“ROAR” (che non è un acronimo di senso compiuto, ma la traslitterazione onomatopeica di un ruggito*), la serie antologica (come “MonsterLand” di Mary Laws da Nathan Ballingrud per Hulu e “the Romanoffs” di Mattew Weiner per Amazon: sicuramente migliore della prima e certamente quasi, e dico quasi, ai livelli della seconda) in 8 episodi da mezz’ora circa l’uno creata e showrunnerizzata per Apple (no, non m'è venuta voglia di comprare un iPhone) da Liz Flahive & Carly Mensch adattando meravigliosamente altrettanti racconti pescandoli dall’omonima raccolta contenentine 30 (c’è quindi spazio per almeno un altro paio di annate, se non tre) di Cecelia Ahern (asciugandoli di qualsiasi parvenza di eccedente ed eccessivo sentimentalismo finalizzato ad esprimere sé stesso che probabilmente innervavano la scrittura dell’autrice di “P.S. I Love You”) dopo che Netflix aveva cancellato loro “GLOW” (Gorgeous Ladies of Wrestling) alla fine della terza stagione giustificando l’operazione con la scusante della pandemia influenzale (ed è anche un’occasione per Alison Brie e Betty Gilpin di rifarsi, in parte, del maltolto in campo seriale tornando a collaborare nuovamente con le due architettrici di mondi), è un generoso concentrato di rappresentazioni dell’espressione idiomatica “lieto fine”**, con tutte le sfumature del caso, atte a non rendere ogni “happy end” troppo esageratamente smaccato: un toccasana mediatico per la petulante morìa occidentale, oramai cosmopolita (non “fisica”, e nemmeno principalmente dal PdV “morale”, quanto piuttosto da quello intellettuale e, soprattutto, intellettivo), che caratterizza questo scorcio storico post (ah-ah) globale.
** Quello con Alison Brie è il lieto fine più - no spoiler - paradossalmente concreto (sempre con un po’ di rassegnato stupore di fronte all’incapacità umana di operare una piena empatia con l’altro da sé, o con sé stessi, ripensando all’ep. con Betty Gilpin, che nopn a caso si conclude sulle note e la voce della “Whistle for Happiness” di Peggy Lee) perché e nonostante il fatto sia dicotomicamente & antinomicamente nato da una tragedia irrisolvibile.
Non è che, per dirla con Zygmunt quell’altro, cioè Bauman, è “Meglio Essere Felici”, grazie tante (ma pure quella può essere una cura, eh: il decidere che i problemi superabili, e pure parte di quelli insuperabili, problemi non sono), no, è che “ROAR” è proprio un percorso di accettazione e riscossa, di affermazione e rivalsa, ovvero, insomma, quindi: belle storie che fanno bene. Ed è scritta (oltre che dalla coppia Liz Flahive & Carly Mensch anche da Janine Nabers, Halley Feiffer e Vera Santamaria), interpretata***, girata [benissimo, oltre che dalla stessa Liz Flahive, da So Yong Kim, Channing Godfrey Peoples, Kim Gehrig, Rashida Jones, Anya Adams e Quyen Tran, anche direttore della fotografia assieme al grande Christopher Manley (“Mad Men”) e a Sam Chiplin] e musicata… [la colonna sonora originale è di Isobel (sorella di Phoebe) Waller-Bridge (ogni novella cinematografica principia accompagnando la breve sigla stilizzata di testa con le note della sua potente “the Girl Who Loved Horses”, che troverà poi lapalissiana messa a dimora definitiva una volta inserita a metà dell’ottava ed ultima, omonima traccia filmografica a chiusura di questo si spera, auspica e pretende primo arco narrativo), mentre la supervisione dedicata alle canzoni preesistenti è del grande Bruce Gilbert – fedele della Jenji Kohan produttrice esecutiva di “GLOW” oltre che artefice di “Weeds” e “Orange Is the New Black” – e da Lauren Marie Mikus] …da Dio.
*** Il cast, si diceva. Di Alison Brie e Betty Gilpin s’è in parte già scritto. Aggiungo: magnifiche. E con loro sul podio, allora, se classifica dev’essere, Merrit Wever (Studio 60 on the Sunset Strip, Nurse Jackie, Greenberg, Birdman, Meadowland, Godless, Unbelievable, Marriage Story, Run) e Judy Davis, e poi Nicole Kidman (anche produttrice esecutiva), Issa Rae, Cynthia Erivo (the Outsider), Meera Syal e le più giovani, ma ottimamente utilizzate e dirette, Fivel Stewart e Kara Hayward.
Si ride, si piange, ci si arrabbia e si pensa. Però!
Ep. 1: "The Woman Who Disappeared" (letteralmente), scritto da Janine Nabers, diretto da Channing Godfrey Peoples e interpretato da Issa Rae e Griffin Matthews.
Con Jeong-hie Yun, Nae-sang Ahn, Da-wit Lee, Hira Kim, Yong-taek Kim
In streaming su CG Collection Amazon channel
Ep. 2: "The Woman Who Ate Photographs" (letteralmente), scritto da Liz Flahive, diretto da Kim Gehrig e inyterpretato da Nicole Kidman, Judy Davis e Simon Baker.
Ep. 3: "The Woman Who Was Kept on a Shelf" (letteralmente), scritto da Liz Flahive & Carly Mensch, diretto da So Yong Kim e interpretato da Betty Gilpin e Daniel Dae Kim.
Ep. 4 : "The Woman Who Found Bite Marks on Her Skin" (letteralmente), scritto da Liz Flahive & Carly Mensch, diretto da Rashida Jones e interpretato da Cynthia Erivo, Jake Johnson e P. J. Byrne.
Con Charlotte Rampling, Anthony Higgins, Diana Quick, Pierre Étaix
Ep. 5: "The Woman Who Was Fed By a Duck" (metaforicamente sentimentalmente e letteralmente sessualmente), scritto da Halley Feiffer, diretto da Liz Flahive e interpretato da Merritt Wever, Justin Kirk (voce), Riki Lindhome e Jason Mantzoukas .
Ep. 6: "The Woman Who Solved Her Own Murder" (letteralmente), scritto da Liz Flahive & Carly Mensch, diretto da Anya Adams e interpretato da Alison Brie, Hugh Dancy, Christopher Lowell, Ego Nwodim e Jillian Bell.
Ep. 8: "The Girl Who Loved Horses" (metaforicamente), scritto da Carly Mensch, diretto da So Yong Kim e interpretato da Fivel Stewart, Kara Hayward e Alfred Molina.
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