SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA
Il successo commerciale della Trilogia della Vita e, soprattutto, la derivante ondata di produzioni cosiddette decamerotiche, per la maggior parte (a quanto pare) robetta che cerca di sfruttare una crescente liberalizzazione della sessualità mediatica per ricavare soldi facili 'giustificandosi' con una cornice letteraria, spinge Pier Paolo Pasolini a ideare un progetto completamente in contrasto con lo spirito vitalistico e gioioso de "Il Decameron", "I Racconti di Canterbury" e "Il fiore delle Mille e Una Notte", ovvero inizia a pensare ad una Trilogia della Morte. Si approda così al romanzo settecentesco incompiuto (e la cui lettura era allora ancora riservato quasi esclusivamente a gente bibliofila) "Les 120 Journées de Sodome ou l'école du libertinage" del Marquis De Sade. In realtà il desiderio di trasporre il controverso libro (di cui, mentre scrivo, ho letto intanto solo l'Introduzione descrittiva e programmatica) ha origine dalla volontà, mi pare di Alberto Grimaldi, di sfruttare la scia decamerotica e, in un primo momento, la regia viene proposta a Sergio Citti, amico e storico collaboratore 'filosofico' di Pasolini (nonché fratello del suo primissimo 'attore feticcio' Franco), il quale però rinuncia in favore del crescente interessamento dell'Intellettuale friulano, con il quale collabora alla sceneggiatura insieme al non accreditato (ma fondamentale) Pupi Avati. La lavorazione è particolarmente ardua, soprattutto per i contenuti dell'Opera (tra l'altro molto meno estrema rispetto alla Fonte letteraria, stando a quel che ho scoperto), e bisogna aggiungere la sfiga delle bobine rubate, il tutto poi coronato dall'uccisione di Pier Paolo Pasolini, evento che rende il primo capitolo della Trilogia della Morte (che sarebbe poi dovuta continuare con "Porno-Teo-Kolossal" e forse un progetto sul barone Gilles de Rais, considerato l'ispirazione di Barbablù) anche l'unico. La morte dell'Autore comunque non aiuta ad evitare polemiche, eventualità in ogni caso ricercata da lui il quale voleva (anche) sfidare ulteriormente la censura con qualcosa di inassimilabile da parte del sistema consumistico: tra immancabili sequestri reiterati nel tempo, denunce (al produttore Grimaldi) per oscenità, assalti ai cinema da parte di gruppi neofascisti e altre problematiche, la diffusione dell'Opera è fin da subito estremamente difficile e solo negli anni '90 si arriva ad un suo pieno riconoscimento artistico. In parte il Regista-Poeta è stato 'sconfitto', poiché una certa assimilazione è capitata pure al suo ultimo Film, con tanto di indiretta ispirazione alla corrente detta nazisploitation, però credo che rispetto ad altre sue Opere (filmiche) "Salò" sia l'unica che continua a dividere profondamente pubblico e critica e, quindi, in questo Pasolini ha 'vinto' (o almeno 'pareggiato', così con questo termine calcistico posso citare anche l'aneddoto della partita a calcio con la troupe di "Novecento" dell'amico-discepolo Bernardo Bertolucci).
Tra le mie primissime esperienze con il Cinema pasoliniano (non ricordo bene se prima ho visto questo o "La Ricotta"), fu un sofferto amore a prima vista e, ad ogni successiva revisione, ho consolidato questa mia venerazione, pur ritenendo forse più rispettoso, nei confronti del Poeta, accompagnarvi un'attenzione critica e pure una certa dissacrazione. In ogni caso, nonostante il disgusto che l'Opera continua a suscitarmi in diversi suoi punti, specialmente nel Girone della Merda, da almeno tre annetti a questa parte cerco di riguardare annualmente questo che, (anche) per me, è uno dei Capolavori più sconvolgenti della Storia del Cinema, nonché una delle Pellicole da me preferite in assoluto, proprio a causa della sua pesante cattiveria.
Parlarne in maniera approfondita è, comunque, quasi imbarazzante da parte mia, visto che del Film si è detto praticamente tutto e il contrario di esso, tanto nelle apologie quanto nelle 'stroncature', trovando inoltre 'parenti filmici' più o meno azzardati (io stesso arrivai a paragonargli "The Human Centipede": molto ingenuo da parte mia, però son tentato di rivendicare ancora oggi la 'blasfemia cinefila' di questo accostamento). Proverò comunque a elaborare qualcosa, anche se quasi sicuramente ripeterò argomentazioni espresse (meglio, peggio...) da molteplici altre persone e/o banalizzerò concetti. Avviso anche che saranno presenti parecchie divagazioni, sotto forma di scomodissime parentesi, perché oltre ad essere stronzo sono anche dispersivo.
Innanzitutto, il ribaltamento dello spirito della Trilogia speculare non poteva, per me, essere più 'totale', e per assurdo partendo da una sfera importante negli altri tre lungometraggi pasoliniani degli anni '70: il Sesso. Infatti il Sesso, inteso sia come atto sessuale, sia come esibizione degli organi sessuali, sia come deviazione dalla 'norma' eterosessuale procreativa (interessante notare che pure il discusso scritto 'contro l'aborto' dell'Intellettuale andasse, a differenza della destra farisea, a criticare questa pratica per favorire una sessualità anti-procreativa e diversa dalla norma eteropatriarcale), qua non ha nessuna delle sfumature gioiose e vitalistiche del Decameron, di Canterbury e del Fiore. Qui la Sessualità è strumento di dominio spietato, di dispotismo, il suo unico scopo è l'umiliazione estrema dei corpi, impostati come meri oggetti (di consumo), attraverso l'annichilimento delle menti, delle anime, delle persone in quanto individui soggetti. La cosiddetta 'Anarchia del Potere', o il concetto dei fascisti come "unici veri anarchici", è non solo un ossimoro provocatorio (Pasolini l'Anarchismo lo conosceva bene e, credo, ne provava una certa simpatia, pur non riconoscendovi probabilmente in esso) ma, ai miei occhi, arriva a svuotare l'Anarchia da tutta la sua forza vitalistica e libertaria in campi come appunto il Sesso. Caricando all'estremo il sadismo (anche quando si abbandonano a sodomia passiva) i quattro fascisti 'libertini' (interessante per me notare come il termine 'libertino' vada, tecnicamente, a rimpicciolire la Libertà), interpretati da un solo attore realmente professionista (Bonacelli: Cataldi infatti era un amico di borgata di Pasolini, prima scelta per "Accattone" ma detenuto durante le riprese di esso, Valletti aveva iniziato ad apparire al cinema solo nel 1974 e Quintavalle era un giornalista e critico) e tutti e quattro doppiati (dai letterati Vigorelli, Caproni e Roncaglia e dal regista Bellocchio)... Insomma i quattro fascisti, saturando il proprio libertinismo sessuale e sadico, oltre a imprigionare con intenti totalitari le proprie vittime (insieme agli otto fanciulli e alle otto fanciulle bisogna ricordare le quattro figlie-spose degli aguzzini, ma anche le narratrici, i collaborazionisti più o meno volontari e pure la nascosta servitù è suddita del volere dei quattro, seppure in ruoli di aiuto della loro autorità), priva la loro stessa sessualità di quella libertà 'anarchica' (intesa come 'contraria al potere') che pretendono di sperimentare al massimo, cosicché la Morte, spirituale prima che corporale, inflitta agli oggetti dei loro eccessi colpisce in primis essi stessi, i primi ad essere depauperati di individualità soggettiva in favore di un meccanicismo crudele in quanto privo di sentimenti genuini.
Queste riflessioni, spero non troppo deliranti, sulla Sessualità e sull'ossimorica 'Anarchia del Potere' mi hanno 'prosciugato' le spinte riflessive, per cui intanto decido di troncare qui questo mio non proprio corto intervento, citando magari qualche altro tema come il ribaltamento di significato delle risate forzate (beatamente 'divine' nella Trilogia della Vita e in altri Lavori pasoliniani, espressione di intensa malignità in quest'Opera), l'importanza del senso religioso (e della sua negazione o ribaltamento blasfemo), la chiusura assoluta del luogo in cui si consumano le sevizie, il ruolo delle quattro Narratrici e così via. Cito anche l'intrigante dialettica diegetica/extradiegetica apportata nella Colonna sonora, evidente sia negli interventi al piano di una delle quattro Narratrici (l'unica che, di fatto, non narra nessuna storia, e per di più compie un gesto 'impensabile' nel Finale) sia, soprattutto, nella rivelazione della provenienza radiofonica di "Veris Laeta Facies" dei Carmina Burana di Orff nell'Epilogo, poiché girando la rotella della radio uno dei giovani(ssimi) collaborazionisti si sposta sul Tema (presente anche nei Titoli di Testa) "Son tanto triste" arrangiato da Morricone. Altro elemento sonoro interessante è il sottofondo di bombardamenti che in parecchi momenti accompagna le Immagini, sottolineando al contempo sia il contesto storico (l'ultimo biennio del fascismo e della seconda guerra mondiale) sia l'isolamento fisico (ma non spirituale) della Villa e del regime (anti)sessuale lì instaurato dai 'tetrarchi'.
FINE
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