta si bussa. Mi hanno detto di entrare e sono entrato. C’erano dentro soldati russi che fino a poco prima ci eravamo sparati, fino a due momenti prima. Erano li che stavano mangiando ed io rimango con il fucile in spalla e loro mi guardano e si fermano, stavano mangiando e si fermano a mangiare e mi guardano, avevano lì le loro armi, avrebbero potuto ridurmi…a non essere qui e ho detto: “Datemi da mangiare”. La donna che era li, la madre di famiglia con i bambini - erano lì i bambini assieme ai soldati - ha preso il piatto e dalla zuppiera che era in mezzo alla tavola, una pignatta, non era una zuppiera, ha preso il cibo, me lo ha porto e ha detto: “Mangia!”. Ho mangiato in silenzio ed i russi mi guardavano, non hanno fatto nessun gesto, mi guardavano fermi immobili. Quando ho finito di mangiare ho detto “Grazie!” e sono uscito. Sono uscito dai nemici con i quali mi ero sparato prima e assieme abbiamo mangiato. Era il 26 gennaio del 1943."

 

Le precedenti parole, tratte da questa - https://www.yumpu.com/it/document/read/15981491/testo-dellintervista-a-mario-rigoni-stern-convenzione-delle-alpi - intervista, sono pressapoco le stesse che Mario Rigoni Stern pronuncia di fronte a Marco Paolini, Carlo Mazzacurati e al direttore della fotografia Alessandro Pesci (e decine di volte in giro per il paese e le sue scuole, di fronte agòi studenti di elementari, medie e superiori), e allora si potrebbe obbiettare: "semplice trasposizione, semplice illustrazione". No, è proprio qui che Mazzacurati mantiene la posizione, di fronte al miracolo di una vita, conserva e pratica mettendola in opera la giusta distanza, fino a quel finale campestre, bucolico, nell'occhio del ciclone, durante il disgelo...

 

"L’isba dove mi accettarono era spaziosa e pulita, e abitata da una famiglia di gente giovane e semplice. Mi preparai in un angolo sotto la finestra la cuccia per dormire. Passai sdraiato su un po’ di paglia tutto il tempo che rimasi in quella capanna; sempre lì sdraiato per ore e ore a guardare il soffitto. Nel pomeriggio c’erano nell’isba solo una ragazza e un neonato. La ragazza si sedeva vicino alla culla. La culla era appesa al soffitto con delle funi e dondolava come una barca ogni volta che il bambino si muoveva. La ragazza sedeva lì vicino, e per tutto il pomeriggio filava la canapa con il mulinello a pedale. Io guardavo il soffitto e il rumore del mulinello riempiva il mio essere come il rumore di una cascata gigantesca. Qualche volta la osservavo e il sole di marzo, che entrava tra le tendine, faceva sembrare oro la canapa e la ruota mandava mille bagliori. Ogni tanto il bambino piangeva e allora la ragazza spingeva dolcemente la culla e cantava. Io ascoltavo e non dicevo mai una parola. Qualche pomeriggio venivano le sue amiche delle case vicine. Portavano il loro mulinello e filavano con lei. Parlavano tra loro dolcemente e sottovoce, come se avessero timore di disturbarmi. Parlavano armoniosamente tra loro e le ruote dei mulinelli rendevano più dolci le voci. Questa è stata la medicina. Cantavano anche. Erano le vecchie canzoni di sempre: Stienka Rasin, Natalka Poltavka e i loro antichi motivi di balli. Guardavo per ore e ore il soffitto e ascoltavo. Alla sera mi chiamavano per mangiare con loro. Mangiavamo tutti nel medesimo recipiente con religiosità e raccoglimento. Ritornava la madre; ritornava il padre; ritornava il ragazzo. Solo alla sera ritornavano il padre e il ragazzo; si fermavano poco, ogni tanto guardavano dalla finestra e poi uscivano insieme sino alla sera dopo. Una sera che non vennero la ragazza pianse. Vennero al mattino. Il bambino dormiva nella culla di legno, che dondolava leggermente sospesa al soffitto; il sole entrava dalla finestra e rendeva la canapa come oro; la ruota del mulinello mandava mille bagliori; il suo rumore sembrava quello di una cascata; e la voce della ragazza era piana e dolce in mezzo a quel rumore."

 

Un punto e virgola per ogni respiro, e Mazzacurati abita quel tempo consentendogli di scorrere integro, intero, intatto.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

 

Alexandr/a.

 

Quattro giorni, due sogni nel dormiveglia prima del ridestarsi all'alba ed un ricordo ancora fresco di cose appena vissute, e un brusco risveglio.

 

1.1   Rivoluzione

 

La mia forca conficcata nel linoleum della palestra [...].

Noi siamo le madri senza figli che ammazzano i figli degli altri.

 

Andrea Tarabbia - il Demone a Beslan - A. Mondadori Ed., 2011

 

...Spesso è da forte,

Più che il morire, il vivere.

 

Vittorio Alfieri - Oreste ( atto IV°, scena II° ) - (1776) 1777-1781

 

1.2   Nonna e Nipote.

 

Dopo 7 anni di lontananza reciproca, Aleksandra Nikolaevna

( una grande Galina Pavlovna Višnevskaja, Soprano ( Leningrado, 25 ottobre 1926 - Mosca, 11 dicembre 2012, e in mezzo il mondo, l'Europa e gli U.S.A. ), già moglie di Mstislav Rostropovic, entrambi molto amici e collaboratori di Dmitrij Šostakovic ),

un'anziana signora russa, va a trovare il nipote ( Vasily Shevtsov : per rimanere provinciali : un Jeremy Renner russo ), che "non somigli[a] per niente al principe Myskin" e si trova al momento, e vi è impegnato da un bel po', in Caucaso sul fronte Ceceno.

 

2.1   ControRivoluzione

 

<< Non dovresti sempre portarti dietro la forca >>, ha detto Margarita.

L'ho guardata da sotto il berretto, mentre un rivolo di sudore mi colava sugli occhi.

<< Cosa ? >>

<< Se all'improvviso ci sarà bisogno di correre, quella cosa che ti pende lungo il fianco ti farà cadere >>

<< Se avremo bisogno di correre >>, ho detto, << vorrà dire che sarà comunque finita >>

 

A.Tarabbia, op.cit.

 

Dalla paura di tutti nasce nella tirannide la viltà dei più.

 

Vittorio Alfieri - Della Tirannide ( libro I°, capitolo IV° : "Della Viltà" ) - 1777

 

2.2   Elegia Caucasica.

 

Le macerie si sono assestate, dopo i bombardamenti a tappeto, piccoli arbusti e giovani alberi affondano le loro radici tra i mattoni e le crepe nel cemento degli edifici sventrati, cortili interni che danno sull'orizzonte aperto, e in questo paesaggio, così come i bambini, che continuano a nascere e crescere, fino a diventare ragazzi più grandi, adolescenti quasi adulti, ancora indecisi su quale strada far prendere al loro sguardo, se far sorridere gli occhi o raggrumarli in un ghigno di pietra, muti in un discorso di resistenza, ecco che un falso movimento di macchina da presa esplora in campo fisso con un surrogato di tilt-shift un caseggiato di Groznyj squarciato dalle esplosioni che accoglie il pellegrinare di Alexanda dal Campo degli Invasori al Paese dei Ribelli rintracciando le linee di fuga dell'architettura e ridisegnandole all'interno dell'inquadratura inseguendo le linee cadenti orizzontali correggendone il fuoco della prospettiva ( da cuscino a barilotto ) : come il film che distorce la Realtà riproducendola in una messa in scena quasi classica e mainstream facendole compiere una torsione attorno a sé stessa per restituirne la Verità...

 

3.1 Restaurazione

 

<< Tu >>, ha detto. << Avvicinati >>

[...]

<< Adesso scegline ventisei >>

 

A. Tarabbia, op.cit.

 

Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

 

Vittorio Alfieri - Della Tirannide ( libro I°, capitolo II° : "Cosa Sia la Tirannide" ) - 1777

 

3.2 Arca Cecena.

 

Seduta dentro l'abitacolo di un veicolo blindato, impugnando un fucile che non stringeva nelle mani dalla difesa di Leningrado e prendendo la mira, ne fa scattare il grilletto a vuoto : " Facile ! ".

Non è una tenera nonna, Aleksandra, ma è una donna forte ( " Penso che la mia vita stia giungendo alla fine. Io voglio vivere. Il mio corpo è invecchiato. Ma la mia anima può ancora vivere un'altra vita " ), è stata la moglie di un marito irascibile ed una madre austera e autoritaria.

Galina Višnevskaja vi si dedica in toto : se non fosse Sokurov, il suo regista sarebbe Miyazaki.

 

Il verde olivastro della poca erba che si intravede durante il percorso sulla scorciatoia è prezioso in questa pellicola ( fotografia di Aleksandr Burov ) seppiata e desaturata

 

{ come Madre/Padre e Figlio, i Giorni dell'Eclisse, Molokh-Telets-Solntse [ e in questo "Aleksandra" assume su di sé la reciprocità della presa d'atto su cui s'impernia la Trilogia del Potere : se Hitler e Hiroito ( e Stalin, ch'è e rimane Faust e Demonio ) - ma non Lenin, che invece è un caso diverso trattato in modo ancora differente - vengono ritratti come persone normali e di fenomenale inezia, ecco che la nonna dell'ufficiale russo sul fronte ceceno assume valenze di prodigiosità quotidiana ed esemplare ] e in molte Elegie, ma non in "Arca Russa" e "Faust", carichi, gremiti e densi di colore },

 

piena di polvere e sudore, caldo e sangue.

 

La musica, e la voce di Galina Višnevskaja, è presente quasi solo verso l'inizio e la fine, come un'eco di vite possibili.

 

La genetica, le generalizzazioni, i generi.

Il buon senso che sfida il senso comune.

"Da soli si sta male". La treccia della vita.

 

4.1   un Film di Evidenze.

 

Libero.  

Ma un Popolo libero è egli mai insolente, sanguinario, ed ingiusto ?

 

Liberto.  

Ascoltami, e taci. Di un Popolo corrotto e marcito nella mollezza e il servaggio, ell'era cosa impossibile affatto il crearne un Popolo libero e d'alti sensi, se non si mettea mano al ferro, per estirparne i tanti membri insanabili : se non si organizzava un terror permanente per spaventare i dubbiosi, risolvere gl'irrisoluti, elettrizzare gli stupidi, e vieppiù inferocire gli ardenti; dai quali soltanto le memorabili e sublimi mutazioni promuover si possono, e consolidare. Tutti dunque coloro, che direttamente o indirettamente dalla potenza illimitata traevano o lustro o potenza o ricchezze, nemici necessari di ogni nuova potestà, si dovevano o convertire, o distruggere. Il convertirli riusciva impossibile, o lungo, o dubbio partito; lo spegnerli, era utile e certo. Noi quindi, costretti dalla imperante necessità dei frangenti, anzi che veder tronca a mezzo la nostra magnanima impresa, abbiam dato nelle proprietà, e nel sangue di quei tanti nemici nati del nostro sistema; ed abbiamo in tal modo assodate le basi della libertà, e dell'eguaglianza.

 

Vittorio Alfieri - il Misogallo ( parte III°, prosa IV° : "Dialogo fra un Uomo Libero ed un Liberto", 23 luglio 1794 ) - 1789-1799 (1814)

 

4.2   Contro / Basso Impero.

 

Che la Quadrilogia sul Potere sia una Pentalogia ? O il Dittico Famigliare un Trittico ? O l'arca russa dotata di una scialuppa di salvataggio...

   

Malika ( l'anziana signora Cecena con la quale Aleksandra stringe amicizia, un'altrettanto grandiosa Raisa Gichaeva ) alla protagonista :

 

" Qui è stato distrutto tutto, non soltanto le case. La vita è stata stravolta. I buoni stringono la mano ai cattivi, i santi credono ai diavoli. Dicono belle parole. Mentono continuamente...".

 

Aleksandra a Ilyas, il giovane ceceno figlio di una vicina di casa al paese di Malika che riaccompagna al Campo Militare dell'esercito russo Aleksandra :

 

- Hai mai viaggiato ?

- No.

- Dove vuoi andare ?

- A vedere la Mecca, e da voi in Russia a Pietroburgo.

- Per la Mecca t'arrangi da solo. Ma posso aiutarti a vedere Pietroburgo. A cosa stai pensando ?

- So che non dipende da lei, ma lasciateci liberi. Siamo stanchi, noi non possiamo sopportare per sempre.

- "Noi" chi ? Ragazzo mio, se fosse tutto così semplice ! Qualunque pazienza ha un limite.

 

Il film pretende di mettere in scena questa semplicità di approccio alla vita e alla guerra con disinvolta elementarietà, di sfiancare la complessità delle 'ragioni' umane facendole rincorrere la propria coda.

Ché poi ogni limite ha la sua pazienza.

Un film in cui la forza della ragione si sostituisce sia a qulla delle armi che a quella della commossa speranza.

E ritornando a quell'inquadratura che rappresenta l'arrivo di Aleksandra a casa di Malika, è ancora lo stesso lavoro di interpretazione della percezione che il nostro cervello opera sulle linee convergenti rendendole parallele : nella realtà questo accade naturalmente, ma quando la realtà è riprodotta a due dimensioni ecco che l'auto inganno automatico non può più avvenire : il cervello ha troppo poche informazioni, paradossalmente, e la semplicità non lo aiuta essendo inattaccabile, compartimentata ed inalterabile : l'errore permane, lo sguardo ne è infastidito : Sokurov lavora su questo piano : il suo algoritmo di deformazione della realtà ci indica la via, mettendosi in gioco, compromettendosi, vendendo la propria anima al coinvolgimento su più fronti.

E' un forzare la prospettiva, un'indirizzare la percezione : sta a noi interpretare questo precipitato d'informazione.

Il punto di fuga è la comprensione reciproca.

 

5.1   i Giorni dell'Eclisse.

 

...nuove economie, nuovi schiavi, nuove catene

vecchie teorie nei salotti per bene

dotte citazioni dal tirannicidio dell’Alfieri

ma ferme condanne dell’uso di proiettili veri

fra una calata di barbari e l’altra il medioevo è tornato

tutto ciò che ci eravamo preso lo rivogliono indietro...

 

Giorgio Canali - Risoluzione Strategica #6 - Rojo – 2011

 

5.2   Arca Russa - postilla

 

Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo che le persone vogliono cambiare la propria vita per il meglio ma che non sono in grado di farlo, e che per darsi un contegno continuano a mentire a sé stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano.

Per il mio sistema di valori, è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno comunque, è praticamente certo, lo raccoglieranno e se lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini non bisogna fare i funghi.

 

Anna Politkovskaja - Diario Russo, 2003-2005 - Adelphi, 2007 ( trad. Claudia Zonghetti )

 

" Fate la guerra da troppo tempo. Vi siete abituati. Vi piace ? "

 

Malika volta le spalle all'addio e inizia ad attendere la sorpresa di un ritrovarsi, ed io mi ricordo il più buon grano saraceno e carne che non abbia mai gustato.

Sokurov non disinganna il sogno, ma non per questo tradisce la realtà delle cose come stanno. Messe. Male.

 

Rilevanza: ancora nessuna indicazione. Per te? No

 

“Il marcato dev’essere (Ra) Ta-Ta-Ta!” / “Come fosse il presagio di qualcosa…”

 

“Torneranno i Prati” (da sminare con - sempre di Ermanno Olmi - “i Recuperanti”: dalla Campagna di Russia all'Altopiano di Asiago), passando dal Coro della Messa a Requiem che sale dalle Trincee della Prima Guerra Mondiale [la Grande Berta (“Shoulder Arms” di Charles Chaplin) è uno C.M.Schröder in ebano di fine XIX secolo] verso il Dies Irae della Sonata Atomica che sale dall’Epicentro della Seconda Guerra Mondiale (e culmina nella Trenodia per le Vittime di Hiroshima di Krzysztof Penderecki), e da “Spara, Jurij!” (spera, spara, spira) a “Suonala ancora, Jurij!”

“Le sgocciolature di stanotte nell’interno del mio baracchino mi hanno demolito quel residuo di forza volitiva che mi rimaneva. Io che mi sono immerso con gioia nelle bufere di neve sull’Adamello, perché esse bufere erano nell’ordine naturale delle cose e io in loro ero al mio posto, io sono atterrito al pensiero che il soffitto del mio abituro sgocciola sulle mie gambe: perché quella porca ruffiana acqua lì è fuor di luogo, non dovrebbe esserci: perché lo scopo del baracchino è appunto quello di ripararmi dalle fucilate e dalla pioggia. Sicché, per non morir nevrastenico, mi do all’apatia.”
Carlo Emilio Gadda - “Giornale di Guerra e di Prigionia” - 21 Luglio 1916

 

Il cinema è un’orchestrazione di arti e mestieri e i primi teatri cinematografici accoglievano proprio un’orchestra in disparte nelle quinte o posizionata nella sua congenita ubicazione nella fossa del golfo mistico durante le proiezioni per accompagnare col ritmo della musica le gesta plastiche degli attori sulla scena illuminante lo stuolo filmico messo a sipario.

 

La “Giovinezza Russa” del titolo originale “Malchik (ovvero ragazzo: burgess-kubrick-aclockworkorangesche reminiscenze) Russkiy” [l’ottuso, pervicace, (in)utile, felice (da qui la contrapposizione dicotomicamente ovvia col Gaddus futuro ingegnere in blu), consapevole idiota Alexey (confutazione del Paradigma Vittimario del soldato - contadino, operaio, impiegato, studente - costretto alla guerra: e quindi, ancora, Gadda), interpretato da Vladimir Korolev, che non può fare ritorno a casa, così conciato com’è, prima cieco, poi sordo, per finire col fare il mendicante e pesare sulle spalle della famiglia] è quella che, rispetto all’odierno assetto geo-politico mondiale, sta per prepararsi a vivere l’Impero degli Zar in attesa di disgregarsi (salvo poi riproporsi nell’immantinente - resosi defunto Lenin e reso defunto Trockij - attraverso nuove e per molti versi peggiori declinazioni, come del resto ancora oggi) sotto la spinta rivoluzionaria operaio-bolscevica che di lì a poco porterà alla presa del Palazzo d’Inverno, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, la quale a sua volta altro non sarà che la “Prova d’Orchestra”, messa in scena alla Reggia di Versailles, della Seconda: e come maglio felliniano, oppenheimerianamente scisso, eccoli: Little Boy (ah!), all’uranio, e Fat Man, al plutonio (come the Gadget, il predecessore d’entrambe durante il Trinity Test che liberò Morte, ovvero Tempo, l’indifferente sordo-cieco distruttore di Mondi).

In “A Russian Youth”, a un secolo di distanza, i due insiemi di ruoli operanti su linee (spazio)temporali diverse vengono interpretati da due cast attoriali - la compagnia di soldati e la banda orchestrale: due gruppi distinti, ma comunicanti grazie al montaggio, più o meno composti da ragazzi (e, nel secondo caso, anche da ragazze) della medesima giovane età - reclutati dall’autore e compartimentati in maniera stagna, ma immessi in un continuo, se pur irreciproco, flusso dialogico infra-diegetico.


“A rivedere il buio ritorno nella patria per me desolata, e la sua tomba deserta e lontana. La mia vita è inutile, è quella di un automa sopravvissuto a sé stesso, che fa per inerzia alcune cose materiali senza amore né fede.
Lavorerò mediocremente e farò alcune altre bestialità, sarò ancora cattivo per debolezza, ancora egoista per stanchezza, e bruto per abulia, e finirò la mia torbida vita nell’antica e odiosa palude dell’indolenza che ha avvelenato il mio crescere mutando le possibilità dell’azione in vani, sterili sogni.
Non noterò più nulla, poiché nulla di me è degno di ricordo anche davanti a me solo. Finisco così questo libro di note.”
Carlo Emilio Gadda - “Giornale di Guerra e di Prigionia” - 1919, 1955

Con commovente obbligazione alla mente tornano, per la sostanza trattata, “Oh, Uomo!”, “Prigionieri della Guerra (1914-1918)”, “Su Tutte le Vette è Pace” e “Ghiro Ghiro Tondo” di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, da una parte, e l’altrettanto seminale e imprescindibile “Va’ e Vedi” (“Idi i Smotri”) di Elem Klimov (passando dalla WW1 alla WW2), dall’altra, e, per lo stile fotografico, la poetica pittorica di Andrej Tarkovskij, ma ad essere accreditato - oltre e più che dai titoli di coda - dal dato di fatto contenutistico-formale come produttore artistico è Aleksandr Sokurov (che del regista di “L’Infanzia di Ivan”, “Andrej Rublëv” e “Stalker” ne è il naturale successore), nume tutelare dell’opera e dell’autore stesso, Alexander Zolotukhin, classe 1988 (un anno dopo saranno glasnost e perestrojka a sfondare muri e cortine: “Journey to Russia” e “A Propos de Nos Voyages en Russie”, sempre di Gianikian e Ricci Lucchi), di origini ucraine, qui alla prova dell’opera prima dopo due cortometraggi, uno in solitaria, “Life Story of My Friend”, e un altro come segmento di un’opera collettiva, “Neighbors”.

 
Fotografia (4:3) di Ayrat Yamilov (verso la fine, come pure altrove, un frammento di pellicola appare graffiato dal tempo: in realtà è un intervento fisico e volontario à la Stan Brakhage). Montaggio: Tatyana Kuzmichyova. Scenografie: Elena Zhukova. Costumi: Olga Bahareva. Trucco: Kseniya Malkina. Suono: Andrey Fonin.
Musiche preesistenti tratte dal catalogo di Sergej Vasil'evic Rachmaninoff (composizioni rispettivamente - un concerto per piano dall’aspra e precisa dissonanza dei passaggi e accordi armonici e, fra le sue ultime opere, una danza sinfonica - date alla luce all’alba del secolo breve, prim’ancora che iniziasse il suo percorso, con lo scoppio della WW1, e a WW2 - che del secolo breve n’è il cuore - già scoccata, se pur da poco), che alla Rivoluzione preferì l’America, dirette da Mikhail Golikov. Commistione di effetti speciali artigianali (in stile herzoghiano) e CGI.


“La mia idea era di andare all'ultima guerra del Risorgimento italiano alla quale non potevo mancare. Il trauma emotivo del sacrificio creava un certo orgoglio in noi giovani, alimentando quel senso di coscienza virile per il quale pareva essenziale poter dire: io c'ero. […] Il tempo è trascorso in un ribollire. Con quello che è accaduto dopo, lo sterminio degli ebrei, i campi di eliminazione, la bomba atomica, dovrei dire che la guerra del '15 non lascia traccia nella storia del mondo.”
Carlo Emilio Gadda, da un’intervista - la Sfilata del Disprezzo - del 1968 di Corrado Stajano per il Corriere della Sera a proposito del «Giornale di Guerra e di Prigionia, 1915-1919, con il “Diario di Caporetto”, 1917» (Sansoni, 1955 / Einaudi, 1965 / Garzanti, 1999).

 

“Il marcato dev’essere (Ra) Ta-Ta-Ta!” / “Come fosse il presagio di qualcosa…” 

 

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