All’abusata, facile e logora premessa (al protagonista viene erroneamente diagnosticato da un medico inetto e pasticcione un carcinoma esofageo: quando viene a sapere la verità a quel punto - dopo aver notato che la fidanzata, i parenti, gli amici e i colleghi lo trattano con molta più cura e attenzioni - decide, con la complicità del dottore ricavata per coercizione, di continuare a fare come se nulla fosse e di fingere tutto il decorso e la trafila medica, proseguendo col dichiararsi malato) segue uno svolgimento fresco, ritmato e per lo più coinvolgente (soprattutto grazie alla caratterizzazione “verista” dei personaggi, pur immersi in uno scenario al limite del ridicolo e della farsa, se pur satirica).
Tag-Line. Stag. 1 (6 ep., 2017): “Sì, ho qualche morto sulla coscienza, ma erano tutti pazienti: non sono un assassino!” Stag. 2 (8 ep., 2018): “Se spacciare è un crimine, beh, allora sono colpevole!”
È sempre Nick Frost – qui veramente al limite parossistico fra spasso e respingenza – a parlare, ed è sempre lui, sfondando una porta a vetri col proprio corpo semplicemente passandoci attraverso perché da lì transita il percorso più breve e veloce per andare frettolosamente e senza impedimenti da A a B, che scatena la risata più inaspettata, fragorosa ed autentica, in una serie che, pur combaciando perfettamente coi propri presupposti di divertissement disimpegnato, non scade, mai, nella facile banalità, e parimenti non risulta, mai, essere crassamente sciocca.
Per il Rupert Grint post-harrypotterico Ron Weasley, invece, prima del definitivo salto di qualità nel mondo del cinema adulto grazie a una serie per nulla eccelsa e per niente trascendentale, ma inequivocabilmente di “fascia superiore” a livello produttivo, qual è “Servant”, allo scoccare dei trent’anni questa “Sick Note”, creata e interamente scritta da Nat Saunders e James Serafinowicz per Sky (mentre il distributore internazionale è Netflix) e diretta per tutti i 14 episodi delle due stagioni (il finale è un semi-cliffhanger, con una terza e forse conclusiva stagione messa in stasi) da un unico regista, ovvero Matt Lipsey (“Little Britain”, “Inside No. 9”), è l’ennesima conferma di un bel talento (come per il suo compagnuccio quattrocchio furono, nell’immediato, a bocce/bacchette ancora calde, “the Woman in Black”, e poi il cadavere scorreggione fuoribordo di “Swiss Army Man”).
Completano il cast Pippa Bennett-Warner (brava, bella e simpatica), Marama Corlett (idem, con in più il fatto che l'immagine d'intestazione del suo profilo twitter è un fotogramma tratto da "Umberto D." ritraente Carlo Battisti), Don Johnson ("Miami Vice", "the Hot Spot", "Django Unchained", "Cold in July", "Brawl in Cell Block 99", "Dragged Across Concrete", e qui monotesticolare, per la gioia - causa incontro scrotale ravvicinato - di Rupert Grint), sostituito nella seconda stagione dalla “figlia” Lindsay Lohan, e poi gli ottimi Daniel Rigby, Dustin Demri-Burns, Karl Theobald, Camilla Beeput, Miles Richardson, Wanda Opalinska… Mentre le musiche sono di Carly Paradis.
Sick-Nota. A parte il fatto che il WC ha più anni sulle spalle che il PC, ma chissà perché la soggettiva irreale con sfondamento della quarta parete dal water-closet si perde nella notte dei tempi (azzarderei ben prima di “Trainspotting”, con acqua messa a sipario/diaframma anche lì incoerentemente limpida) mentre rendere lo schermo di un personal computer (desktop) o di un notebook (laptop) semi-trasparente, levando ogni parte in plastica opaca e lasciando solo il display con le relative informazioni che su di esso, viste “impossibilmente” da dietro, compaiono, è pratica molto più recente e molto meno usata, ad esempio, della classico “sfondamento dei tramezzi, dei vani porta e dei pavimenti/soffitti”, con la MdP che scarrella in travelling oltrepassando a nero murature inesistenti.
Jonathan Lynn è quello di "My Cousin Vinny" (suo acme), il film è il remake dell'esordio di Pierre Salvadori di quasi vent'anni prima, però ci sono anche Bill Nighy e Martin Freeman...
Un bel ruolo, ma soprattutto un'interpretazione convincente, per una serie che vive di momenti che cercano di non annegare nell'insieme di quella che è una non-storia.
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